la Repubblica, 16 maggio 2022
Il punto sul Mezzogiorno
L’Italia dei divari è nelle storie di Daniela, Alessandro e Nunzio. Nel loro coraggio, nella voglia di futuro, nell’incapacità di forgiarlo. La recessione innescata dal Covid ha cancellato sogni, amplificato vulnerabilità, acuito le disuguaglianze.
La distanza tra giovani e adulti, uomini e donne, Nord e Sud – incancrenita da anni di disinvestimenti sociali e materiali – si è dilatata a dismisura portandosi via non solo nove punti di Pil nel 2020, ma 93 miliardi di reddito delle famiglie e 880 mila posti di lavoro. Il rimbalzo dell’anno scorso ha solo in parte posto rimedio. L’occupazione recuperata è precaria: sei contratti su sette nel 2021 erano a termine, l’86% con durata fino a sei mesi. I redditi mangiati dall’inflazione, i giovani scoraggiati dopo dad e divano forzato, il Sud come sempre lontano da tutto, l’Italia distante dalle medie europee.
L’indice di Gini che misura le diseguaglianze è ancora alto a 30 punti, ma senza l’intervento dello Stato sarebbe schizzato a 44. «Le diseguaglianze aggravate e differenziate dal Covid sono diventate multidimensionali», dice Tiziano Treu, presidente del Cnel che con Istat è impegnato in un’indagine inedita sulle diseguaglianze in Italia. «Lavoro, salari, scolarizzazione, mobilità sociale, accesso alla salute sono emergenze trasversali del Paese. Ma se crescono le diseguaglianze, rischiamo una gravissima frattura sociale».
La scommessa è il Pnrr e i suoi tre assiprioritari: donne, giovani, Sud.
Donne
«Ricamavo, ho imparato da bambina. Stavo per essere messa in regola, poi è nato Samuel e ho dovuto lasciare il posto». Samuel è disabile, deve essere accompagnato al centro diurno, ha bisogno di assistenza continua. Così Daniela Sartori, 54 anni, con altri due figli oltre a Samuel, ha messo nel cassetto il suo sogno. «Mio marito è molto presente, ma deve lavorare. Allora ho rinunciato io». Accade a Gallarate, provincia di Varese, in quel Nord con un tasso di occupazione femminile quasi doppio rispetto al Sud: 59% contro 33. E distante da quello degli uomini di “soli” 14 punti contro i 24 del divario di genere al Sud.
La scelta di Daniela non è isolata. Oltre 30 mila donne in pandemia si sono dimesse perché non riuscivano a tenere insieme tutto. Le donne “equilibriste”, come le definisce Save The Children in un rapporto recente. Tra lavoro, figli in dad, smartworking o disoccupazione hanno dimostrato una super resilienza. Pagando un prezzo altissimo. «Attenzione a dire che le donne hanno recuperato i posti persi», avverte Alessandra Tinto, ricercatrice Istat. «Lo svantaggio pregresso con gli uomini e a livello europeo non si colma, non si torna al punto di partenza. E se il part-time involontario, triplo per le donne italiane rispetto alla media Ue, sembra diminuito è solo un effetto ottico: l’involontario in pandemia è diventato volontarioper necessità». Bruciati 474 mila posti per il Covid che ha chiuso dall’oggi al domani interi settori ad alta occupazione femminile, come servizi e commercio, le donne hanno resistito come potuto, tra bonus baby sitter, congedi e rinunce. Oggi molte sono tornate a lavorare, seppur nella precarietà. Ma la distanza tra le occupate con figli piccoli e senza figli è peggiorata, dice Istat. Un divario nel divario di genere.
«Festeggiamo perché siamo al 50% o poco più di occupate, quando la media Ue è sopra di 17 punti e quella degli uomini in Italia di 18 punti», osserva Susanna Camusso, responsabile delle politiche di genere della Cgil. «Assistiamo a un proliferare di contrattini brevissimi, poche ore, pochi mesi. La faglia di venti punti di distanza tra il tasso di occupazione delle giovani donne del Sud e del Nord si è allargata e nessuno ci guarda dentro».
