Robinson, 14 maggio 2022
Il divo Lombroso
Lombroso la star. Lombroso, inquietante richiamo. L’inaccettabile Lombroso tra fascino e orrore. L’aggettivo “lombrosiano”. Lombroso l’ombroso, ma anche il magnetico. Impossibile immaginare una figura più contraddittoria e divisiva, eppure Cesare Lombroso continua a essere citatissimo (più che letto, ma è così da sempre), nonostante le sue teorie non abbiano alcuna credibilità né riscontro scientifico, dalle idee sull’atavismo e sul marchio fisiognomico dell’uomo (e della donna) criminale, per tacere della fossetta occipitale. E se il Museo Lombroso di Torino resta un luogo magnifico e sinistro per il visitatore, uno spaccato di storia umana e non solo di criminologia e antropologia, ecco che un interessante saggio scritto da Livio Sansone per Laterza, La Galassia Lombroso, ci svela la portata di Cesare Lombroso nella cultura sudamericana e la sua elaborazione nel tempo.
Anche se Lombroso non mise mai piede in Brasile o in Argentina, nei primi anni del Novecento i suoi più stretti collaboratori ci andarono eccome, cominciando dalla figlia Gina e dal genero Guglielmo Ferrero. Vennero accolti come stelle della cultura, e quasi dello spettacolo. Firmavano autografi, tenevano conferenze a pagamento, erano portati in giro per l’America Latina per mesi, a spese degli Stati ospitanti, avevano a disposizione treni interi e «orchestre da trenta professori». Quando la figlia di Lombroso scendeva dal piroscafo, l’attendevano giornalisti e fotografi. Gli impresari teatrali riempivano le platee. E dopo le esibizioni, perché di questo si trattava (l’oratore Enrico Ferri curava la voce come un tenore, capriccicompresi), erano cene “alla francese” con i migliori cibi e grandi vini.
Ma come? Tutto questo per la figlia e il genero di colui che sosteneva che briganti si nasce? Per colui che scrisse che con i piedi piatti, o da mancini, è più facile darsi al crimine? Le cose sono assai più complesse, e Livio Sansone lo spiega con storica puntualità. La clamorosa, trionfale ricezione di Lombroso in Sudamerica va infatti collocata nel dibattito ottocentesco su razza e diversità umana, sull’opportunità delle colonie e della fine della schiavitù. Argomenti come atavismo, degenerazione, ipnosi, fisiognomica ma anche alcolismo, cretinismo, genio e follia, per non parlare dello spiritismo che permeò gli ultimi anni e gli studi conclusivi del professore veronese (di nascita, ma per tutto il resto torinese), ebbero una presa incredibile su pensatori e popolazioni d’oltre oceano. Tra la fine del “lungo Ottocento” e il primo decennio del secolo nuovo, Cesare Lombroso era l’intellettuale italiano più famoso al mondo, influenzando giganti come Tolstoj, Zola e Conrad. Il suo ritratto a olio accanto a quello di Garibaldi non poteva mancare sul palco dove la figlia, il genero e gli altri collaboratori discettavano di argomenti tra loro diversissimi, con notevole foga oratoria e, non raramente, con altrettanta approssimazione. Ma quegli spettacoli piacevano da impazzire e crearono una moda, anche se non fu soltanto suggestione teatrale: Argentina e Brasile si ispirarono alle teorie lombrosiane per realizzare carceri e manicomi, nonché per riscrivere il codice penale. La questione di fondo restava quella delle classi pericolose, e dell’arginarle dopo averle classificate. Come se le persone, anche le più turpi, fossero farfalle o piante.
Tra nazionalismi e modernità, la Galassia Lombroso si allargò presto in Francia, Germania e Olanda, ricevendo però notevole freddezza, prima di ottenere interessato ascolto in Spagna e Portogallo, e quel grandioso successo in America Latina. Anche il presidente Roosevelt volle conoscere Gina Lombroso e il marito Guglielmo, invitandoli alla Casa Bianca. I lombrosiani riempivano pagine di giornali e riviste con articoli assai ben pagati, e il “maestro” finì con l’influenzare le politiche sociali di numerosi Stati. Il fascino effimero ma potente del positivismo fece il resto, e comunque non sarebbe giusto liquidare Cesare Lombroso limitandosi agli aspetti più folcloristici e intollerabili del suo pensiero: si tratta pur sempre dell’inventore dell’antropologia criminale. Sul suo esempio sono sorti, in mezzo mondo, musei del crimine e della polizia, imitando il “collezionatore nato” (così lo definiva la figlia Gina) di oggetti carcerari, crani, ossa, calchi del viso di delinquenti giustiziati e brandelli di pelle tatuata. Possiamo voltare lo sguardo ma Cesare Lombroso resta, e ancora ci parla. Al netto del fascino macabro, meglio non confondere l’errore e l’orrore.