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 2022  maggio 16 Lunedì calendario

Intervista a Maria Grazia Cucinotta

M anco tirando a indovinare si direbbe che ha studiato analisi contabile.
«Eh lo so, alla fine mi è tornato utile, i primi tempi ho risparmiato sul commercialista».
Tre mesi dopo il diploma era già a Salsomaggiore per Miss Italia, edizione 1987.
«Mi ero iscritta al concorso a 16 anni, papà non mi lasciò andare. Così ci riprovai a 18 appena compiuti. Partii da Messina con il treno delle 8.30, in borsa avevo la focaccia di mamma e qualche mela. Non ho vinto ma sono arrivata in finale. Fui notata da un’agenzia di Milano. “Se per caso passi in città fatti viva”, mi proposero. Capirai, mica era sotto casa, da giù allora ci volevano 24 ore», ricorda, parecchi film dopo (attrice, poi produttrice) Maria Grazia Cucinotta, splendidi 53 anni, la ragazza del Sud che era arrivata a Hollywood e da Hollywood, dieci anni dopo, se n’è pure andata, senza troppo voltarsi indietro. Scroscio d’acqua. «Scusi un momento che mi lavo le mani, stavo impastando il lievito madre per la pizza».
Prego.
«Rieccomi».
Alla fine però salì su al Nord.
«Mi trasferii a Brescia da mio fratello Gaetano che mi trovò un posto da segretaria. Per arrotondare faceva il fotografo, mi compose lui il primo book, ma come modella non avevo speranze, troppo seno. Richiamai quell’agenzia di Milano e ottenni il primo provino».
Per «Indietro tutta!», un cult di Raidue.
«E fu un disastro. Mi presentai davanti a Renzo Arbore, Alfredo Cerruti, Arnaldo Santoro, Nino Frassica, capirai, mi presero in giro senza pietà. “Cosa sai fare?” “Nulla”. Ero un’imbranata. Avevo il cuore in gola e le orecchie viola. Alla fine mi scelsero forse per compassione, per fortuna ero fotogenica».
Su, poi andò meglio.
«Mi ritrovai in un grande, allegrissimo caos, dove tutto era improvvisato, per me era la prima volta in tv, non sapevo come muovermi, non capivo niente, però ero contenta così. Appena si accendeva la telecamera, le Ragazze Coccodè e le Cacao Meravigliao si contendevano l’inquadratura sgomitando, come la palla in un campo da rugby, volavano in aria nuvole di piume, per mantenere l’ordine hanno separato i camerini».
Tre anni dopo il primo cinepanettone: Vacanze di Natale ’90, con Boldi e De Sica.
«In cui mi ha doppiato Simona Izzo perché avevo ancora un accento siciliano troppo forte. C’era Moira Orfei, che arrivava già truccata e pettinata, perfetta. “Senti qui che braccio, tocca quanto sono soda”, mi ripeteva mentre parlava al telefono con i domatori del circo».
Che girasse «Il Postino» era quasi destino.
«Mio padre faceva il postino, come poi mio fratello, mia sorella, mio cognato e mia nipote. In realtà anch’io avevo vinto il concorso e un contratto di tre mesi, ma ci ho rinunciato, ormai avevo preso la mia strada. Papà mi ha tenuto il muso per anni, fino al film con Massimo Troisi: in qualche modo avevo realizzato il suo sogno».
Ricordi dal set?
«La pazienza infinita di Massimo con me, una semi sconosciuta in un cast stellare. Per timidezza parlavo velocissima, avevo paura di rubare troppo tempo. Con me c’era Renato Scarpa, meraviglioso, quando è mancato l’anno scorso mi ha lasciato un vuoto enorme».
Una scena che le hanno fatto ripetere?
«Uh, quella in cui dovevo salire le scale, l’avrò girata trenta volte, al regista Michael Radford non andava mai bene, che poi c’erano dei gradini altissimi – io sportiva zero – per dieci giorni ho avuto le gambe rigide e doloranti».
Fu Nathaly Caldonazzo, allora fidanzata di Troisi, a raccomandarla per la parte.
«Ci eravamo conosciute a “Fantastico 10”, con Massimo Ranieri e Anna Oxa. Nathaly era bellissima, quando passava faceva rigirare pure le mattonelle. “Saresti perfetta”, insisteva. “Ci penso io”. E lo ha convinto. Lei e Massimo si amavano moltissimo, la sua morte fu il più grande dolore della sua vita. Sono 28 anni che la ringrazio, anche se adesso ci siamo perse».
«I Laureati», con Pieraccioni, 1995.
«Il Postino aveva appena vinto l’Oscar, in quel momento ero la star, gli altri mi guardavano quasi con soggezione. Con Leonardo c’erano tante scene in cui ci baciavamo, i paparazzi erano appostati ovunque, lui era adorabile, scoppiavo a ridere di continuo, specie con Ceccherini, fu divertentissimo, anche se a volte mi rivedo in una scena e mi dico:”Mizzica, come l’ho recitata male!”».
Con Gigi Proietti nella fiction «Avvocato Porta».
«Con lui potevi anche restare muta, era talmente grande che ti sentivi superflua. All’inizio sembrava burbero, poi ti incantava con i suoi racconti, generoso, gentile, a me che sono così imbranata pareva un genio».
