Corriere della Sera, 16 maggio 2022
Tutti gli errori dell’Italia sul gas russo
Dal 24 febbraio 2022 con l’invasione della Russia in Ucraina, rimbalza l’accusa: «L’Italia è troppo dipendente dal gas di Putin, negli ultimi 50 anni le forniture non sono state abbastanza diversificate». Vediamo.
I sette contratti con Mosca
Siamo alla fine degli anni ’60, il mercato chiede gas e in Russia ce n’è tanto. L’accordo, il primo del genere al mondo, è del 10 dicembre 1969 firmato a Roma dal presidente dell’Eni Eugenio Cefis e dal viceministro del Commercio estero dell’Urss Nikolay Osipov. Durata 20 anni, fornitura di gas naturale per 6 miliardi di metri cubi l’anno. I vantaggi: è a buon mercato e in più l’Eni fornisce mezzi e tecnologia. Il primo gasdotto è operativo dal primo maggio 1974: parte dalla Siberia, passa per l’Ucraina, la Slovacchia, l’Austria e approda all’impianto di Tarvisio. Da allora in poi i contratti sono altri sei, con un aumento costante di volumi; l’ultimo è stato firmato nel 2006 con durata fino al 2035. La clausola prevede una quantità minima e una massima che l’Italia si impegna ogni anno a ritirare. La fornitura nel 2021 è stata di oltre 28 miliardi di metri cubi.
Il gasdotto dal Mare del Nord
Negli stessi anni si tratta con l’Olanda, e successivamente con la Norvegia, per importare gas dai giacimenti del Mare del Nord. Il primo gasdotto che attraversa la Germania e la Svizzera arriva a Passo Gries, dove si trova il punto di interconnessione con la rete nazionale, entra in esercizio nel 1974. Per far fronte alla crescente domanda italiana il gasdotto viene ampliato nel ’94 e raddoppiato nel 1997. Nell’ultimo decennio però dal grande giacimento di Groningen, per ragioni sismiche, si pompa sempre meno e oggi in Italia da quei tubi arriva solo il gas norvegese.
Da Algeria e Libia
Ad agosto del 1983 inizia l’importazione dall’Algeria attraverso il Transmed, che approda in Sicilia, a Mazara del Vallo. Una seconda linea viene aperta nel 1997, raddoppiando la capacità di trasporto: 24 miliardi di metri cubi all’anno. A ottobre 2004 Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi inaugurano il GreenStream, il gasdotto che collega la Libia all’Italia con sbocco a Gela.
Tredici anni per il Tap
A dicembre 2007 Italia e Azerbaijan firmano un memorandum di intesa per possibili forniture future di gas. Il 28 giugno 2013 il consorzio azero Shah Deniz annuncia che il Tap è il progetto prescelto per trasportare il suo gas nell’Ue attraverso la Puglia. Il metanodotto (sul quale partiti e comitati si sono scannati per anni) vede la luce il 31 dicembre 2020, quando il primo gas dal Mar Caspio arriva a Melendugno. Tirando le fila: in 50 anni ci siamo portati in casa 5 fornitori diversi. Certo dalla Russia abbiamo importato via via sempre di più perché di gas ce n’è di più, e perché rispetto ai Paesi africani era più stabile e affidabile. Dove invece non siamo stati lungimiranti?
Niente gas liquefatto
L’Eni estrae gas in Nigeria, dove dal 2000 viene liquefatto e portato con le navi gasiere negli Stati Uniti, in Asia e in Spagna. Ha giacimenti e impianti di liquefazione anche in Egitto, ma dal 2005 il gas lo porta in Spagna. In Italia non arriva nulla perché non si sa dove metterlo. Fino al 2009 c’è un solo rigassificatore (Panigaglia in provincia di La Spezia), il secondo apre a Porto Viro, al largo del delta del Po. Il terzo, sul mare di Livorno, entra in funzione a ottobre 2013. Sempre utilizzati al di sotto del 60% della loro capacità. Nel 2021 sono stati importati 9,7 miliardi di metri cubi principalmente da Qatar, Algeria e Usa. I rigassificatori di Porto Empedocle e Gioia Tauro sono in ballo da 18 anni e 17 anni.
