il Fatto Quotidiano, 14 maggio 2022
Il cibo costa ogni giorno di più
Ogni nuovo dato non fa che ribadirlo: il combinato disposto tra i rincari dell’energia e le difficoltà di reperimento delle materie prime finisce per influire sui prezzi al dettaglio, impattando anche sui beni alimentari con il costo del cibo ai massimi degli ultimi 11 anni. Ma ben presto, secondo la Fao, si raggiungerà il picco storico toccato a metà degli anni 70. Un allarme serio: non si tratta più di singoli prodotti, per quanto importanti, ma dei rincari delle stesse materie di base delle coltivazioni e della produzione globale che si ripercuotono lungo tutto la filiera.
Secondo le rilevazioni sugli importi pagati dall’industria alimentare della grande distribuzione organizzata, i prezzi mostrano un aumento del +2,1% a marzo per la media dei 46 prodotti alimentari maggiormente consumati, con una crescita però che si porta al +10,9% se andiamo a guardare i prezzi medi del marzo 2021. I prezzi di cibi e bevande sono aumentati in media del 6,3% e in cima alla classifica stilata da Coldiretti ci sono gli oli di semi, soprattutto quello di girasole, aumentati del 63,5%, la farina (+17,2%, trainata dagli aumenti del grano) e il burro (+15,7%). Rincari a doppia cifra anche per la pasta (+14,1%) con la corsa agli acquisti nei supermercati per fare scorte, seguita dalla carne di pollo (+12,2%). Non va meglio coi prezzi di verdura fresca ( +17,8%), frutti di mare (+13) e pesce fresco (+7,6%). In salita anche il latte in polvere per neonati con alcune marche che cominciano a scarseggiare: la produzione è ferma e si sta dando fondo ai magazzini.
Questi aumenti rischiano di affamare sempre più le famiglie italiane, mentre l’inflazione ha già allargato la platea di quelle povere non più in grado di sostenere le spese essenziali. Volano non a caso gli acquisti di cibo low cost coi discount alimentari che fanno segnare un balzo del +7,6% nelle vendite in valore. Un trend che evidenzia la difficoltà in cui si trovano gli italiani, costretti a orientare le proprie spese su canali a basso prezzo e su beni essenziali. Questi dati non differiscono molto da quelli pubblicati da “Altroconsumo” che inserisce nella lista anche caffè (+4%), zucchine (+16%) e zucchero (+7,4%), confermando che il prodotto che ha subito maggiormente le conseguenze del conflitto è l’olio di semi di girasole, che solo a marzo 2022 ha visto aumentare il proprio prezzo del 73% rispetto a settembre 2021. E il prodotto non è usato certo solo per le fritture: oltre il 70% in Italia finisce all’industria alimentare in conserve, salse, maionese, condimenti spalmabili, biscotti e prodotti alimentari destinati alla grande distribuzione.
Questo rincaro record è dovuto alla mancanza di approvvigionamento: com’è noto, Mosca e Kiev sono i primi due produttori mondiali di olio di girasole. Così già poche settimane dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, i supermercati italiani hanno iniziato a razionare le vendite. Le tensioni sull’olio di semi di girasole hanno scatenato una reazione a catena a livello mondiale, coinvolgendo anche i prezzi degli altri oli. Per compensarne la mancanza, infatti, i produttori hanno iniziato a ricorrere ad altri prodotti vegetali tra cui l’olio di soia – che, spiega Confagricoltura, alla Borsa di Chicago già registra una crescita di quasi il 20% rispetto a un anno fa – o l’olio di palma, il più usato al mondo sia nell’alimentare che come mangime per gli animali o carburante per il trasporto.
Un’impennata di richieste che ha prima fatto salire i prezzi e, poi, portato al razionamento. La motivazione arriva dall’Indonesia che, con oltre 44 milioni di tonnellate nel 2021, è la prima produttrice mondiale di olio di palma: la crescente domanda ha spinto il presidente Joko Widodo a bloccare le esportazioni da fine aprile cercando così di stabilizzare il prezzo e, soprattutto, garantire che il suo Paese non rimanga a secco.
L’embargo, però, avrà conseguenze immediate anche sui prezzi di centinaia di prodotti in Italia, che importa 590 milioni di euro di olio di palma dall’Indonesia, quasi la metà del totale. E così, dopo l’aumento già subito nel 2021 a causa dei rincari delle materie prime (grano duro e tenero) e dell’energia, secondo Unioncamere ci sono a rischio di una nuova mazzata i prodotti cerealicoli e derivati: pasta di semola (+3,7%), riso (+3,7%), biscotti (+3,6%) e pane (+3,4%). Senza dimenticare i cosmetici: tutti prodotti che contengono olio di palma.
Le conseguenze di questa slavina sono anche normative: nonostante le battaglie per metterlo al bando a causa dei rischi per la salute (l’elevato contenuto di acidi grassi saturi) e l’ambiente (il disboscamento selvaggio di grandi foreste), il ministero dello Sviluppo economico ha emanato in via emergenziale una circolare che consente all’industria alimentare di utilizzare l’olio di palma in sostituzione di quello di girasole senza indicarlo esplicitamente in etichetta.