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 2022  maggio 14 Sabato calendario

Intervista a Colum McCann

Colum McCann viene dall’Irlanda, come le creature fatate che vivono dentro le colline e le leggende cristiane sui trifogli. Abita a New York da molti anni, è uno dei più importanti scrittori contemporanei di lingua inglese, e nel 2009 ha vinto il National Book Award per un libro (Lascia che il mondo giri, Feltrinelli) in cui raccontava l’avventura del funambolo Philippe Petit, che camminò tra le Torri Gemelle sfidando se stesso e la forza di gravità. Stasera sarà a Udine per ritirare il Premio Terzani, vinto con Apeirogon, il suo ultimo romanzo (sempre Feltrinelli e sempre tradotto da Marinella Magrì). Si tratta della storia vera di due padri, uno palestinese e uno israeliano, che a dieci anni di distanza l’uno dall’altro perdono le figlie in un attentato, e scelgono di diventare testimoni di pace.
L’apeirogon è un poligono con un numero infinito di lati, e il libro questo fa: è un’opera-mondo divisa in mille e uno paragrafi, o canti, in omaggio a Le mille e una notte (secondo Borges, il grande poema senza fine dell’umanità), e ci restituisce la vicenda narrandola da più punti di vista possibili.
Da scrittore sente di avere una responsabilità, in tempi come quelli che stiamo vivendo?
«Senz’altro. Almeno per me è così. Non dico che tutti gli scrittori debbano trovare il modo di parlare, ma io ne sento il bisogno. E non vale solo per gli scrittori: siamo tutti noi, come esseri umani, ad avere il dovere di non stare in silenzio. Con quello che sta succedendo in Ucraina sono tanti quelli che stanno facendo sentire la propria voce, che la stanno usando contro il male inenarrabile rappresentato dalla guerra. Tutto ciò che può essere detto, va detto. Ogni canzone che può essere cantata, va cantata. Tutto ciò che si può mandare — denaro, vestiti, preghiere, presenza, cibo, coperte — deve essere mandato. Bisogna alzare la voce. Se rimaniamo in silenzio diventiamo complici di Putin».
Le guerre si somigliano tutte?
«Sì e no. La cosa che hanno in comune è che, prima o poi, devono finire».
Se un alieno le chiedesse cos’è la guerra, come gliela spiegherebbe?
«Dicendogli che è un insulto all’anima umana. E che a combatterla, a volte, possono essere degli eroi, ma a farla nascere sono sempre codardi, incoraggiati da altri codardi, lodati da altri codardi. E aggiungerei che la pace, rispetto alla guerra, è una cosa molto più difficile da fare».
E se l’alieno le chiedesse cos’è l’amore, come lo descriverebbe?
«L’amore è ciò che si sente quando non si intravede fine nella possibilità di amare».
Poniamo che invece l’alieno le chieda com’è essere innamorati.
«Direi: immagina la sensazione che proveresti incontrando, anzi, scontrandoti ad alta velocità con l’infinito».
Ultima domanda dell’alieno: che cos’è la bellezza, gentile terrestre?
«La bellezza è tutto ciò che ci toglie il respiro e, nello stesso momento, ci riempie i polmoni d’ossigeno».
Lavora ancora seduto in quell’armadio che usava come angolo scrittura un po’ di tempo fa?
«Assolutamente no! Quell’armadio è stata una pessima idea, mi ha fatto venire la sciatica. Quindi no, con la schiena che mi ritrovo non posso più scrivere lì, perciò l’ho riempito di libri, e mi sono comprato una bella sedia imbottita, che dovrebbe arrivare la prossima settimana e spero mi salvi».
Com’è la sua routine di scrittura in una giornata tipo?
«Diciamo in una giornata ideale: mi alzo presto, scendo dal letto e vado diretto alla scrivania, prima ancora di aver preso un caffè, e senz’altro prima di aver avuto accesso a internet, guardato le mail, eccetera. Il mio obiettivo è scrivere quando sono ancora in dormiveglia, tra il mondo dei sogni e la realtà: mi sembra che in quei momenti la mente sia molto più libera. Cerco di andare spedito per un’ora, poi faccio una pausa: bevo un caffè, porto fuori il cane, mi occupo delle esperienze ordinarie, diciamo. Dopodiché mi rimetto a scrivere».
Come sta andando con il nuovo libro, in cui sta scrivendo di James Foley? (Il giornalista americano ucciso dall’Isis nel 2014 era un lettore di McCann, ndr)
«"Piano piano", come direste voi italiani. Ma sto andando avanti, un passo dopo l’altro. È un libro che non posso fare a meno di scrivere. Anche se alla fine la vera protagonista sarà sua madre, e il mondo che ha creato dopo la morte di James. Lei, per me, è un’eroina».
Una volta ha detto che le piace immaginare di essere una macchina fotografica del linguaggio. Che cosa significa?
«Che non voglio commentare i fatti: voglio essere una lente che li riflette. Non voglio convincere le persone, né dare lezioni o pontificare. Voglio prendere uno specchio e metterlo di fronte al mondo così che il lettore lo veda da sé, e decida ciò che vuol pensare in base alle immagini che quello specchio gli restituisce. La pellicola della mia macchina fotografica sono le parole».
Qual è la prima cosa che le viene in mente quando pensa alle sue radici?
«Che sono irlandese, anche se abito a New York da tanti anni: sarò per sempre irlandese, ed è l’unica cosa che posso essere. E vivere lontano mi fa sentire più irlandese che mai. Pazienza se è una contraddizione».
Qual è la sua leggenda irlandese preferita?
«Quella di Tír na nÓg, la mitica isola al di là del mare dove esistono solo salute e giovinezza eterna. Ma mi piace anche molto I Figli di Lir, la storia bellissima e triste di questi quattro bambini che vengono trasformati in cigni».
Immagina mai di tornare a vivere nel suo paese?
«Ci vado spessissimo, ma no, non penso. Chi può dirlo, però? La vita è piena di sorprese».
Per lei che cos’è libertà?
«Una cosa che comincia in mezzo alle orecchie: è la libertà di pensare. La possibilità di raccontare la propria storia. E anche la possibilità di stare ad ascoltare quella di qualcun altro».
Lei dice che i migliori scrittori sono degli storici alternativi.
«Sì, perché gli scrittori più bravi lasciano da parte i fatti e si dedicano a scoprire la verità. Creano la storia dalla polvere. Raccontano storie che non hanno mai fine».
Cosa le manca dello scrivere quando non scrive?
«Quando non scrivo, sento continuamente la mancanza della scrittura, sento una specie di dolore, un vuoto alla pancia, e non vedo l’ora di ricominciare. Però amo la vita al di fuori della pagina, e cerco di fare del mio meglio per viverla appieno».
E cosa le manca della vita fuori dalla pagina quando scrive?
«Niente: il mondo è tutto lì».