Robinson, 14 maggio 2022
Il Battiato mai conosciuto
«La sala era semivuota, gli esecutori per niente affiatati, le improvvisazioni strumentali sono state affiancate dai gorgheggi di una cantante (dilettante e bravissima) ma la suggestione e il calore della voce umana, che ultimamente Battiato sfrutta moltissimo, non hanno salvato un’esecuzione fiacca e povera di idee»: era il 1976. Un recensore non esattamente entusiasta de l’uno, giornale culturale allegato aLinus, riferisce lo spaesamento del (poco) pubblico di Franco Battiato dopo la svolta d’avanguardia “colta” che segue il periodo diFetus, Pollution eSulle corde di Aries (dal 1971 al 1973). Un periodo che, pur sperimentale, offre riferimenti elettronico-psichedelici in cui il pubblico del rock si può riconoscere, mentre dal 1974 al 1978 Battiato sterza in un campo davvero complesso i cui riferimenti sono da una parte Stockhausen e, dall’altra, i minimalisti americani come Steve Reich e Philip Glass.
Testimonianza di questa ricerca, oltre ai concerti, sono cinque album:Clic(1974),M.elle le “Gladiator” (1975),Battiato(1977),Juke Box (1978) eL’Egitto prima delle sabbie (1978). Si tratta di dischi sconosciuti ai più, dei quali non si parla praticamente mai ma, per fortuna, adesso arriva un interessante libro a colmare la lacuna: si intitola Cafè Table Musik,come una delle composizioni più importanti di questo periodo “perduto”, ed è stato curato dal compositore, musicologo e direttore d’orchestra di fama internazionale, fondatore dell’ensemble di musica contemporanea “Sentieri selvaggi”, Carlo Boccadoro. Il saggio nasce, oltre che dalla volontà di illuminare un periodo molto importante dellastoria artistica di Battiato, da un fatto fondamentale: il ritrovamento di una serie di partiture inedite avvenuto nel 2021.
Come è avvenuta la scoperta?
«È il frutto di una lunga ricerca negli archivi della SIAE, mentre altre partiture sono state ritrovate dopo più di 40 anni da Antonio Ballista (grande pianista d’avanguardia che ha accompagnato Battiato in questo fecondo periodo, ndr) ».
Perché è così importante?
«Per molti motivi: il primo è che sono diversissime da quello che troviamo sui suoi dischi. Mancano dei pezzi, gli organici sono diversi da quelli previsti, un pezzo per due violini si scopre che in origine era per soprano e violino. Si capisce insomma che per lui erano materiali di partenza che si evolvevano in studio. E poi perché permette di eseguirli dal vivo».
Mi sembra che questi cinque album abbiano una loro uniformità, data anche dalle copertine realizzate con la grafica di Convertino, come in “Clic”, o dai disegni del pianista Antonio Ballista per gli altri.
«Sì, è come un mondo chiuso, una parentesi, tanto che si può fare un libro, come ho fatto io, senza parlare né del prima né del dopo. Che poi è anche il problema che certi critici attribuiscono alla musicacontemporanea d’avanguardia, mentre per altri questo isolamento totale è parte del suo fascino. Delle cose più pop fatte prima con Gaber non c’è traccia in questi progetti: lui stesso vuole tenere chiusa questa bolla di cui però evidentemente, a un certo punto, si stanca e la sfascia».
Come ricorda anche lei nel suo saggio, uno dei pezzi pop più famosi di Battiato, “Up patriots to arms”, recita addirittura nel ritornello: “La musica contemporanea mi butta giù”. Come mai?
«Perché nel suo caso c’erano diversi problemi: Battiato non veniva dastudi accademici anche se dopo li ha fatti. E quindi aveva questo marchio di Caino che si portava dietro perché veniva dal rock. Una cosa che purtroppo dura ancora oggi: a me è successo, recentemente, di proporre un progetto nel mondo classico sulle opere Battiato e mi sono sentito dire di no, “perché poi lui ha fatto il pop”.
