La Stampa, 16 maggio 2022
La guerra, la propaganda, la ricostruzione come nel 1945
Si intravede uno spiraglio; non per una pace vera ma almeno per una tregua che metta fine alla carneficina. Qualcosa si muove finalmente e sono stati gli Usa a fare un passo – la telefonata di Lloyd Austin a Sergey Shoigu, ministro della difesa russo – che fino a pochi giorni prima sembrava impossibile. Lasciamoci cullare da questa speranza per quanto tenue e cerchiamo, per un momento, di sottrarci all’incubo della guerra. Una tregua è solo un auspicio di pace ma pure è sufficiente per pensare al dopo, a quel tempo da tutti agognato in cui le armi smettono di tuonare e la violenza lascia il campo alla diplomazia. Per la prima volta si può almeno provare a immaginare quello che l’Ucraina dovrà affrontare quando si comincerà a ricostruire. Le zone dove hanno infuriato i combattimenti, i territori orientali e meridionali del paese sono oggi un cumulo di macerie. Sarà necessario ricostruire ponti e strade, reti ferroviarie e infrastrutture civili; si tratterà di dare una casa a chi l’ha perduta in un luogo dove i profughi possano ritornare. È una esperienza che noi italiani ancora ricordiamo perché i più vecchi l’hanno vissuta direttamente. Noi ci riuscimmo; in soli tre anni, dal 1945 e al 1948, ci scrollammo di dosso la vergogna di venti anni di dittatura, riscoprimmo la seduttività della democrazia e della libertà, con l’indice della produzione industriale che tornò agli stessi livelli del 1938, ponendo le basi per quel “miracolo economico” che, poco dopo, ci avrebbe fatto scalare le gerarchie del mondo fino a issarci al quinto-sesto posto tra le potenze industriali del pianeta. Fu lo spirito della Resistenza a spingerci verso la Repubblica e verso quel miracolo. Se è quella la strada che gli Ucraini vorranno imboccare, la loro voglia di resistere ai russi si trasformerà in un prodigioso slancio ricostruttivo, la loro lotta contro l’autocrazia potrà segnare la nascita di una nuova Ucraina convintamente democratica.
Anche qui in Italia ci sarà bisogno di “ricostruire”, di ripulire il terreno di tutti gli elementi tossici che la guerra ha inoculato nel nostro spazio pubblico, soprattutto nel dibattito politico. Troppe ne abbiamo sentito in questi mesi, troppe polpette avvelenate sono state disseminate nei vari racconti del passato ai quali ognuno dei due schieramenti attingeva nella sua propaganda e che rimbalzavano da noi, piegando la storia alle strumentalizzazioni più spinte.
Per quanto riguarda i russi, il modo stesso in cui il regime di Putin ha festeggiato la ricorrenza del 9 maggio è indicativo del delirio di onnipotenza che ha invaso l’autocrate del Cremlino e i suoi sostenitori. Voler presentare l’Urss come vittoriosa da sola contro tutti, rivendicare ai russi il merito esclusivo della sconfitta di Hitler è, appunto, pura propaganda. È vero: dal giugno 1941, – quando cominciò l’invasione hitleriana –, al giugno del 1944 – quando gli Alleati sbarcarono in Normandia – Stalin fu lasciato sostanzialmente solo. Le sue richieste per aprire un secondo fronte in grado di sottrarre uomini e mezzi alle armate naziste trovarono gli angloamericani perplessi se non ostili. Lo sbarco in Nord Africa prima e in Italia dopo (luglio 1943) non alleggerirono in maniera significativa la pressione nazista sui russi. Poi però, con l’operazione Overlord, il secondo fronte divenne una realtà e si rivelò fatale per i piani di Hitler. La trionfale marcia dell’Armata rossa fino a Berlino fu l’effetto della tenaglia che da est e da ovest strinse in una morsa mortale le truppe della Wermacht. La resa tedesca dell’8 maggio 1945 fu così una vittoria di tutti e solo la guerra fredda prima e le pulsioni imperiali di Putin dopo possono spiegare una lettura “patriottica” così distorta e lontana dalla realtà.
Dal lato dell’Ucraina poi, la reinvenzione del passato ha sfiorato il grottesco. I partigiani ucraini filo sovietici scompaginarono le retrovie tedesche risultando alla fine decisivi per fiaccare il morale degli invasori e intralciarne le operazioni sul terreno. Definirli, come è stato scritto, terroristi al soldo di Stalin è una definizione che solo la propaganda nazista di allora osò proporre e che non pensavamo mai di veder rispuntare ai giorni nostri, soprattutto ad opera degli ucraini.
Ma i seguaci di Zelensky sanno quale era la sorte che Hitler riservava al loro popolo? Nel “nuovo ordine europeo” imposto dai tedeschi, gli slavi, tutti gli slavi, russi e ucraini senza distinzione, erano collocati all’ultimo gradino della gerarchia razziale. Sotto di loro solo ebrei e zingari, sottouomini da annientare fisicamente. Gli slavi invece avrebbero potuto continuare a vivere ma come manodopera schiavile e i loro territori – come se fossero lande disabitate – erano destinati a diventare colonie di popolamento e di sfruttamento per la “grande Germania”. Nei piani hitleriani di ricerca dello “spazio vitale”, l’Urss non andava conquistata ma distrutta e la Russia, l’Ucraina e le altre repubbliche con le loro risorse (il grano ucraino, il petrolio del Caucaso) dovevano diventare elementi decisivi per alimentare la potenza della macchina bellica nazista.
I partigiani ucraini che allora impugnarono le armi contro Hitler resero possibile la sopravvivenza fisica dell’Ucraina e oggi possono essere di esempio e di stimolo per chi si batte per difendere la propria patria. —