ItaliaOggi, 14 maggio 2022
Togliere la carne dalle mense
C’è in corso una sorta di guerra ideologica contro il consumo di carne. Dal punto di vista culturale è difficile dire esattamente da dove provenga, almeno in Occidente. Forse nasce col cristianesimo ascetico e la lezione secondo cui la vita debba essere ripagata attraverso la mortificazione del corpo e una dieta rigidamente prescritta, oppure – emotivamente - con la progressiva disneyficazione dell’educazione giovanile che propone a getto continuo simpatici animaletti parlanti. Non si macellano gli amichetti, sono da coccolare…
Comunque sia, era inevitabile che il discorso vegetarianismo/veganismo si sposasse con quello ecologico - un altro tema che comprende grandi elementi della ricerca della purezza primitiva, pre-industriale. Il passaggio negli ultimi anni dal pacato vegetarianismo al più radicale veganismo è stato così profondo che The Economist ha proclamato il 2019, l’anno del suo picco, «The Year of the Vegan». È un fenomeno ormai in fase calante, ma ha aperto la porta a un fiorire di proposte recenti per salvare il pianeta, attraverso l’abolizione della dieta carnivora. In un recente studio americano, ricercatori delle Università di Berkeley e di Stanford calcolano che «la rapida abolizione dell’agricoltura animale potrebbe potenzialmente stabilizzare i livelli di gas serra per trent’anni e contrastare il 68% delle emissioni di CO2 di questo secolo». È un’idea abbracciata anche dall’Onu, secondo cui «una riduzione nel consumo della carne aiuterebbe a combattere la fame nel mondo e il cambiamento climatico», perché «il passaggio a una dieta vegetariana potrebbe liberare vaste terre agricole e ridurre la produzione di biossido di carbonio».
Il problema in tutto ciò è quello di trovare la maniera di procedere. All’infuori di alcune popolazioni sud-asiatiche (soprattutto la componente indù) che rifiutano la carne rossa per motivi religiosi, il resto del mondo perlopiù non disdegna la bistecca. I governi (per carità, sempre per combattere la crisi climatica) sono attratti dall’idea di introdurre una meat tax, ovvero tassare pesantemente la carne per renderla meno appetibile. Il tema è attualmente allo studio del governo britannico.
Siamo in una curiosa fase in cui l’imperativo democratico di soddisfare i bisogni e i desiderata della maggioranza sempre più si orienta invece ad accontentare le piccole - ma «chiassose» - minoranze che vorrebbero ripristinare il Paradiso perduto. Nel caso, si stima che la popolazione vegana della Terra non arrivi all’1%, e che tra questi solo una scarsa minoranza conduca uno stile di vita integralmente vegano. Eppure, le campagne contro le botteghe dei macellai o per vietare di dare la carne ai cani nei canili municipali hanno comunque un impatto sull’opinione pubblica e sulla politica.
L’implicito progetto dell’Onu di trasformare i ranch in risaie (e, di conseguenza si suppone, i cowboy in mondine, o forse in operatori ecologici di qualche tipo) ha il suo fascino. Ma non si doveva tornare al naturale? È difficile - forse impossibile - trovare prodotti più artificiali della carne sintetica vegana che dovrebbe prendere il posto di quella reale, anche se i produttori hanno pure trovato la maniera di far sì che sanguini in modo realistico... Cosa penseremo di tutto questo tra venti o trent’anni?