Nel frattempo era partita per Los Angeles e ci è rimasta fino al 2005.
«A dirla tutta, Hollywood è una scritta anonima su una collina spelacchiata, pure bruttarella, niente di che, per me che venivo da Roma, con il Vaticano e il Colosseo, però gli americani come organizzazione sono ineguagliabili e lì davvero funziona la meritocrazia: non gli importa chi sei e da dove vieni, se hai successo hai successo e tutti sono con te. Ho studiato e imparato tanto».
Rifiutò una parte ne «L’avvocato del diavolo» perché c’era da spogliarsi.
«Ero tentata, un film con Al Pacino e Keanu Reeves, no, dico, Keanu Reeves, che quando lo vedi ammutolisci. Pensavo: e quando mi ricapita? Però nel copione c’era un nudo continuo e io con questo seno gigante mi sarei sentita a disagio e avrei rovinato tutto».
Sicura sicura?
«Ho sempre avuto il complesso, a 13 anni ero già così, che vergogna, non vedevo l’ora di ridurlo con un intervento, poi ci ho rinunciato, forse non avrei avuto lo stesso successo, però non mi è mai sembrato bello, troppo ingombrante, per nasconderlo ingobbivo le spalle. E poi è dura farsi prendere sul serio, nessuno ti guarda negli occhi. “Ah, ma sei anche intelligente”, è una frase che ho sentito spesso».
Stava per rifiutare anche «007 – Il mondo non basta» con Pierce Brosnan.
«Ero su un set faticosissimo a San Francisco, si girava soltanto di notte, i miei colleghi erano cerebrali, pieni di turbe, mi sfinivano, in più dovevo studiare dizione, ero distrutta. E poi la produzione pretendeva un’esclusiva di sei mesi per due pagine di copione. La mia agente ha accettato al posto mio. “Questi sono i biglietti, parti domani per Londra”».
Dai che non se n’è pentita.
«No, è stata un’avventura pazzesca, dovevo correre e saltare dalle finestre sui tacchi 12, mai portati in vita mia, guidare un motoscafo, quante aspirine ho preso per i dolori!»
E con Pierce?
«Per copione dovevo ucciderlo, però è una persona meravigliosa, è stato il film che umanamente mi ha dato di più. Nella finzione ero una killer assoldata da Robert Carlyle, attore straordinario ma piccolissimo accanto a me che sembravo un gigante, con mani enormi. Per fortuna la scena insieme è stata tagliata. E poi ho conosciuto Barbara Broccoli, la produttrice, ancora oggi una delle mie migliori amiche».
Vanta un film con Woody Allen e Sharon Stone: «Ho solo fatto a pezzi mia moglie».
«Sharon l’ho vista poco, perché il marito tradito, come dice il titolo, la fa fuori quasi subito, di lei resta solo una mano che sarà poi al centro della storia. Woody Allen lo conoscevo già, tramite sua sorella. Dal vivo è piccolino, ma quando recita, ciao, non ce n’è più per nessuno, si accende, risplende, è il Cinema».
Con suo marito Giulio Violati, imprenditore e produttore siete sposati da quasi 27 anni. La corteggiò con una certa faccia tosta.
«Lo conobbi la sera di Capodanno, festa che detesto, a casa di Massimo Santoro, il figlio di Arnaldo, mio caro amico. Esordì con delle battutine infelici sul mestiere di attrice, cercava di fare il simpatico, lo mandai subito al diavolo. Due giorni dopo mi arrivò una telefonata: “Sei libera il 7 ottobre?”. Non lo avevo riconosciuto, credevo fosse una proposta di lavoro. “Perché se sei libera, allora ci sposiamo.” Ho riattaccato».
Alla fine però c’è cascata.
«Sì, mi faceva ridere. Ed è ancora così».
Non si è mai trasferito a Los Angeles con lei.
«No. Tornavo io quasi ogni settimana».
Com’è andata nello spot dell’acqua minerale con Del Piero e l’uccellino chiacchierone?
«Alex è simpaticissimo, ci siamo ammazzati dalle risate con lui e il regista Marcello Cesena, ed è anche un gran professionista, quando qualcuno ha successo c’è sempre un perché. E non ho mai avuto così tante richieste di amici per venirmi a trovare sul set».
Adesso conduce un programma di cucina ogni domenica su La7: «L’ingrediente perfetto». Qual è quello di un matrimonio che dura?
«Accettare che si è diversi e non cercare mai di somigliarsi per forza. Dotarsi di grande pazienza, farsi scivolare addosso le cose. Amo la pace e la serenità, non litigo mai».
Ha imparato a cucinare da bambina.
«Mia mamma ci teneva in cucina per farci stare buone, me e mia sorella Giovanna, non c’erano i videogiochi. E sul set spesso cucino per tutti. Con un amico costumista abbiamo preparato la parmigiana di melanzane per sessanta. A casa siamo sempre tanti, la porta è aperta, mi piace viziare le persone, il cibo è fonte di gioia».
Pezzi forti?
«Pizza e pasta».
Il suo ultimo film si intitola «Gli anni belli». I suoi quali sono stati?
«Tutti, da quando è nata mia figlia Giulia ancora di più. È stata dura, non c’è solo il colore rosa, però sono felice: se con la mente mi riaffaccio dalla finestra della mia cameretta di Messina vedo tutto bellissimo, sono stata fortunata».