La Stampa, 13 maggio 2022
L’America non teme l’atomica
Come parlano i leader politici Usa quando parlano di guerra? Come valutano la posizione del loro paese? Qual è il vero pericolo di un uso del nucleare?
Provando a rispondere in sintesi, partendo da questa ultima domanda, la prima citazione è d’obbligo: «La nostra opinione è che le indicazioni dicono che non c’è un imminente potenziale uso di armi nucleari», sostiene l’intelligence Usa. Un breve sollievo dal terrore finale.
Per il resto, l’America di queste ore, ha gli occhi fissi sulla guerra Russia-Ucraina, in cui si preparano a un lungo stallo. Ma la sua mente e il cuore sono sulla Cina, considerata anche oggi il pericolo numero Uno. Cui si aggiunge un incredibile timore, ancora, per tutto quello che si muove, al riparo dal conflitto in Europa, nelle viscere del Medioriente: l’oscura Teheran, che bersaglia postazioni americane in Kurdistan e progetta vendetta contro leader politici americani per la morte del generale Soleimani; gli effetti sul terrorismo della rovinosa uscita di scena degli Stati Uniti dall’Afghanistan; e last but not least, gli effetti di fattori non direttamente militari, ma certamente trascinati dalle imprese militari – il clima, la fame, la crisi economica globale, e il galoppante divario tecnologico.
Di questo si è parlato martedì scorso, 10 Maggio, alle 10 del mattino, in una curiosa quasi coincidenza, che ha fatto da contrappunto involontario, a Mario Draghi che in quelle stesse ore incontrava alla Casa Bianca il presidente Biden. Non molto lontano dall’edificio neoclassico, nell’aula 2175 del Senato, intorno a un ampio tavolo ovale di legno, i Senatori della Commissione Forze Armate, una delle importanti Commissioni di Controllo, discutevano l’annuale rapporto sulle minacce globali agli Stati Uniti. A rispondere alle loro domande il direttore della National Intelligence Avril Haines, la prima donna a ricoprire questo incarico, e il Generale Scott Perrier, direttore della Intelligence Agency. La discussione è parte delle prerogative del Senato che è l’organo che possiede, in caso di guerra, il voto sulla decisione del Presidente (anche se da tempo questa decisione non è più stata presentata al Congresso). Secondo le regole di trasparenza la seduta è pubblica, salvo le parti in cui viene chiesta "sessione chiusa". E molte volte nella discussione della Commissione si è fatto ricorso a questa sessione.
Il recupero della trascrizione, lavoro lungo ma non difficile, ci aiuta a dare uno sguardo sullo stato reale delle preoccupazioni e delle intenzioni americane in questo complicato momento.
L’intervento di apertura della Avril Haines è decisamente una indicazione di come l’America tenga ampio il suo sguardo sui conflitti nel mondo. La novità della relazione appare infatti nell’individuare come la più difficile minaccia quella della intersezione delle azioni fra "attori Stato" e "attori non statali", attori cioè espressi da elementi di natura sociale e politica. Queste minacce, definite dalla Haines, «questioni transnazionali» sono «più complesse, richiedono sforzi multilaterali, significativi e sostenuti. E a tutti impongono una serie di decisioni più complicate da dipanare, e un maggiore sacrificio nel portare a un cambiamento significativo».
Decisamente un ampliamento di orizzonti dell’attenzione. È vero che di solito nelle relazioni della intelligence americana c’è sempre molta attenzione ai «rischi democratici» dovuti a malattie (anni fa, una lunga analisi sul rischio in Africa dell’impatto dell’Aids) o fattori climatici, come rischio democratico in paesi a leadership deboli. Ma che questa attenzione venga intrecciata alle crisi fra Stati in un periodo di guerra in Europa, è una indicazione interessante di come in Usa si immagina il futuro prossimo.
Partiamo dagli "attori Statali", di cui, uno per uno, la relazione della Haines analizza lo stato dei rapporti con gli Usa.
Il conflitto in Ucraina fa ovviamente la parte del leone, ma la lista, come dice la Direttrice, «comincia con la Repubblica Popolare Cinese, che rimane una ineguagliabile priorità per la comunità dell’intelligence, e continua con Russia, Iran e Nord Corea». La priorità è dovuta al fatto che La Cina «è il Paese che più si avvicina a competere alla pari con gli Usa sulla sicurezza nazionale, spingendo per far passare normative a proprio vantaggio, sta riuscendo a sfidarci su molti terreni. Economici, militari, e tecnologici».
La Cina «è particolarmente abile a mettere insieme un approccio governativo globale per dimostrare forza, e spingere i Paesi vicini ad acconsentire alle sue scelte. Incluso quelle territoriali, e marittime. La pretesa di sovranità su Taiwan è il centro dell’iniziativa del presidente Xi, determinato a entrare a Taiwan secondo le sue regole. La Cia preferirebbe una unificazione forzata che evitasse un conflitto armato, per cui ha aumentato la pressione diplomatica, politica e militare sull’isola. La Cina è anche impegnata nel maggiore sforzo di espansione e diversificazione dell’arsenale nucleare nella sua storia. Sta inoltre lavorando a pareggiare e superare l’impegno spaziale americano, e pone la più attiva e consistente minaccia alla governo Usa e al settore privato». Sono affermazioni non nuove ma in questo caso molto decise e usate per sottolineare perché la Cia sia oggi considerata da Washington il pericolo numero Uno. Queste valutazioni confermano l’opinione di molti analisti, sul vero nemico (la Cina) che si nasconde dietro lo scontro con la Russia.