Produzione nazionale bloccata
Dalla metà degli Anni Novanta abbiamo iniziato a bloccare l’attività di estrazione e ricerca in Adriatico, e la produzione nazionale è passata dai 20,6 miliardi di metri cubi nel 1994 ai 4,4 del 2020 (mentre i consumi sono saliti di quasi il 30%). Del resto fino pochi mesi fa il ragionamento diffuso era questo: perché impattare sull’ambiente quando il gas lo possiamo importare? Tra l’altro in quegli anni si iniziava a investire sulle rinnovabili per produrre elettricità, e l’Italia era partita bene. E qui si pone il terzo problema.
Le rinnovabili non decollano
Circa il 30% del gas importato viene utilizzato per produrre elettricità (25,9 miliardi di metri cubi nel 2021). L’idroelettrico in Italia è molto sviluppato, ma lo sfruttamento di corsi d’acqua con turbine e alternatori non si ammoderna e viene via via trascurato e così si passa dai 50 mila GWh del 2000 ai 49 mila del 2020. Il fotovoltaico, dopo un impulso iniziale, da 10 anni non cresce più in modo significativo. L’eolico è quasi fermo da 5 anni. Troppa burocrazia e ostacoli da comitati ed enti locali. Cresce poco il geotermico in grado di sfruttare l’energia del sottosuolo.
Import: da un regime all’altro
Quindi adesso le forniture russe verranno sostituite aumentando l’import dagli altri fornitori storici. Ma sarà possibile a partire dal 2023 perché ogni Paese deve rispettare i contratti in essere con altri Stati. L’Algeria è pronta ad assicurare fino a 9 miliardi di metri cubi annui in più. Va ricordato che è un Paese autoritario e sempre sull’orlo di tensioni sociali, con elevato tasso di disoccupazione, restrizioni legali alla libertà dei media, e corruzione dilagante. È tra i 35 astenuti al voto dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite contro l’invasione della Russia in Ucraina. Dall’Azerbaijan entro fine anno arriveranno 2,5 miliardi di metri cubi addizionali via Tap. Uno Stato comandato dalla famiglia Aliyev da 30 anni, con il potere che si tramanda di padre in figlio fra moti di protesta.
Gli accordi africani
Per quel che riguarda i rifornimenti di gas liquefatto via navi metaniere abbiamo trattato con il Congo e l’Angola che possono aumentare i rifornimenti di 6 miliardi di metri cubi. In Congo, da 25 anni al potere c’è il militare Denis Sassou Nguesso: il suo governo usa regolarmente le forze armate per intimidire i cittadini, mentre la sua famiglia fa shopping di lusso con i proventi del petrolio. In Angola, dove si è trascinata fino al 2002 un’incessante guerra civile, ancora si lotta per l’indipendenza nella Regione del Cabinda. Dal Qatar, che non ha mai chiarito i rapporti con il terrorismo islamico, prenderemo 5 miliardi di gnl in più. Dall’Egitto già dal 2022 arriveranno verso l’Ue e l’Italia 3 miliardi di metri cubi. È il Paese dove è stato torturato e ucciso il nostro ricercatore Giulio Regeni, ma le autorità non hanno mai collaborato per trovare i colpevoli. Rimane il problema rigassificatori: per costruirne di nuovi ci vuole tempo.
Che sia la volta buona?
Possiamo sperare che almeno le sovrintendenze e gli Enti locali la smettano di mettersi di traverso su parchi eolici e fotovoltaici anche quando i progetti hanno tutte le carte in regola? È il caso di ricordare la crisi petrolifera del 1973 scatenata dalla guerra del Kippur che coinvolse Israele, Egitto e Siria. I Paesi arabi produttori di petrolio fecero esplodere i prezzi e applicarono l’embargo nei confronti dei Paesi filoisraeliani, portando in Europa il crollo dell’economia e austerità per tutti gli anni ’70. Ma da quella crisi si cominciò a parlare di «ecologia» e «risparmio energetico», simboli di un cambiamento di mentalità sociale. La guerra di oggi ci costringerà ad accelerare questi processi.