il Giornale, 13 maggio 2022
Le armi di Kiev in vendita su Telegram
Nella cyberguerra spuntano pure le armi vere. Ci sono un numero sterminato di chat di Telegram – il servizio di messaggistica anonimo inventato nel 2013 dai fratelli russi Nikolaj e Pavel Durov – nelle quali si possono comprare armi. Di qualunque tipo. Kalashnikov, Uzi, persino bombe a mano. Tutto prezzato, con pagamento in bitcoin e persino uno sconto quando la merce arriva in ritardo, come lamenta un compratore spagnolo. La notizia di per sé non sorprende. Si sa che in rete si compra e si vende di tutto. Finché non si arriva a una chat nella quale si parla delle armi raccattate per le strade delle città ucraine ma in buono stato. Come Il Giornale ha avuto modo di verificare, nell’elenco in vendita ci sono anche gli M16, i fucili d’assalto in mano alle forze armate Nato, ma anche gli ARX 160 A1 e A3, stessa famiglia di arma in dotazione all’esercito italiano. E l’M4 Carbin, fucile statunitense destinato ad andare in pensione per far posto al più moderno Sig Sauer XM5.
Che Telegram sia diventato il terreno più fertile del Deep web era noto da tempo. Che fosse la trincea delle parti in guerra lo si è capito invece solo quando nelle scorse settimane il vicepremier ucraino Mykhailo Fedorov ha lanciato su Telegram il canale itarmyofurraine chiamando all’appello i migliori cyber specialists (diciamo pure cyber criminali) contro Mosca.
Il mercato dell’export delle armi non conosce tregua, dal 2013 al 2020 a clienti come gli Stati Uniti in primis, seguiti da Arabia Saudita, Egitto, Qatar, Algeria e Emirati Arabi, ha fatto guadagnare ai Paesi Ue 190 miliardi di euro attraverso 323.602 operazioni segnalate al database del Coarm, di cui solo 2.210 (lo 0,7%) non sono andate a buon fine. Anche a Stati «canaglia», per lo più Pakistan, Thailandia e Cina. Ma anche Russia (si parla di 607 miliardi di euro di giro d’affari) e Ucraina (320 miliardi) nonostante l’apparente embargo europeo contro Mosca del 2014, come ha spiegato Siemon Wezeman, ricercatore dello Stockholm international peace research institute (Sipri) al sito Investigate Europe, con Germania e Francia a fare la parte del leone, seguite da Spagna (30 miliardi) e Italia (22 miliardi). E almeno fino al 17 marzo scorso. Qual è la back door, la clausola che ha permesso di continuare a vendere armi, rimossa soltanto lo scorso 8 aprile? Che l’embargo si applicasse ai contratti per la cessione di equipaggiamento e tecnologia di uso sia militare sia civile chiusi dopo il 31 luglio 2014.
Alcune di queste armi vendute in giro per il mondo sta tornando in Europa attraverso canali criptati e rotte protette – solitamente si tratta delle stesse tratte utilizzate per far circolare la droga – ed è altamente probabile che queste armi facciano gola alle cellule jihadiste con base in Europa, alle organizzazioni criminali internazionali più spietate ma anche alla mafia foggiana (che ha di fatto dichiarato guerra allo Stato) o alla più placida ma sempre agguerrita ’ndrangheta, disponibile a mostrare il suo volto violento quando non può trattare con professionisti corrotti, servitori dello Stato infedeli o con commercianti disperati, come è emerso nella recente operazione della Dia che ha smantellato la cosca Alvaro, silenziosamente in testa alle gerarchie criminali nella Capitale grazie alla sua abilità nel riciclare i proventi del narcotraffico. «Siamo una carovana per fare una guerra», dicono i boss intercettati.