Una specie di damnatio memoriae al contrario! Io ho ribattuto: “Però questi non sono pezzi pop!”.
Risposta: “È vero, in teoria andrebbero bene se non ci fossero state le cose venute dopo”».
Battiato cosa avrebbe detto?
«Si sarebbe fatto delle grandi risate.
Però il fatto grave è che nel mondo cosiddetto classico e accademico nei suoi confronti c’è ancora moltissimo sospetto, anche se bisogna dire che le cose stanno lentamente cambiando: credo che il fatto che stiamo preparando anche delle edizioni a stampa delle partiture che poi verranno messe a disposizione di altri musicisti classici aiuterà.
Quest’anno, per esempio, verrà ripresa anche la suaMessa arcaica. È un lavoro molto lento, ma la musica classica ha dei tempi lentissimi, ci vorranno anni, ma credo che questo muro a poco a poco si eroderà e si vedrà Battiato come un autore che ha la stessa dignità e merita lo stessorispetto di altri».
Ma perché avviene questo, secondo lei?
«Semplice: non gli si perdona il successo commerciale».
Eppure Battiato mi raccontava della sua amicizia con uno dei pilastri dell’avanguardia, Stockhausen: mi disse che era stato proprio lui a consigliargli di imparare a leggere la musica.
«Quello dello snobismo verso il pop è un problema solo italiano: lo stesso Stockhausen era una delle figure in copertina diSgt. Pepper’s dei Beatles e ha influenzato Miles Davis, Zappa, Mingus, i Grateful Dead. E sì, sempre Stockhausen ha insegnato in prima persona a Battiato a leggere le note e i primi rudimenti del solfeggio quando andò a trovarlo a casa sua a Kürten. Gli disse che anche se voleva fare il cantante pop gli sarebbe servito conoscere la musica e così Battiato quando tornò si iscrisse al Conservatorio».
Lei racconta anche che Franco giocava a poker con Calasso e Berio, il quale perdeva quasi sempre e si arrabbiava moltissimo…
«Lui lo diceva sempre ed era talmente divertente che non potevo non scriverlo, anche se non ho modo di verificare se sia vero. Quello che posso dire è che ho avuto la fortunadi lavorare con Luciano Berio e che in effetti, dato il suo carattere, non è da escludere (ride,ndr) ».
Quando ha incontrato Battiato per la prima volta?
«La prima volta che l’ho visto in concerto è stato nel tour diPatriots:mi piacque talmente tanto che ci ritornai anche la sera dopo. Poi, siccome abitavo vicino allo studio di Alberto Radius, l’ho visto lì mentre registrava dischi importanti come La voce del padrone; ovviamente io ero solo un ragazzo. Anni dopo l’ho intervistato a Radio Popolare di Milano dove, insieme a Filippo DelCorno e Angelo Miotto, ho creato il progetto “Sentieri selvaggi”, che era una trasmissione radiofonica di musica dal vivo ma anche un ensemble musicale. Anni dopo Franco mi ha chiesto di lavorare con lui alTelesioed è stata un’esperienza magnifica. Avremmo dovuto lavorare insieme anche a un’altra opera su una cosmonauta russa che però, per i soliti motivi di fondi, non è andata in porto. La prima delTelesiorealizzata con ologrammi 3D fu costosissima ma la porto davvero nel cuore: era davvero avanti per i tempi (era il 2011,ndr).Conoscere Battiato per me è stata una bellissima esperienza, umana e artistica» .
Alla fine chi è per lei Battiato?
«È un musicista molto interessante, che si è mosso in tanti ambiti e che merita di essere giudicato senza pregiudizi. Le sue composizioni di musica contemporanea devono essere suonate dal vivo, devono circolare e adesso, con le partiture, sarà possibile. I suoi dischi di questo periodo, ormai introvabili, devono essere ristampati: insomma gli si deve dare giustizia anche in questo ambito. Poi, se sarà considerato un compositore a livello di grandi come Berio o Stockhausen, tolti i pregiudizi, lo deciderà la storia» .