il Fatto Quotidiano, 13 maggio 2022
Lo Yemen visto da Lorenzo Tugnoli
“Io non vado a fare servizi in Medio Oriente. Io lì ci abito, da 15 anni”.
Lorenzo Tugnoli, nato a Lugo nel 1979 e laureato in Fisica a Bologna, vive a Beirut e è oggi il nostro fotografo più premiato. Con questo servizio nello Yemen straziato da una guerra senza fine ha vinto nel 2018 il premio Pulitzer per la fotografia, unico straniero a ricevere il riconoscimento. Poi sono arrivati tre World Press Photo di seguito, nel 2019, 2020 e 2021. “Lavoro con un’etica: non mi permetto mai, in nessuna situazione, di chiedere a una persona di posare o di fare una determinata cosa. Devo aspettare che la cosa succeda. E poi, come diceva Cartier-Bresson, ci metto la testa, l’occhio e il cuore”.
E allora eccoli in queste immagini del Pulitzer, più che mai attuali (nello Yemen da allora non è cambiato niente, semmai la situazione è peggiorata), i miliziani che combattono le cento battaglie che fanno questa guerra, cominciata nel 2015, ma che covava sotto le ceneri da quando lo Yemen del Nord e quello del Sud si unificarono nel 1990. Già allora il Sud che detiene il petrolio si sentiva emarginato dalle élite settentrionali di Sana’a. I miliziani perlustrano villaggi in macerie, tendono agguati, cercano bombe, sventolano vessilli sottratti al nemico. Ribelli houthi, sciiti sostenuti dall’Iran, che combattono il debole governo di Sana’a riconosciuto dalla comunità internazionale e sostenuto dall’Arabia Saudita. E questa è la guerra principale che sta entrando nell’ottavo anno. Ma poi ci sono le milizie tribali che rivendicano le tante identità locali risorte con la disgregazione dello Stato, ci sono al-Qaeda e l’Isis, le mire e gli interventi degli Paesi del Golfo, gli interessi delle grandi potenze lontane ma occhiute, gli Stati Uniti che combattono i terroristi, Russia e Cina che parlano e trattano con tutti.
Questo grappolo di guerre dimenticate dal mondo ha prodotto la più grande crisi umanitaria del XXI secolo. Quattro milioni di sfollati su 30 milioni di abitanti, 377 mila vittime secondo l’ultimo rapporto Onu, oltre la metà delle quali per gli effetti indiretti del conflitto: l’acqua che manca, il cibo che non arriva, il sistema sanitario collassato. Una popolazione per il 16% vittima della malnutrizione, per il 60% dipendente dagli aiuti umanitari. Le prime vittime del conflitto sono i più piccoli. Guardate i bambini soldati di queste immagini, coperti di cicatrici: “Nel 2021 ogni nove minuti è morto un bambino di meno di cinque anni” dice l’Undp, l’agenzia delle Nazioni Unite per lo sviluppo. Combattono anche loro, il 60% non va più a scuola perché gli edifici sono stati sventrati dalle bombe. Fermate lo sguardo sulla bambina che viene misurata presso la clinica di Aslam: si chiama Marwa Hareb Mohammed Abdullah, un nome più grande di lei, ha dieci anni e ne dimostra sei, è malnutrita perché in famiglia le ragazzine sono le ultime a mangiare, ma per lei non c’è posto in ospedale, troppo grande. La guerra è anche questo.