la Repubblica, 15 maggio 2022
L’offerta degli Usa al Cremlino per una tregua
Dopo Lloyd Austin, il capo degli Stati Maggiori Riuniti Mark Milley, che vuole parlare col collega Gerasimov per scendere nei dettagli operativi della guerra in Ucraina. Da una parte il Pentagono guida la ripresa del dialogo con la Russia, prima del dipartimento di Stato, che resta comunque pronto a subentrare nel negoziato diplomatico, quando Putin dovesse convincersi che è necessario perché non può prevalere sul campo di battaglia. Dall’altra, però, i militari americani fanno capire a Mosca che non molleranno mai, tanto è vero che hanno appena ordinato la rotazione di 10.500 soldati in Europa Orientale, mentre aspettano la settimana prossima il via libera del Senato al nuovo pacchetto di aiuti per Kiev da 40 miliardi di dollari. Sono le direttive su cui si muove la strategia per l’Ucraina, in bilico tra dialogo e minaccia di un’escalation militare ed economica.
I segnali del Cremlino dopo la chiamata di venerdì fra Austin e il collega Shoigu non sono stati incoraggianti. Putin ha staccato la luce alla Finlandia per punirla dell’ingresso nella Nato, confermando tutte le motivazioni profonde di Helsinki e probabilmente Stoccolma, mentre Ankara lascia intendere che l’opposizione di Erdogan si riferiva in realtà al tentativo di barattare il via libera con qualche concessione. Il ministro degli Esteri Lavrov ha accusato l’Occidente di aver scatenato una «guerra ibrida contro la Russia ». Queste uscite però, unite alle ricorrenti voci sui gravi problemi di salute di Putin rilanciati dal capo dell’intelligence ucraina Budanov, rivelano che nel regime iniziano a coagularsi correnti diverse.
Nessuno si aspettava che una telefonata tra Austin e Shoigu risolvesse la questione. Se però ha accettato la chiamata, dopo un silenzio che durava dal 18 febbraio, un motivo c’è. Autorevoli fonti Usa coinvolte nel dossier notano che «Austin ha chiesto il cessate il fuoco, ossia lo stop dei combattimenti sulla linea attuale del fronte, e non il ritiro delle truppe russe dai territori occupati. Ciò potrebbe rappresentare un’apertura interessante per Mosca, ossia l’ipotesidi convincere Kiev alla rinuncia ad alcune zone controllate dal Cremlino, in cambio di una pace duratura che dia garanzie proiettate verso il futuro su sicurezza, sovranità e integrità del resto del paese. Il passaggio potrebbe essere sancito con un referendum in parti del Donbass, che darebbe copertura politica a tutti. Sarebbe per certi versi lo scambio a cui lavora anche il presidente francese Macron, cercando di coinvolgere il leader cinese Xi, per convincere Putin che è l’unica via percorribile ». Temi al centro anche del vertice tra i ministri degli Esteri Nato a Berlino, nonostante nell’amministrazione Biden e tra gli alleati ci siano resistenze di chi non vorrebbe fare alcuna concessione al «criminaledi guerra». Ora la palla torna nel campo del Cremlino. Se rifiuterà l’ipotesi prospettata da Austin, l’alternativa sarà combattere a tempo indeterminato. Ma non è chiaro se converrebbe a Putin, e se i militari sarebbero disposti a seguirlo, considerando le ricorrenti notizie di ammutinamenti e le voci di golpe.
Gli analisti americani notano che la seconda offensiva nel Donbass è avviata verso lo stallo, conla prospettiva di un lungo conflitto congelato, come prima del 24 febbraio. I russi hanno mandato rinforzi, facendo salire a 105 i battaglioni schierati in Ucraina, però avanzano lentamente. Hanno guadagnato terreno vicino a Popasna, ma l’attacco su Slovyansk ha incontrato forte resistenza. Il tentativo poi di attraversare il fiume Siverskiy Donets per circondare l’area metropolitana di Severodonetsk è fallito vicino al villaggio di Bilohorivka, con l’umiliante perdita di uomini e la distruzione di oltre 70 mezzi corazzati. Kiev invece ha lanciato la controffensiva a Izyum, dopo Kharkiv. E questo prima di ricevere il grosso delle armi pesanti occidentali e l’addestramento, che entro giugno dovrebbe metterla in condizione di contrattaccare duramente. Mosca conserva il vantaggio numerico, ma potrebbe diventare un’arma a doppio taglio, se fosse costretta a ordinare la mobilitazione generale e richiamare i riservisti. Le sanzioni poi richiedono tempo, però la prospettiva è che danneggino sempre di più l’economia russa, soprattutto se l’Europa adottasse l’embargo dell’energia.