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 2022  maggio 15 Domenica calendario

Biografia di Enrico Bertolino raccontata da lui stesso

Quando si diventa famosi, dopo i 40 anni, è molto difficile montarsi la testa. Quando poi si decide di tenersi sempre un altro lavoro «perché non si sa mai», si resta inevitabilmente persone normali. E la normalità nel mondo dello spettacolo è merce rara. Enrico Bertolino è nato a Milano nel 1960. È alto, garbato, colto. Assomiglia un po’ a Raimondo Vianello, anche se lui allo humour inglese, preferisce la comicità graffiante, talvolta ruspante, la satira politica. 
Bertolino cominciamo dall’infanzia. Serena o complicata? 
«Quando da piccolo comunicai che volevo fare l’attore, i miei genitori mi dissero che non c’erano soldi. Mio fratello maggiore, facoltà di Lettere e poi insegnante e preside, aveva già deluso le aspettative di mio padre che faceva l’idraulico. Ci fu una mezza tragedia. Sono solo riuscito a rifiutare ragioneria, e ho fatto il turistico. Mia mamma pensava che mi preparassero a fare il turista. Fatto sta che, finite le superiori, la Kuoni mi ha preso per uno stage: facevo i biglietti e imbustavo programmi per le fiere. Almeno ho imparato le lingue: italiano, portoghese, francese, inglese». 
Com’erano le sue vacanze? 
«Fino a 18 anni solo a Locana Canavese, dai nonni. Mai visto il mare fino a quell’età». 
Poi arriva il militare 
«Sono finito in una Base Nato di Abano Terme. Io ero in servizio la notte di Ustica. Ricordo che hanno spento tutti i radar e ci hanno mandato via». 
E finito il militare ha dovuto trovare lavoro? 
«Mio padre mi disse di mandare i curricula in banca perché c’era bisogno di soldi in casa. Ne ho inviati 7, alle banche che avevano una sede bella in centro a Milano. E mi chiamò la Standard & Chartered Bank in piazza Meda». 
E resta in banca, ben 11 anni... 
«Sì. Con la liquidazione ho comperato la pelliccia a mia mamma. Lei mi disse incavolata: “Ma tanto dove vado!”. In effetti non la mise mai, ma quando era anziana, sulla sedia a rotelle, voleva la mia pelliccia». 
Chiuso il capitolo banche, che succede? 
«Succede che la mia fidanzata di allora, a una cena mi presenta Gianluca che ha una attività di consulenza e formazione manageriale. Mi dice: “Saresti una risorsa interessante. Cerchiamo uno che abbia voglia di mettersi in gioco e di fare un corso in Danimarca”. Accetto. Mi licenzio dalla banca e a mio padre dico che prendo una lunga aspettativa. È morto pensando che io fossi ancora in aspettativa». 
Va in Danimarca a studiare o a divertirsi? 
«Tutte e due le cose. Lì ci insegnano come pianificare il tempo, come organizzare la giornata lavorativa. Ci sono altri “studenti” di tante nazionalità e sembra di vivere al Grande Fratello. Torno a Milano e comincio a girare le aziende come formatore. Per 11 anni insegno a gestire il tempo, a parlare in pubblico». 
Banche, consulenze... Ma quando entra nella sua vita il mondo dello spettacolo? 
«Avevo 37 anni. In tanti mi dicono: “Fai tv, sei bravo”. Vado alla “Ca’ Bianca”, un locale di Milano e mi propongono di fare lo scaldapubblico: “Fai 10 minuti, poi arriva l’artista”. Gli rispondo: “Io sono stato dirigente, vengo a fare il pagliaccio?”. E il capo: “Qui bisogna far ridere”. Accetto la sfida e per tre anni, oltre al mio lavoro, il venerdì, sabato e domenica salgo sul palco. Ovviamente perdo tutte le fidanzate perché lavoro sempre». 
Però almeno una è riuscita a trattenerla... 
«Sì. Avevo 35 anni, ero in aereo e tornavo da una vacanza in Brasile. Davanti a me ci sono due ragazze brasiliane bellissime: Adriana (Lima) e Edna. Mentre aspettiamo i bagagli chiedo a Edna se mi dà una mano a migliorare il portoghese. Mi dice sì e cominciamo a frequentarci. Siamo ancora insieme, ma non ci siamo mai sposati. Abbiamo una figlia, Sofia, di quasi 13 anni». 
Ritratto di Enrico privato. 
«La mia vita privata risente molto del mio lavoro, sono spesso via. Che papà sono? Molto apprensivo essendo genitore tardivo». 
Che rapporto ha con Sofia? 
«Molto bello. Lei è tanto avanti, ha 12 anni ma questi ragazzi vanno trattati da ventenni. Percepiscono tutto della vita, hanno grande proprietà di linguaggio. Insomma lei va avanti, io regredisco. Le faccio gli scherzi con il naso di gomma e lei mi dice “Papà, ma sei scemo, non fai ridere!”. È la tik tok generation, più veloce». 
Vuol dire che lei si sente vecchio? 
«Diciamo anziano. Il mio show teatrale “Instant theatre”, uno spettacolo itinerante e “modulare” come l’Ikea, prevede l’anzianometro. Ci sono vecchie sigle dei programmi tv. Comincio con “Dove eravamo rimasti?” (la frase con cui ricominciò Enzo Tortora a “Portobello”) e la gente si ricorda... Allora capisco che ci sono gli anziani in sala...». 
Lei è un uomo tanto impegnato nel sociale. Ha fondato anche una onlus in Brasile 

