la Repubblica, 16 maggio 2022
Intervista a Ermal Metal
«Non sono mai stato più emozionato di così. Quando vado sul palco c’è la musica, stavolta non ho la coperta di Linus». Ermal Meta, 41 anni, ha un sorriso aperto e lo sguardo malinconico; seduto nell’ufficio milanese del suo editore, accarezza le copie del primo romanzo Domani e per sempre che ha scritto (540 pg, 20 euro, La nave di Teseo). Uscirà il 19 maggio, il 22 lo presenteràal Salone del libro di Torino. Nato in Albania, italiano di adozione (è arrivato a Bari a 13 anni), musicista sensibile (tre volte a Sanremo: terzo nel 2017 e nel 2021, vincitore con Fabrizio Moro nel 2018) racconta la storia emozionante del piccolo Kajan, che nel 1943 in Albania, mentre i genitori partigiani combattono in montagna, incontra chi cambierà il suo destino. Grazie a Cornelius, disertore tedesco, pianista, scopre la musica. Il soldato gli dona un rotolo di stoffa bianca dove ha disegnato i tasti neri col carbone «così potrai suonare anche quando non potrai. Non hai bisogno di ascoltarla, la musica è dentro, poi arriva alle mani e solo alla fine la senti». Così Kajan vive tante vite: in Germania, diventa professore di musica, ama Elizabeta, poi emigra in America, scopre la felicità e perde tutto. Torna in Albania, dovelo aspetta una verità sconvolgente. La Storia lo travolge, come nel capolavoro di Elsa Morante, i destini si intrecciano. Palomar ha opzionato i diritti cinematografici.
Come nasce il libro?
«Ho unito tante storie vere.
Elisabetta Sgarbi mi aveva contattato dopo che avevo presentato a Sanremo Vietato morire. La mia vita non è meritevole di un racconto, avrei continuato a stare davanti allo specchio. L’ego è già gonfio».
Racconta la storia di qualcuno della sua famiglia?
«Di miei lontani cugini. In Albania sono accadute tante cose, è un luogo ricco di fantasmi che ti fanno compagnia. Ricordo il momento esatto in cui ho iniziato: aprile 2020. Alle due di notte non prendevo sonno. Qualcosa si muoveva sotto la pelle, come ogni volta prima di scrivere una canzone: avverto un’ urgenza. Mi sono seduto davanti al computer avendo in mente la storia di due fratelli, un piccolissimo pezzetto di storia. Mi sono chiesto quale fosse la cosa più incredibile che poteva accadere».
Ne accadono tante, quanto tempo ha impiegato?
«Sei, sette mesi di studio e altrettanti di scrittura, ci sono statetante interruzioni, sono stato a Sanremo. Scrivere il romanzo è stato come scrivere una lunghissima canzone».
Dana, una delle protagoniste, dice a Kajan: “I musicisti hanno l’espressione di chi cerca qualcosa dentro di sé, mentre tu hai gli occhi di chi cerca qualcosa fuori”.
Lei ha cercato dentro o fuori?
«Fuori ho smesso di cercare, sono stato fortunato nella vita».
Perché ha talento?
«Perché qualcuno mi ha permesso di coltivarlo e metterlo a frutto. Il talento inganna a volte, ti rende consapevole di essere più bravo ma senza lavorarci dà frustrazione. Sei convinto di essere più bravo di qualcuno, ma il lavoro batte il talento. Da solo non basta».
Descrive la ferocia della dittatura. Cosa ha capito?
«Della storia del mio paese ho capito che il comunismo, così com’era inteso dalle ideologie staliniste, è impraticabile perché se vai a privare l’essere umano della voglia di migliorarsi gli stai uccidendo il futuro. Al vertice c’era un dittatore, che ha fatto fuori anche i suoi più intimi. Il popolo moriva di fame, aveva la tessera annonaria. Gli arrivava la copia di tutti i quotidiani europei. Nel 1972 un giornale italiano parlava di un Festival albanese che imitava Sanremo, fatto dagli albanesi meglio degli italiani. Se era stato apprezzato in Italia, allora era filo occidentale: nel mio paese dovevi cantare immobile».
Le torture sono spaventose.
«Tutto documentato. Nella prigione di Spaç non c’eranoladruncoli o assassini, ma oppositori del regime: intellettuali, medici, scrittori».
Il libro esce mentre si combatte in Ucraina. Cosa pensa?
«Attraversiamo una fase strana, anche pericolosa. Tendiamo a frapporre distanza:la guerra è vicina e lontana. La modernità ci ha insegnato a distanziare la realtà attraverso lo smartphone, la vedi ma è come se stessi guardando un film. Mi chiedo perché chi scatena le guerre non si fermi per un attimo a pensare. Putin ha tutto quello che può volere dalla vita, perché lo fa?».
Ha detto: “Auguro a tutti di trovare la propria ferita e di non curarla, perché è da lì che escono le cose più importanti. Da lì sgorga la creatività”. Per lei è stato così?
«Ne sono convinto. Una ferita è una porta aperta verso un luogo inaccessibile. Poi ci sono ferite che andrebbero sigillate».
Sua madre e i suoi fratelli hanno letto il romanzo?
«Ancora no, sono ansioso di sapere cosa ne pensano».
Questa è l’estate della ripartenza: parte in tour e andrà anche in giro a presentare il libro?
«Concilio tutte e due le cose, penso che sarà bellissimo».