la Repubblica, 14 maggio 2022
Cattivi odori e tic molesti in ufficio
Quando a Ugo Fantozzi viene assegnato come compagno di stanza Alvaro Vitali il caso è chiaramente estremo. È peraltro proprio ciò che sarebbe capitato a Roma, alla Rai di Saxa Rubra. Condizionale dovuto per garantismo: la procura ha aperto un fascicolo e indaga, si immagina tra molti imbarazzi e chissà con che metodi. Una giornalista, Dania Mondini, accusa infatti i suoi capi di averla demansionata e quindi spostata a lavorare nello stesso ufficio di un collega affetto da aerofagia. Costui non sarebbe in grado di trattenere neppure le emissioni aeree orali e si immagina allora che quella (presunta!) stanza tanto inospitale potrebbe essere intitolata, anche in ricordo di un glorioso claim aziendale: “Rai. Di rutto, di più”.
Altro che smart working. La giustizia farà il suo corso ma è certoche a qualche mese dal ritorno a ranghi pieni nei luoghi fisici di lavoro, dopo aver assaporato piaceri e fastidi della convivenza domestica, molti hanno ripreso confidenza con quelli della prossimità professionale. Abitudini igieniche, tecniche più o meno sorvegliate del corpo, usanze disinvolte... La casistica è nutrita.
La legge Sirchia ha azzerato per tempo le dispute tra fumatori e non, almeno quello: un passo verso la civiltà. Ma nessun Sirchia ha sinora pensato ai molti altri modi, pur meno tossici, di rendere ancor più difficilmente tollerabile la permanenza già di per sé spiacevole sul luogo di lavoro.
A parte forse il gusto, ognuno degli altri quattro sensi ne può essere colpito. Chi dai colleghi consegue problemi all’olfatto ha qualche ragione a pensare che si tratti della fattispecie più molesta: è il senso più primitivo, più pervasivo, più indifeso. Gli affronti all’udito però arrivano quasi a pareggiare i mali odori, anche perché offrono un ancor più ampio ventaglio di possibilità: telefonate magari in viva voce, zufolate, canticchiamenti, battiti ritmici di dita o di penna biro, intercalari ossessivi, dialettalità incontrollate, masticazioni. Consumare cibo sulla propria scrivania reca noie multisensoriali, può offendere contemporaneamente olfatto, udito e anche vista. In quanto al tatto occorrequi prescindere da pacche e palpeggiamenti sessisti, i quali non sono semplicemente fastidiosi ma molesti in senso grave. Tutto un altro discorso. Veniali ma pure assai disturbanti (e, per fortuna, assai più frequenti) sono i tocchetti sul braccio, sulla spalla, i pelucchi tolti, anche qui senza arrivare agli strizzamenti di guancia inflitti a Fantozzi dall’efferato Calboni.
Abbigliamento inappropriato,ostensione di oggetti di dubbio gusto (gagliardetti di squadra nemica o cimeli mussoliniani) colpiscono il senso della vista, che pur essendo quello ritenuto principale ha almeno il vantaggio di poter essere distolto. Occhio non vede, cuore non duole. La vista è casomai il senso che interviene per ultimo, quando la sommatoria di tutte le noie acustiche, tattili e olfattive patite supera il livello di guardia e porta a varcare una soglia senza ritorno e a esclamare: «Quello non lo posso più vedere». La sentenza è inappellabile, giacché da quel momento del tal soggetto darà fastidio persino il semplice nome, la sagoma, la sconsolata certezza che sia sempre al mondo. Molestia che timbra il cartellino tutti i giorni, importunità scevra da assenteismo.
Anni fa proprio alla Rai, ma a Milano, si tramandava una leggenda, inverificata, a proposito di un dipendente di rispettabile anzianità aziendale che nel dopomensa esigeva dai colleghi più pivelli un po’ di privacy per poter schiacciare un breve ma necessario pisolino in una branda che da tempo immemorabile si era fatto installare a quello scopo nella stanza condivisa. Una pretesa quasi innocente rispetto alla recente notizia delle accuse mosse dalla giornalista. Se saranno confermate bisognerà, una volta di più, dire che la Rai in certi settori è pura avanguardia. Sì perché a un’allocazione casualmente sfortunata si aggiungerebbe il dolo. E si scoprirebbe così che un ufficio del personale dispone, più o meno formalmente, di una classifica dei dipendenti in ordine di loro potenziale molesto, al fine di assegnarli come vicini di scrivania a chi si vuole fare oggetto di mobbing.
Nell’attuale crisi di disaffezione al lavoro, tanti dipendenti sentono il desiderio di cambiare aria. Alla Rai può non trattarsi di una metafora.