il Giornale, 16 maggio 2022
La situazione degli inceneritori in Italia
Beppe Grillo, Giuseppe Conte, l’anima dura e pura dei Cinque Stelle. Come agli albori, quando il sindaco di Parma Pizzarotti, primo eletto tra i grillini, ruppe proprio sulla questione degli inceneritori, il collante del movimento tornano ad essere i rifiuti. L’ex premier Conte ne fa una questione di sopravvivenza politica del governo e dietro il no ai termovalorizzatori i resti in disordine e senza speranza dei 5Stelle cercano di ritrovare una ragion d’essere. Oggi, come agli inizi, la vecchia (e nuova) parola d’ordine è ideologia pura, che fa a pugni con i fatti e il rispetto per l’ambiente.
Inseguendo il mito di una circolarità perfetta, al 100%, si evita di vedere la realtà di un Paese che anche per quanto riguarda l’immondizia viaggia a due velocità: da una parte il Nord, con standard più o meno europei, dall’altra le regioni centro meridionali con un rilevante deficit di inceneritori, che non consente la chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti. Al centro-sud le quantità raccolte superano di gran lunga quelle trattate, con una difficoltà nel garantire il recupero e lo smaltimento. Così il Sud è costretto a mandare i propri rifiuti al Nord (a volte anche all’estero), con un conseguente aumento delle spese anche e soprattutto per le famiglie – e con scarso rispetto per gli standard ecologici.
OBIETTIVO QUOTA TRENTA
Per allinearsi alla media europea e raggiungere gli obiettivi indicati dalla Ue, dicono gli esperti, l’Italia avrà bisogno di 30 nuovi impianti per il trattamento dei rifiuti. Una svolta è appena arrivata dal sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, che ha annunciato l’intenzione di realizzare un termovalorizzatore entro il 2025. «Mi ero impegnato a realizzare gli impianti per chiudere il ciclo dei rifiuti, in modo da superare una situazione indecorosa e senza eguali in Europa ha sottolineato il primo cittadino della Capitale -. Nelle linee programmatiche di inizio mandato si prevedeva il potenziamento della capacità di incenerimento. Dopo lo studio delle alternative disponibili abbiamo concluso che è necessario un nuovo impianto. Useremo le migliori tecnologie che consentono l’abbattimento delle emissioni».
Il piano messo a punto prevede una riduzione del 90% del fabbisogno di discariche, del 45% delle emissioni e una produzione di energia per 150mila famiglie. In progetto ci sono due biodigestori per l’organico, due impianti di recupero per carta, cartone e plastica e 30 centri di raccolta. L’indifferenziato, che dovrà scendere sotto il 35%, non può che andare in discarica o in termovalorizzazione. E l’alternativa al nuovo impianto sarebbe una discarica da 1 milione di tonnellate ogni 3 anni.
Vuole voltare pagina anche la Sicilia, che ha selezionato i progetti migliori per la realizzazione di due termovalorizzatori nell’Isola. «I termovalorizzatori da una parte distruggono l’indifferenziata e dall’altra producono energia ha sottolineato il governatore Nello Musumeci, è una iniziativa che finalmente fa riflettere su un dato: altrove la spazzatura è risorsa, da noi è un problema».
Per la Sicilia occidentale si tratta di un impianto da realizzare in 36 mesi in grado di trattare per 30 anni 400mila tonnellate l’anno di rifiuti garantendo il recupero e la produzione di 188mila tonnellate l’anno di metanolo e 3mila tonnellate l’anno di idrogeno. Prevista infatti la costruzione di un gassificatore a 6 linee per la conversione dei rifiuti.
Per quanto riguarda invece la Sicilia orientale è previsto un investimento di quasi 400 milioni per la costruzione di un impianto in grado di lavorare per 20 anni 450mila tonnellate di rifiuti l’anno. Secondo la Regione Sicilia, nel 2021 sono stati prodotti 2,24 milioni di tonnellate di immondizia di cui il 45% di raccolta differenziata.