La Russia, nella relazione della Haines è preceduta da un «of course», un ovviamente che introduce il Paese come focus di «una priorità critica, alla luce della tragica invasione dell’Ucraina da parte di Putin, che ha prodotto uno shock nell’ordine geopolitico con implicazioni per il futuro che cominciamo solo ora a comprendere».
Come si vede, non c’è molto affanno in questa indicazione.
E si capisce perché nel seguito. L’analisi che viene offerta ai senatori è venata infatti di una certa soddisfazione, anche se non si può parlare di compiacenza. Oggetto della comunicazione è «il fallimento di Putin di prendere Kiev, che ha privato la Russia dal prevenire gli Usa e la Nato dal dare un rilevante aiuto militare all’Ucraina. Inoltre la Russia ha dovuto confrontarsi con significative sfide interne alla propria organizzazione, forzando un cambio di obiettivi, da Kiev al Donbass».
Interessante è che nel corso del dibattito che segue la relazione, più di un senatore torna con aggressività sulla questione. Uno di loro chiede conto ripetutamente di come mai, però, l’errore di valutazione «sia stato anche della intelligence Usa, che si aspettava una rapida presa di Kiev», aggiungendo che lo stesso errore di intelligence è stato fatto per l’Afghanistan in cui si era presentato un esercito in grado di resistere ai taleban. La risposta della Haines è molto diplomatica: «Abbiamo un comitato che sta valutando il caso. Io direi che i due casi sono una combinazione fra la volontà di combattere e la capacità di farlo». Il generale Scott Berrier le fa eco dicendo che «c’è una nuance tra la capacità e la voglia di combattere». E fa riferimento a una discussione a porte chiuse. Argomento rimandato.
Tornando alla relazione della Haines il futuro prossimo della guerra in Ucraina viene fissato in «un mese o due che saranno significativi. Perché i russi rafforzeranno i loro sforzi, ma anche se questi saranno un successo, non siamo sicuri che l’esito in Donbass davvero fermerà la guerra. Putin si sta preparando a un conflitto prolungato che porti a successi oltre questa zona. Noi pensiamo che Putin non ha cambiato obiettivi, anche se al momento si sta concentrando sulla conquista delle 20 prefetture in Luhansk e Donetsk, per schiacciare le migliori forze ucraine che stanno difendendo l’Est». C’è scetticismo però sulla riuscita di questo progetto. «Le forze russe sono capaci di conquistare questi obiettivi, crediamo che non riusciranno a espandere il loro controllo, e connettere Odessa, senza attivare una forma di mobilitazione». L’ostacolo a qualunque negoziazione, continua la Haines, è proprio questo, credere in cose che non sono esattamente come i leader pensano: «Dal momento che sia la Russia che l’Ucraina credono che saranno capaci di fare militarmente progressi, non vediamo nessuna strada percorribile per un negoziato, nel breve termine».
La battaglia insomma si sta assestando «in una guerra di attrito combinato con la realtà che Putin deve confrontarsi con una distanza fra le sue ambizioni e la capacità militare della Russia».
Sono analisi che non portano a una maggiore tranquillità, al contrario: «Nei prossimi mesi è possibile che ci muoveremo su una traiettoria più imprevedibile, di maggiore "escalation", e in generale di decisioni prese dalla Russia secondo la situazione che si crea volta per volta». E si parla qui di «misure più drastiche, possibile legge marziale, riorientamento della produzione industriale, aumento della produzione militare». Nelle prossime settimane Haines dà per sicuro l’aumento degli sforzi per interrompere gli aiuti militari all’Ucraina.
E il nucleare? Su questo spinosissimo argomento il direttore dell’intelligence Usa è molto cauta.
«Crediamo che il presidente Putin continuerà a usare la minaccia nucleare come deterrente. Se vede che gli Usa continuano a sottovalutare la sua minaccia è possibile che autorizzi una nuova ampia esercitazione nucleare. Crediamo anche che ricorrerà all’impiego di armi nucleari solo se percepirà una vera minaccia al regime o al Paese. C’è sempre una possibilità naturalmente di errori, e involontaria escalation», ma, continua Haines, «la nostra intelligence potrebbe mitigarla». Non ci sono spiegazioni sul significato di questa affermazione.
Naturalmente sul tema del nucleare i senatori insisteranno molto nella discussione, arrivando ad avere risposte più precise.
Al generale per esempio chiedono di essere preciso: qual è il suo bilancio della situazione militare? «La descriverei così: i russi non stanno vincendo e l’Ucraina non sta vincendo. Siamo un po’ in uno stallo». E chi rischia di più in questo stallo? Russia o Ucraina? «Uno stallo non significa un armistizio. Significa un imprevedibile scontro in cui entrambi i lati perdono uomini, equipaggiamenti, armi e veicoli».
Infine sul nucleare, e così chiudiamo come siamo partiti. La Haines riceve una domanda irriverente da un senatore: «La nostra è una posizione ambigua. Vogliamo appoggiare l’Ucraina ma non arrivare alla Terza guerra mondiale». Lei risponde che effettivamente «siamo in questa posizione». Ma la nostra «opinione è che non siamo di fronte a un uso imminente di armi nucleari. A meno che non ci sia la percezione di una effettiva minaccia al regime e alla Russia. Se Putin pensa di star perdendo la guerra, o che la Nato sta intervenendo ci sono molte cose che potrebbe fare come escalation prima di ricorrere all’arma nucleare».
Speriamo che la Direttora dell’Intelligence Usa abbia ragione.