Robinson, 14 maggio 2022
Il ritorno di J.R.R. Tolkien
Non mettetevi comodi. Anzi, togliete le scarpe e restate a piedi nudi, come Bilbo e Frodo. Oppure procuratevene un paio funzionali. Perché si riparte in viaggio per la Terra di Mezzo, dove sorsero e crollarono le ere del mondo più fantastico di sempre. La brodaglia cosmica del paiolo magico di Gandalf non ha mai smesso di ribollire. A 68 anni dalla pubblicazione de Il Signore degli anelli, a ventuno dal primo film diretto da Peter Jackson, ricomincia l’avventura. Il due settembre su Amazon Prime esordisce Gli anelli del potere, la serie tv dai costi più mostruosi di ogni tempo: 464 milioni di dollari la prima stagione, oltre un miliardo con le altre quattro. E Bompiani vara in dodici volumi La storia della Terra di Mezzo: due, tre uscite l’anno da adesso e fino al 2026, due soli volumi già pubblicati in Italia (ma ora con revisione sostanziale), gli altri dieci totalmente inediti (dal terzo volume in arrivo a ottobre, I lai del Beleriand, sono tratti i poemi ancora inediti nel nostro Paese che potete leggere qui).
Tolkien, ultima frontiera. «Poi non c’è altro» afferma Andrea Tramontana, editor italiano dell’opera, che cita il pittore protagonista di Foglia di Niggle per indicare la vera vocazione dell’autore: «Aveva in mente un arazzo molto più grande e ha creato lingue, genealogie, luoghi, in un ginepraio di varianti». E attenzione, perché dal quarto volume in poi arrivano gli universi alternativi de Il Signore degli anelli, in pratica la sua versione “espansa”. Tramontana li paragona agli «infiniti mondi» di Giordano Bruno: «Materia viva, magmatica, mai pietrificata». In pratica, Tolkien nel suo multiverso.
Duns Scoto, chi era costui? Dovremo saperlo, se nel viaggio vogliamo tenere il passo con l’università di Leeds, dove Tolkien insegnò dal 1920 al ’25 e dove, già da tempo, si sono immersi nell’opera omnia. L’ateneo, nell’annuale simposio di luglio, affronterà il legame tra l’universo del “professore” (così soprannominato dagli adepti) e il pensiero del teologo scozzese del Trecento, noto come “Doctor Subtilis”, beatificato dalla Chiesa nel 1993. Gli anni Settanta in cui Tolkien veniva conteso tra i campi di addestramento della destra, titolati al suo “Hobbit”, e i pruriti misticheggianti della sinistra sono per sempre acqua passata. Da tempo la Terra di Mezzo viene letta come una epopea fantastica sulla condizione umana.
Questa nuova immersione spalanca il “tempo immemorabile” precedente alle grandi saghe del Signore degli anelli e dello Hobbit. Precipitiamo nel cosiddetto “legendarium” tolkeniano, il corpus di storie che ha preceduto gli avvenimenti delle due odissee principali. Si tratta di una cosmogonia: miti, dottrine e poemiche forniscono un’interpretazione di origini, formazione e sviluppi dell’universo. Navighiamo, dunque, in procellosi oceani, terribili quanto quelli affrontati dal dio vichingo Thor, quando dovette combattere con il serpente cosmico norreno, «la cintura di tutte le terre», predecessore di ogni successivo drago (compreso quello del poema sassone Beowulf, tradotto e divulgato proprio da Tolkien). Abbiamo però un timoniere: Christopher, il figlio dell’autore che, fino alla morte (2020), ha curato l’opera postuma del padre, deceduto nel 1973.
Le ultime battaglie di Christopher sono state con vocali lunghe e accenti circonflessi. Ha dovuto usare lenti di ingrandimento e «molta pazienza» per ricostruire ilMahabharata tolkeniano. I testi vennero vergati a matita, in grossi quaderni, a partire dal 1916-17, quando l’autore era venticinquenne. In molte pagine venne sovrapposto un altro testo scritto a penna. E spesso, un Tolkien animato da “eroici furori” infilò parti isolate di un racconto in mezzo a un altro del tutto diverso. «Un terrificante rompicapo testuale» ammise Chistopher.
Tolkien dimenticò per anni quei manoscritti per concentrarsi sul Silmarillion, quasi un prequel ancestrale delle saghe principali. Ma inviatolo nel 1937 all’editore, si rese conto di aver scritto un semplice “compendio”. Tanto che, dichiara il figlio, «subito dopo mio padre tornò con grande vigore» per estendere proprio ilSilmarillion e le opere connesse con «importanti ramificazioni secondarie e testi subordinati». Per Chistopher, ilSilmarillion si era limitato a infilare “trasversalmente” l’universo leggendario, in forma di prima sintesi. Mentre adesso si tratta di compiere «longitudinalmente » l’intero viaggio negli «antichi giorni », dalla fondazione del mondo fino alla vigilia della lotta per l’Anello. Ne vale la pena? Qualche dubbio, come ammette, lo ebbe persino il figlio curatore. Ma solo alla fine di questo viaggio potremo comprendere l’omerico disegno di un vero “costruttore di universi”.
Ai miti della Terra di Mezzo — ha ammesso lo stesso Tolkien — manca un hobbit che faccia da narratore. Questo il limite. Tuttavia è solo da qui che si scorgono le porte che il “creatore” ha spalancato. Gli esegeti vi hanno già scovato Aristotele, il platonismo di Agostino, la cabala ebraica, la scolastica di Tommaso, la mistica dei druidi. E siamo solo all’inizio. Disseminando la narrazione di orchi, fate, nani, elfi e maghi, il grande filologo non si è limitato a evocare un mondo arturiano fatto di caducità delle cose, solitudine, fato. Ci ha messo molto altro. Compreso il coraggio dei cacciatori di draghi. E la speranza di un “lieto fine” che sempre rafforzava i loro cuori.