La Stampa, 15 maggio 2022
Mercati in calo da sei settimane
Per le Borse mondiali l’inverno non sembra mai essere terminato. Dopo un tiepido rimbalzo durante la seconda metà di marzo, è iniziata l’altalena, seguita poi da un calo. Netto. Sei settimane di fila in contrazione: l’S&P 500 ha perso il 20% dal suo picco di fine marzo e il 15% da inizio anno, il Nasdaq 25 punti percentuali da gennaio a oggi, il Ftse Mib ha ceduto quasi il 13 per cento. Una parabola discendente che non si vedeva dal quel 2008 in cui il collasso di Lehman Brothers scosse l’universo finanziario globale. E potrebbe non essere conclusa.
Non è ancora la tempesta perfetta, ma poco ci manca. La guerra in Ucraina, un’inflazione fuori controllo, una crisi alimentare alle porte e le mosse delle banche centrali, di difficile lettura per investitori e risparmiatori, stanno trainando al ribasso i corsi azionari. «Forse è ancora presto per dire che siamo in un “bear market” (mercato ribassista, ndr), ma di sicuro non è uno scenario così remoto», hanno spiegato gli analisti di Wells Fargo a metà settimana. I dati sono sotto gli occhi di tutti. L’S&P 500 ha chiuso la sessione di venerdì in ribasso del 20% dal suo massimo storico, avvicinandosi al territorio del mercato ribassista, mentre lo Stoxx 600 paneuropeo ha bruciato quasi il 12% da inizio anno e l’MSCI Asia (escluso il Giappone) ha perso il 18,62%. Ma quello che preoccupa di più è il Nasdaq, l’indice dei titoli tecnologici di Wall Street, che è in costante picchiata.
La soluzione, per ora, non sembra esserci. La banca centrale statunitense, la Federal Reserve, ha già alzato i tassi d’interesse due volte – 25 punti base a marzo e 50 a maggio – nel tentativo di frenare le fiammate dei prezzi. La prossima sarà la Banca centrale europea (Bce), che aspetterà l’aggiornamento dei dati macroeconomici di giugno per poi inizierà a innalzare il costo del denaro in luglio. Il problema, come spiega Geraldine Sundstrom, economista di Pimco, le armi delle istituzioni monetarie sono poche. E il rischio è quello di un «atterraggio morbido» è sempre più complicato. In altre parole, è difficile che i ribassi di Borsa si possano fermare in modo repentino. «Gli operatori percepiscono che ci sono troppi rischi sui mercati, tanto sull’azionario quanto sull’obbligazionario, perché la normalizzazione della politica monetaria sta portando a un rialzo dei tassi d’interesse dei bond governativi», ha evidenziato una nota di Morgan Stanley riservata ai clienti istituzionali. Trovare asset sicuri e rendimenti positivi, per i trader, sarà arduo.
Non deve trarre in inganno il rimbalzo globale registrato venerdì scorso. «Non ho mai visto un mercato ribassista terminare nel bel mezzo di un ciclo di strette monetarie», spiega Ron Insana, senior advisor di Schroders Nord America. «Di solito – aggiunge – per rimbalzare veramente un mercato dev’essere convinto che la Fed stia arrivando alla fine di quel ciclo, per cui propendo per la tesi che quello di venerdì sia stato un rimbalzino». E non è questo il caso, visto che né la Fed né la Bce hanno concluso l’exit strategy. La conseguenza, dice, è una correzione poderosa, che potrebbe durare fino a fine anno, a cui si unirebbe una recessione in caso di prolungamento del conflitto in Ucraina. Concorda in parte Antonio Cesarano, chief strategist di Intermonte: «Questo clima mediamente potrebbe ancora durare, ossia prevalenti temporali intervallati da sprazzi di sole e cielo terso, con corposi recuperi come quello di venerdì scorso».
La certezza è che ci saranno ulteriori tensioni. «Mi aspetto altri cali e penso che, nelle settimane a venire, dovremo passare attraverso dell’altra angosciante volatilità», fa notare Sam Stovall, a capo delle strategie azionarie di Cfra Research. Nuove gelate sono attese.