Nel Pnrr ci sono 4 miliardi per gli asili nido, un tentativo di certificare la parità di genere assegnando alle aziende virtuose il “bollino rosa” e la riserva del 30% dei postinei bandi. «Non so se funzionerà, non è obbligatoria e andrebbe monitorata con attenzione», nota Treu. Per Istat il 43% delle mamme tra 25 e 54 anni non è occupata (al Sud il 63%) con un divario di 30 punti sui padri. E il 39% con due o più figli minori è in part-time. Il 46% delle donne è inattivo: non studia, non lavora, non si forma. E di queste un terzo per motivi familiari contro il 2,9% degli uomini. Le riduzioni dei redditi da lavoro sono più forti per madri che padri. Si registrano più dimissioni di madri che padri, come dimostra la scelta di Daniela per amore di Samuel.
Il gender pay gap (la differenza salariale) tra uomini e donne è di oltre 20 p unti. Metà delle lavoratrici ha contratti di pochissime ore (un quinto tra gli uomini) e un rischio dipovertà elevatissimo. Le donne sono sottorappresentate nei lavori del futuro, digitali e verdi. Non hanno le stesse opportunità degli uomini. Perdono il lavoro più di loro e prima di loro e arretrano di più nel reddito e nel benessere.
Giovani
Arrivato terzo al contest MasterDef per le quinte classi degli istituti alberghieri, Alessandro Cattivelli ha 19 anni e il sogno di diventare uno chef, magari in ristoranti stellati come quelli che gli è capitato di frequentare da stagista. Anche perché in quelle occasioni sono arrivate, inaspettate, una retribuzione e pure un’offerta di lavoro. «Ma non è sempre così, in tante aziende gli stagisti vengono usati per le mansioni più umili, non sono formati né pagati. Come possiamo gettare le basi per un futuro?».
Alessandro coglie il divario più grande da colmare che diventa un diritto: quello a una formazione giusta, prima che a una buona occupazione. I giovani hanno pagato due volte la pandemia: con il record di giorni di scuola persi e con i posti di lavoro bruciati – soprattutto nel turismo, commercio, ristorazione – precari come quelli recuperati nel 2021 del gran rimbalzo del Pil dal – 9% al +6,5%. Un prezzo che ora potrebbe tradursi in ritardi nell’apprendimento, abbandoni scolastici, esclusione dal mercato del lavoro.
Lo si legge in uno studio di Boeri-De Paola- Pinotti consegnato alle commissioni Lavoro di Camera e Senato che indagano da mesi sulle diseguaglianze. Nella prima ondata di Covid (marzo-giugno 2020) l’Italia ha chiuso le scuole per più tempo di tutti in Europa. Nella seconda ondata, il Nord ha riaperto, il Sud molto meno. Gli studenti delle superiori hanno passato più giorni in dad di tutti (43%). E più giorni in dad sono associati ad una maggiore diminuzione nei punteggi Invalsi del 2021 sul 2019. Dieci giorni di dad comportano una riduzione nei punteggi dei test di italiano dello 0,2%, ancora peggio per i test di matematica.
Oltre 500 mila ragazzi hanno abbandonato gli studi nel biennio pandemico, rivela Istat. E il 13% di questi è nella fascia 18-24, diventati all’improvviso Neet, non più in formazione ma neanche al lavoro. Neet nel mirino del Pnrr che scommette risorse e una riserva di posti stabili al 30% nei bandi. Secondo i calcoli del Consiglio nazionale giovani (Cng), l’impatto occupazionale del Pnrr sulla fascia 15-29 anni al 2026 (anno finale del Piano) sarebbe di 85.399 posti in più rispetto al 2020, di cui quasi la metà (42 mila) attivata già entro quest’anno, soprattutto grazie alle missioni 1 e 2, ovvero digitalizzazione e asse green. L’impatto sul Sud sarebbe di 32.340 occupati aggiuntivi in cinque anni. Numeri non elevatissimi a fronte di 95 mila inattivi extra, lascito pandemico, nella fascia 15-24 anni (dati Istat di marzo) ancora non riassorbiti. «La pandemia ha reso di nuovo fragile la prospettiva dei più giovani, messi alla prova dall’apprendimento a distanza, da rischi per la salute mentale e da un aumento della povertà», dice Maria Cristina Pisani, presidente del Cng. «Nel 2020 tutti gli indicatori – istruzione, lavoro, welfare – hanno subito un tracollo. Abbiamo tre milioni di Neet (giovani che non studiano e non lavorano), l’Italia è ultima nella classifica Ue delle competenze». Una formazione mirata e intelligente, come chiede Alessandro, è una chiave per ridurre i divari.
