Specchio, 15 maggio 2022
Lo strano caso di Inigo Philbrick
Nel mondo dell’arte contemporanea, pochi nomi sono detestati come quello di Inigo Philbrick, l’art dealer accusato di una truffa da 86 milioni di dollari. Il disprezzo tuttavia non nasce per aver approfittato della buona fede degli interlocutori, ma per aver messo in discussione, con le sue azioni criminali, l’intero ambiente dell’arte. La sua storia è illuminante per riflettere su un mondo in cui l’apparenza domina spesso sulla sostanza: più che l’anomalia di un sistema, questo episodio appare come l’inevitabile metastasi di un corpo malato. Per dar forza alla tesi secondo cui nessuno è colpevole in un mondo in cui lo sono tutti, il suo avvocato ha dichiarato che «Inigo non è la causa, ma il sintomo», ed è sintomatico che per il suo cliente in disgrazia abbiano scritto lettere di supporto ben 17 celebri artisti, a cominciare da Gilbert & George.
La passione per il lusso
Trentaduenne dal bell’aspetto, con la passione per l’alta sartoria napoletana e gli orologi di lusso, Philbrick ha aperto la sua prima galleria quando aveva soltanto 24 anni dopo un apprendistato presso Jay Jopling, titolare del White Cube di Londra: è un giovane dal solido retroterra culturale: il padre ha diretto un museo nel Connecticut e la madre, laureata ad Harvard, è una docente alla Parsons School of Design. Nel suo periodo di apprendistato, Philbrick si è reso conto dell’aleatorietà di un mondo regolamentato dai galleristi più potenti, spesso in sintonia con i critici: il linguaggio dell’arte contemporanea, svincolato dalla ricerca della bellezza e da canoni estetici riconoscibili, permette a costoro di essere nella condizione di decidere in maniera incontrovertibile cosa cos’è e soprattutto quanto vale, trovando terreno fertile in un ambiente ricco e non di rado ignorante che cerca di accreditarsi culturalmente e socialmente attraverso l’arte contemporanea alla moda.
Un mondo elitario
L’insieme di questi fattori genera un mondo elitario e virtuale nel quale l’effettiva qualità di un artista rischia l’irrilevanza, e alcune opere raggiungono quotazioni a dir poco incredibili, rendendole a volte una semplice capitalizzazione anche per i collezionisti: la sostanza viene quindi mortificata sia da giudizi che non hanno il crisma del rigore, che dalla prevalenza della monetizzazione su tutto ciò che un’opera d’arte può donare, in termini di pensiero, rivelazione, catarsi e gioia. Gran parte di coloro che acquisiscono l’arte come investimento non sono neanche interessati a goderne e le opere rimangono spesso depositate presso il dealer, al pari di azioni quotate in borsa. Tornato a New York, Philbrick ha intuito che si poteva sfruttare l’area grigia che caratterizza parte di questo ambiente, e ha applicato uno schema Ponzi simile a quello messo in atto da Bernie Madoff nel mondo finanziario: ha cominciato a vendere a più persone la stessa opera, che rimaneva però in suo possesso, utilizzando gli investimenti dei nuovi clienti per attribuire i dividendi ai loro predecessori. Questo gioco ha funzionato per molti anni, garantendo a Philbrick una vita fatta di jet privati, lussi e stravizi di ogni genere, ma si è poi incrinato quando un’opera di Stingel pagata 6.7 milioni di dollari ha ottenuto una quotazione al ribasso e non gli ha permesso di restituire il denaro a tre differenti acquirenti.
L’inevitabile crollo
Come succede sempre, l’improvvisa mancanza di solvibilità ha spaventato tutti gli altri clienti che, a cominciare da un inevitabile oligarca russo, hanno iniziato a esigere la restituzione immediata dei rispettivi investimenti. Terrorizzato, Philbrick ha tentato di fuggire con il bottino mentre, con l’eccezione degli artisti che gli sono rimasti amici, l’ambiente dell’arte contemporanea lo ha additato come la mela marcia della quale sbarazzarsi al più presto. Dubito che questa brutta storia generi una riflessione seria sulle degenerazioni di un mondo opaco a dispetto del proprio glamour e chissà perché mi viene in mente la definizione del cinico coniata da Oscar Wilde: «una persona che conosce il prezzo di tutto e il valore di nulla».