«Nel 2004, io e Edna siamo partiti per Pititinga, nello Stato di Rio Grande del Nord, e abbiamo comperato una piccola casa sulla spiaggia. Da lì con l’aiuto di Smemoranda, Gino e Michele e il gruppo di Zelig, abbiamo creato la “Pititinga Fundaçao”. Ora la Fondazione è gestita direttamente dai brasiliani, ma sono felice, è stato un bel progetto». 
Tanti amici sono venuti a trovarvi in Brasile e hanno comperato casa, è vero? 
«Sì, dopo essere venuti da noi, si sono innamorati del luogo e hanno preso casa Natasha Stefanenko, Fabio Testi, Bio Brioschi di Smemoranda; Giovanni Storti (di Aldo, Giovanni e Giacomo). Li ho aiutati a comperare casa, se no venivano sempre ospiti da noi...». 
E poi la sua frequentazione dell’Opera San Francesco a Milano e la sua amicizia con fra Marcello... 
«Lui è il priore di questo ente benefico che dà da mangiare ai poveri. Fra Marcello è un grande: parliamo sempre di fede, gli chiedo consiglio, se c’è il limbo oppure no. Abbiamo un progetto di girare le abbazie in bicicletta». 
Torniamo allo spettacolo. Dopo tre anni di scaldapubblico, arriva la svolta? 
«Sì, comincio a fare i miei spettacoli. C’erano Raul Cremona, Mago Forest. Ale e Franz. Ricordo tutti noi, un capodanno alle 4 del mattino, seduti aspettando di essere pagati. Poi di corsa alle 5 del mattino a fare il doppio spettacolo a Zelig». 
Arrivano i primi successi televisivi con «Ciro, il figlio di Target» che poi si chiamerà in diversi modi. Lei comincia lanciando il suo personaggio del Meneghetti, un avido imprenditore milanese, e poi diventa conduttore del programma per varie edizioni. 
«L’ho condotto con Natasha Stefanenko, una partner con cui c’è sempre stato grande affiatamento. Siamo rimasti tanto amici, venivamo da momenti difficili e abbiamo stabilito un rapporto profondo. Poi tante edizioni, tanti comici». 
Quali sono i comici che le piacciono? 
«Max Angioni, Antonio Ornano, Michela Giraud sono i nuovi giovani talenti che mi piacciono. E continuo a ridere con Mago Forest e Raul Cremona che sono la sublimazione del mago stupido. Come mi fa ancora ridere tanto la panchina di Ale e Franz». 
La sua comicità è diversa da quella di oggi? 
«Quando vedo Lol per me è un altro mondo. Uno come Corrado Guzzanti che è una icona di comicità secondo me si sente a disagio a Lol». 
E quel simpatico siparietto al Costanzo Show, tanti anni fa? 
«Si parlava di ragazzi autonomi e indipendenti. Io dissi: “Non avevo il becco di un quattrino, sono rimasto a casa fino a trent’anni”. Costanzo basito: “Ma lei non è mai cresciuto!”. E io: “Ma mia mamma mi faceva il vitello tonnato, metteva la lavanda nel colletto della camicia!”. Costanzo sempre più sbalordito, a quel punto fa chiamare mia madre al telefono che conferma tutto e mi chiede in diretta, in puro milanese, come avessi 5 anni: “Nani, come te sté”». 
C’è un momento buio nella sua carriera televisiva e umana... 
«Mi è stato proposto “Festa di classe” su Rai 2. La prima puntata fa il 20%. La seconda, nove punti in meno. Alla terza puntata non ci sono arrivato: venni sostituito. Restai chiuso nella stanza di un residence romano per giorni e ho saputo dalla sarta che non dovevo più condurre perché il mio abito lo stava provando Pippo Franco». 
Ne è uscito massacrato? 
«Non è stato facile, certo, ma è stata colpa mia: non ero adatto a “Festa di classe”, ero sbagliato. Io non so far piangere la gente». 
Come ne è uscito? 
«Per fortuna avevo il mio lavoro e allora pensai: “Basta, con la tv ho chiuso. Basta figure di merda”. Ma Gregorio Paolini mi ha richiamato per condurre “Convenscion” a Napoli. Gli dissi: “Senti, già Roma mi ha ucciso, figurati Napoli”. Invece mi sono innamorato di Napoli, ora è la mia seconda città, piena di gente meravigliosa. Il programma andò bene e mi sono riconciliato con la tv». 
E poi infatti arriva «Glob» satira politica molto divertente su Rai 3, tra il 2005 e il 2014. Con uno stop di due anni: Berlusconi non la amava molto... 
«Ormai ci scherzo su, ma effettivamente Berlusconi non gradì e per due anni la Rai non mi fece il contratto. Prendevamo in giro la Carfagna, ma ammetto che lo facemmo in malo modo. Fatto sta che il ministro Bondi scrisse una lettera definendo il programma “volgare e ributtante”». 
Cosa la fa felice oggi? 
«Sono risolto, sto bene, per me il lavoro è dignità. La rivincita dei normali mi fa felice: penso per esempio ad Amadeus, me lo ricordo a Napoli, faceva una fatica... Oggi è inutile fare i fenomeni, la normalità è la vera trasgressione».