Robinson, 14 maggio 2022
Non possiamo non dirci freudiani
Un’altra biografia di Freud? Dopo quella di Ernst Jones ( reverenzia-le), di Peter Gay ( conflittuale), di Ronald Clark ( lacunosa), Elizabeth Roudinesco ( avventurosa) e molte altre? Sì, ed è benvenuta perché Freud è un work in progress, Freud sono tanti, non uno solo, dunque ogni sua biografia è anche uno specchio del nostro essere/ non essere più/ non essere affatto freudiani. L’ultima arrivata, tradotta per Hoepli da Aglae Pizzone e Lorenzo Marinucci, l’ha scritta Peter- André Alt, biografo di Kafka, studioso di Schiller e professore di letteratura tedesca alla Freie Universität di Berlino. Un biografo che viene dalle lettere va bene per un autore che vinse il premio Goethe. Si intitola Sigmund Freud. Il medico dell’inconscio ed è molto apprezzabile questo rendere subito giustizia al Freud medico. Un medico che di fronte al sintomo del dolore psichico finalmente diceva: «Concedo, anzi no: esigo che il medico, in ogni caso per cui si può trattare di un’analisi, faccia la diagnosi». Il titolo originale della biografia, Sigmund Freud. Il medico della modernità, consegna la vita del grande viennese al cammino del tempo e della storia. Tanto che, senza nulla togliere all’acribioso lavoro documentario, materiali inediti compresi, il tomo di Alt sembra a tratti permettersi il respiro del romanzo storico. Come potrebbe essere altrimenti per una vita che scorre tra Ottocento e Novecento e parla di sessualità e sogno, di guerra e inconscio, di mito e fiaba? E tutto questo a Vienna, nella mente e nel cuore di un ebreo ateo. Novecento pagine scandite in diciotto capitoli abili nell’intrecciare tempo storico e tempo psichico. Èinfatti il tempo, con i suoi andamenti rettilinei e circolari, il protagonista di questa biografia, come del resto lo è dell’esperienza analitica. Vita d’inconscio, creazione e memoria che qui diventano patrimonio dell’umanità. Sappiamo bene quanto, oggi in psicoanalisi, l’ortodossia freudiana sia cosa d’altri tempi, ma anche sappiamo che le intuizioni e i racconti di Freud sulla natura e il dolore umani sono così profondi e ormai parte di noi che non possiamo non dirci “freudiani”. La psicoanalisi si è trasformata, lei sì non è più “freudiana”; ma nonostante i libri neri e i detrattori, la corsa alla semplificazione e il neo- riduzionismo, continuo a credere, con Auden, che «egli in silenzio accompagna la nostra crescita».
Uscita a pochi giorni dal suo compleanno ( Freud nasce il 6 maggio 1856), questa nuova biografia è anche un modo di festeggiare la psicoanalisi come motore mentale. Per esempio ricordandola come il terzo grande scossone al narcisismo della specie umana: dopo Copernico, che ha spostato la Terra dal centro dell’universo e Darwin che ci ha sfilato di mano lo scettro tra le specie, la scoperta dell’inconscio ci ha insegnato che non siamo padroni a casa nostra, «sovrani della nostra psiche».
Se la frase scelta da Peter Gay per inaugurare la sua biografia è «non c’è uomo così grande per cui sarebbe una vergogna essere sottoposto alle leggi che governano con pari severità l’attività normale e patologica», a indicare l’intenzione non agiografica del suo scritto, Alt opta per una frase che Freud scrisse a Jung: «anche la biografia deve diventare nostra». Dunque biografiacome psicoanalisi, conoscenza di sé che prende corpo quando la nostra storia incontra un ascolto che la trasforma. Accade anche con i libri, tra chi li legge e chi li scrive.
Tra le tante ragioni che sostengono la proposta al pubblico del lavoro biografico di Alt, la prefazione di Silvia Vegetti Finzi ( che in questi giorni firma la prefazione anche di un altro volume dedicato alla ricostruzione identitaria della biografia freudiana: Freud genio infedele. Identità di un ebreo tedesco irreligioso, di Francesco Marchioro per l’editore Franco Angeli) ne coglie una con cui simpatizzo immediatamente. È l’idea che Freud, come autore classico che sopravvive agli studi specialistici, è «sempre disponibile ad accogliere le nostre domande e a orientare il nostro inquietocercare». Soprattutto in un momento come questo non possiamo dimenticare saggi come Considerazioni attuali sulla guerra e la morte oDisagio della civiltà, e il carteggio con Einstein che gli pone la domanda «c’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?».
A 83 anni dalla morte di Freud c’è un altro verso di Auden che rimane intatto: «in nome suo viviamo vite diverse». Riassume in sei parole il lungo discorso che Thomas Mann lesse per i suoi 80 anni: «Anche se il futuro riplasmerà o modificherà questo o quel risultato delle sue ricerche i concetti che egli ha formulato sono già entrati con naturalezza nella lingua vivente, e siamo certi che se mai alcuna impresa della nostra specie rimarrà indimenticabile, questa sarà proprio l’impresa di Sigmund Freud».