Avvenire, 13 maggio 2022
La crescita del lavoro povero
In Italia un lavoratore su otto vive in una famiglia con reddito disponibile insufficiente a coprire i propri fabbisogni di base e l’incidenza della povertà lavorativa, misurata in ottica familiare, è cresciuta di tre punti percentuali in poco più di un decennio, passando dal 10,3% del 2006 al 13,2% del 2017. Il fenomeno colpisce di più, in termini relativi, chi vive in nuclei monoreddito, chi ha un lavoro autonomo, e chi, tra i dipendenti, lavora nel corso dell’anno in regime di tempo parziale. È la fotografia restituita dal nuovo rapporto Disuguitalia: ridare valore, potere e dignità al lavoro presentato ieri all’Oxfam Festival, Costruiamo un futuro di uguaglianza.
«La difficoltà – spiega il ministro del Lavoro, Andrea Orlando – è trovare delle strade per dare delle risposte compiute su questioni su cui insisto da settimane: il livello dei salari, la precarierà del lavoro e l’esigenza di costruire un modello di competizione del Paese che non sia basato solamente sul contenimento dei costi. Questa cosa diventa ancora più drammatica e cruciale in un momento in cui l’inflazione torna a crescere. Occorre rimettere in moto il meccanismo che consenta un recupero della capacità di acquisto e salariale dei lavoratori italiani e aprire una discussione sul tema di come ridurre le forme di precarietà del lavoro».
Drammatica la situazione che colpisce milioni di lavoratori, denunciata nel rapporto. Cambiando prospettiva e guardando esclusivamente agli esiti individuali sul mercato del lavoro, anche l’incidenza dei lavoratori con basse retribuzioni risulta in forte crescita, passando dal 17,7% del 2006 al 22,2% nel 2017. Quasi un lavoratore su 5 percepiva nel 2017 una retribuzione bassa con il rischio più elevato per gli occupati in regime di part-time. Si conferma la più forte vulnerabilità delle donne: il lavoro povero è più diffuso nel segmento femminile della forza lavoro con la quota delle lavoratrici con bassa retribuzione attestatasi al 27,8% nel 2017 a fronte del 16,5% tra i lavoratori uomini. «Il lavoro, pilastro fondativo del nostro patto di cittadinanza, rappresenta la base per la dignità e la libertà dell’individuo. Con il proprio lavoro ognuno è chiamato a concorrere al progresso materiale e spirituale della società – commenta Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam Italia –. Oggi però il lavoro è troppo spesso leso nella sua dignità, per troppe persone non basta a soddisfare i bisogni del proprio nucleo familiare e avere prospettive di un futuro dignitoso. Il dettato costituzionale rischia di subire una pericolosa rilettura con la povertà lavorativa assurta nei fatti a fondamento della Repubblica». L’Italia, come il resto d’Europa, è attualmente alle prese con la nefasta congiuntura pandemica, le prospettive di una nuova recessione associata al conflitto in Ucraina, la pericolosa spirale inflazionistica. Tutti fattori che, insieme alle trasformazioni economiche in atto, rischiano di impoverire ulteriormente il lavoro e ampliare i divari preesistenti. La povertà lavorativa e le disuguaglianze che contraddistinguono il nostro mercato del lavoro hanno tuttavia radici profonde e determinanti strutturali. «Siamo un Paese in cui la deindustrializzazione è datata e l’espansione dell’occupazione ha interessato nell’ultimo ventennio settori a bassa produttività del lavoro e con salari orari più bassi – aggiunge Barbieri – La strategia competitiva di molte imprese si basa cronicamente sulla compressione del costo del lavoro, favorita dalle politiche di flessibilizzazione che hanno visto la moltiplicazione delle tipologie contrattuali atipiche e una progressiva riduzione dei vincoli per i datori di lavoro ad assumere lavoratori con contratti a termine o a esternalizzare attività o parti del ciclo produttivo. La proliferazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro riduce, inoltre, la capacità della contrattazione di garantire minimi salariali adeguati».