Specchio, 15 maggio 2022
A Mestre una mostra sul passato e il futuro del cibo
A sentir parlare di cocktail di gamberi e penne alla vodka oggi a molti gourmet si rizzano i capelli in testa. Eppure quei due piatti negli Anni 80 erano di moda, un segno distintivo cui molti locali non sapevano rinunciare, così come alla rucola sparsa un po’ dovunque e alla panna usata per "tirare" i sughi. È solo un esempio per far capire come il nostro modo di mangiare sia cambiato e di molto negli ultimi decenni.
Una sorta di bussola per seguire questo cambiamento si trova nella mostra "Gusto! Gli italiani a tavola 1970-2050", curata da Massimo Montanari e Laura Lazzaroni, al museo M9 di Mestre.
Negli Anni 70 andare al ristorante era un cosa ancora relativamente per pochi, ci si andava per fare il pranzo della domenica o per festeggiare ricorrenze particolari. Ci si aspettava per questo che il cuoco (non era ancora nato lo chef, figura mediatica dominante nel secondo millennio) ci portasse piatti in qualche modo "esotici", ossia piatti che a casa non avremmo potuto mangiare. Perché a casa dominava la cucina della nonna e della mamma, legata al territorio e al mercato, che a quei tempi però ci sembrava quasi di serie B, rispetto a quanto avremmo potuto trovare al ristorante. Non che la disprezzassimo, anzi le tagliatelle o gli agnolotti come li faceva nostra nonna erano per noi i migliori del mondo, ma quasi un fatto privato. Ci sono volute rivoluzioni come quella di Slow Food per farci capire che forse la cucina di casa non aveva nulla da invidiare a quella dei locali più o meno blasonati e anzi, con gli anni abbiamo finito per rivalutare proprio le trattorie capaci di riproporcela.
I ristoranti in questi 50 anni hanno cambiato pelle, attraversati da movimenti che spesso venivano dall’estero ma che personaggi geniali sapevano reinterpretare in chiave italiana. Pensiamo alla Nouvelle Cuisine francese, nuovo verbo che negli Anni 70 aveva nei gastronomi d’Oltralpe Gault e Millau i suoi profeti e che ha scosso dalle fondamenta la nostra ristorazione. Non solo e non tanto per i prodotti e per la cura nello sceglierli, ma anche per il modo di proporli. In Italia c’era ancora l’eco del servizio al vassoio, diffuso soprattutto nelle trattorie. La Nouvelle Cuisine impone un mood "individualistico" di mangiare, con i piatti che diventano piccoli capolavori, anche estetici, ma da gustare "in privato".
Poi verrà, e saranno anni più vicini, la rivoluzione che parte da un ristorante catalano, El Burri, dove un genio di nome Ferran Adrià, cambia letteralmente le carte in tavola, inventando nuove tecniche, usando ad esempio l’azoto liquido, servendo l’uovo sferificato o la granita al pomodoro.
In tempi più recenti diventano sempre più importanti temi come la sostenibilità e la lotta allo spreco, e anche gli chef si pongono il problema di come salvare il pianeta partendo dalla tavola.
Per seguire queste evoluzioni la mostra propone accanto ai volti di una folta pattuglia di grandi chef 10 piatti iconici che hanno segnato la cucina italiana degli ultimi decenni. Si parte con il celeberrimo Carpaccio di Giuseppe Cipriani per proseguire con il Savarin di riso di Milena Cantarelli, di quella mitica osteria di paese a Samboseto, vicino a Busseto, che raggiunse l’Olimpo delle due stelle Michelin. Abbiamo l’Uovo in raviolo di Nino Bergese, cuoco che interpretava la cucina altoborghese, e gli Spaghetti alla lampada di Angelo Paracucchi.
Brilla il Risotto con la foglia d’oro, simbolo della cucina di Gualtiero Marchesi, maestro di un’intera generazione di nuovi cuochi. Ci sono i Tortelli di zucca di Nadia Santini, insuperabile esponente della cucina lombarda, e il cyber-egg di Davide Scabin, genio e sregolatezza interprete alla sua maniera del verbo di Ferran Adrià. Genio e sregolatezza anche per Fulvio Pierangelini, il cui storico piatto Passatina di ceci con gamberi è forse uno di quelli più copiati degli ultimi vent’anni.
Si finisce con l’Assoluto di cipolla di Niko Romito e il Nero su Nero di Massimo Bottura, due chef che hanno portato nel secondo millennio la cucina italiana ai massimi riconoscimenti internazionali. Ma per capire dove stiamo andando il viaggio della mostra si chiude con uno sguardo al futuro, perché c’è da scommettere che nel 2050 l’identità degli italiani a tavola difficilmente rinuncerà all’emozione di un piatto di spaghetti al pomodoro.