Sud
L’alluvione di Sarno del 1998 tagliò in due il paese. Un mare di fango si portò via case e vite. Nunzio Molaro, oggi 44 anni, ricorda ancora gli amici persi in quella tragedia. L’anno dopo decide di lasciare la provincia di Salerno. Oggi lavora per Fincantieri come responsabile della supervisione di bordo. «A Sarno trovavo solo occupazioni in nero. Allora mi sono spostato prima a Ferrara, poi a Venezia. Mi hanno anche offerto di trasferirmi nella sede di Castellammare di Stabia. Ma ho due figli e ho pensato che tornando li avrei condannati a diventare emigrati come me, perché da noi al Sud non è cambiato niente. Il lavoro non c’è».
Nel 2019 il Sud era ancora 10 punti di Pil sotto al livello della crisi finanziaria del 2008, il Centro doveva recuperare 6 punti, il Nord aveva ripreso tutto, ma sembrava una locomotiva stanca allo zero virgola. Con la pandemia il quadro è precipitato: – 8,2% il crollo del Pil al Sud, poi il rimbalzo del 5% nel 2021. Secondo la Svimez, alla fine di quest’anno il Nord avrà completamente cancellato l’impatto del Covid, il Sud sarà leggermente sotto l’asticella del pre-Covid, ma con il fardello di quei 10 punti mai riacciuffati.
«Le nostre previsioni ci dicono che al contrario della doppia crisi 2008-2014, il Sud ora partecipa alla ripresa grazie alle nuove politiche europee non più restrittive e al Pnrr. Però c’è il nodo della qualità della crescita», dice Luca Bianchi, direttore Svimez. Dietro quel +2,9% di Pil quest’anno e +0,9% il prossimo per il Sud – «sperando che il conflitto in Ucraina non si prolunghi» – c’è l’incognita di come e su cosa saranno spesi i fondi Pnrr. «Ci chiediamo se sarà uno strumento di mera manutenzione o un intervento strutturale per chiudere i divari nei servizi pubblici essenziali», dice Bianchi. «Qui il vincolo del 40% dei fondi al Sud è debole. Su asili nido, scuole, assistenza, occupazione per giovani e donne bisogna raddoppiare l’offerta e serve molto più del 40%».
Al Sud gli asili nido coprono solo il 14,5% dei nuovi nati, al Nord siamo al 30%, l’obiettivo Ue è almeno il 33%. Le diseguaglianze in ogni campo sono abissali. Solo il 51% delle laureate al Sud tra 25 e 34 anni lavora, contro l’81% del Nord: 30 punti di divario. L’occupazione persa è tornata com’era: super precaria. E distante 22 punti dai livelli del Nord, 44 contro 62%. Divari territoriali imbarazzanti tra i giovani occupati del Sud e del Nord: 9 punti per la fascia 15-24 anni, 20 punti per quella 18-29, ben 30 punti tra 25 e 34 anni.
Le diseguaglianze si intrecciano, stratificano, gonfiano. Non ha tutti i torti Daniela a immaginare un mondo fatto di ricami e di assistenza per Samuel. Alessandro a sognare di essere chef senza arrivarci ingoiando soprusi. Nunzio a voler tornare al Sud solo se per i suoi figli non diventa una trappola da cui scappare. Questa è l’Italia dei divari. Ma anche delle speranze.