LE MANI IN TASCA
La mancanza di impianti, nel Sud ma anche in alcune regioni del Centro, provoca un rincaro delle bollette: i rifiuti non vengono smaltiti in loco e devono essere spediti lontano, con conseguenti spese di trasporto e carico sui cittadini. Proprio le tariffe sono uno dei temi approfonditi dal recente Green Book, la monografia completa del settore rifiuti urbani in Italia, un rapporto annuale curato dalla Fondazione Utilitatis per Utilitalia (la Federazione che riunisce le Aziende speciali operanti nei servizi pubblici dell’Acqua, dell’Ambiente, dell’Energia Elettrica e del Gas) e realizzato quest’anno in collaborazione con Ispra. Per una famiglia di 3 componenti in una abitazione di 100 metri quadri, ad esempio, nel 2021 la spesa per il servizio rifiuti è stata pari in media a 318 euro, con forti differenze territoriali: 282 euro per il Nord, 334 per il Centro, 359 per il Sud. La causa principale è da ricercare appunto nel maggior costo sostenuto per il trasporto di rifiuti fuori regione in assenza di un impianto adeguato a fronteggiare i fabbisogni dell’area. Il costo della Tari resta tutto sommato contenuto, perché incide dello 0,81% nella spesa delle famiglie misurata dall’Istat. Ma è mal distribuito: il Sud paga di più avendo un servizio peggiore.
La Campania, che ha alcune fra le tariffe più alte d’Italia, deve esportare ogni anno oltre 500mila tonnellate di rifiuti che non riesce a gestire nei propri impianti. Il «ciclo dei rifiuti» non si chiude nemmeno a Roma, da dove parte una fetta importante delle 498mila tonnellate dell’export laziale.
EUROPA, SFIDE E PNRR
A spingere sugli inceneritori, preferiti alle ben più inquinanti discariche, è l’Europa, che nello stesso tempo accelera sul riciclo. Nel marzo 2020 il Parlamento europeo ha votato il nuovo Piano d’azione per l’economia sostenibile chiedendo agli Stati membri misure aggiuntive per sviluppare entro il 2050 un sistema economico e sociale pienamente circolare, in cui il rifiuto è visto come una risorsa. La sfida è impegnativa: l’Unione Europea vuole almeno il 55% di rifiuti urbani riciclati entro il 2025 e il 60% entro il 2030.
Il quadro europeo mostra una situazione piuttosto eterogenea, con Paesi a diverse velocità sul raggiungimento degli obiettivi fissati. Le pratiche migliori sono quelle adottate dagli Stati che hanno puntato sulla valorizzazione economica dei rifiuti. E che quindi hanno scelto la strada dei termovalorizzatori. Lo stesso si può dire dell’Italia. Ricicla di più chi ha fatto gli inceneritori, ovvero chi sul tema ha adottato una politica razionale e realistica: nel 2020 il Nord è al 70,8%, il Centro al 59,2% il Sud si ferma a quota 53,5%, anche se è da notare il balzo delle regioni meridionali che nel 2016 erano ancora ferme al 37%.
La Commissione europea stima che i costi di investimento totali, dal 2020 al 2035, raggiungeranno i 31,5 miliardi di euro, con una spesa media di 2,1 miliardi di euro. Ma per l’Italia dal Pnnr può nascere un’opportunità. Sono infatti previsti 2,5 miliardi di euro per incentivare la circolarità delle risorse e migliorare i sistemi di raccolta e gestione dei rifiuti in tutto il territorio nazionale, contribuendo a ridurre il gap che divide il territorio italiano.
RICCHEZZA NASCOSTA
La rilevanza delle cifre riflette le dimensioni di un comparto economico di prima importanza, con un fatturato di 13 miliardi di euro, oltre 95mila addetti e 7.253 operatori coinvolti. Solo la plastica raccolta sfiora i 3 milioni e mezzo di tonnellate l’anno, anche se appena il 2,4% è oggetto di riciclo integrato.
Dal rapporto della Fondazione Utilitatis emerge che nel 2020 sono state esportate oltre 4,2 milioni di tonnellate di rifiuti a fronte di una importazione di circa 7 milioni di tonnellate e che i rifiuti urbani importati in Italia sono destinati totalmente al recupero di materiale, mentre oltre il 36% di quelli esportati è destinato alla produzione di energia. L’import-export arricchisce però sopratutto gli stranieri.
Una tonnellata di immondizia esportata viene pagata in media 51 euro, quella importata costa in media più del doppio, 120. Il motivo? Molto semplice. All’estero l’immondizia non è più considerata un problema ma una ricchezza. La modernità di impianti e tipi di trattamento riesce a trasformarla in un prodotto di qualità. Per cui si è disposti a pagare.