Riceviamo e pubblichiamo:, 12 maggio 2022
“SOLO NEI PROSSIMI 5 ANNI, L’INDIPENDENZA ENERGETICA DALLA RUSSIA COSTERÀ CIRCA 200 MILIARDI DI EURO, OVVERO QUASI UN TERZO DI TUTTO IL RECOVERY PLAN EUROPEO” - L’EX AMBASCIATORE IN IRAQ, MARCO CARNELOS, ANALIZZA LE CONSEGUENZE DELLA GUERRA PER PROCURA DEGLI STATI UNITI ALLA RUSSIA: “CONTRO MOSCA È ANCHE IN CORSO UNA GUERRA ECONOMICA, IN CUI SONO STATI ARRUOLATI TUTTI I MEMBRI DELLA NATO E DELL'UE E I CUI EFFETTI COLLATERALI SULL’ECONOMIA SI STANNO RIVELANDO PESANTISSIMI; SOLO COLLOQUI DIRETTI TRA MOSCA E WASHINGTON POSSONO FERMARE IL CONFLITTO…”
Caro Dago, la guerra in Ucraina procede lentamente e sanguinosamente e non sembra profilarsi alcuna speranza di un cessate il fuoco. Il tanto atteso discorso di Vladimir Putin del 9 maggio non ha offerto nulla di nuovo.
Eravamo stati inondati di speculazioni sul fatto che Putin avrebbe colto l'occasione per fare un annuncio drammatico, come una dichiarazione formale di guerra che avrebbe comportato una chiamata a livello nazionale.
Alla fine, la montagna ha partorito il topolino. L’inquilino del Cremlino, Putin si è attenuto alla sua consueta narrativa, ovvero che è stato costretto a intraprendere la guerra e che si trattava di un "ora o mai più". Posizione apparentemente confermata anche dal direttore della CIA, William Burns, che qualche giorno fa ha dichiarato al Financial Times che "la finestra [di Putin] per modificare l’orientamento dell’Ucraina si stava chiudendo”.
Tuttavia, il discorso è stato preceduto da preoccupanti rivelazioni del New York Times sul ruolo dell'intelligence statunitense nel facilitare l’uccisione di diversi generali russi sul campo di battaglia e nell'affondamento dell'incrociatore Moskva, l'ammiraglia della flotta russa del Mar Nero.
L'editorialista di punta del New York Times, Thomas Friedman, ha riferito che "le fughe di notizie non facevano parte di alcuna strategia deliberata, e il presidente Biden era furibondo [al riguardo]", per poi concludere che "L'aspetto sconcertante di queste rivelazioni è che suggeriscono che non siamo più in una guerra indiretta con la Russia, ma piuttosto ci stiamo avvicinando a una guerra diretta – e nessuno ha preparato il popolo americano o il Congresso per questo".
Provenendo dal più noto editorialista di politica estera americano, che vanta fonti di altissimo livello ed esercita una fortissima influenza sull'establishment di Washington, sarei portato a pensare che mentre siamo dinanzi ad un evidente problema di gestione a Mosca, inizia ad affiorarne uno anche a Washington.
Al momento, le uniche conclusioni che, ragionevolmente, si possono trarre sono: - una controversia russo-ucraina va verso un’escalation con enormi implicazioni globali; - la guerra russa in Ucraina si sta trasformando anche in una guerra per procura degli Stati Uniti contro la Russia con il sostegno attivo di altri membri della NATO e con i poveri ucraini nella funzione di carne da macello; - contro Mosca è anche in corso una guerra economica, in cui sono stati arruolati tutti i membri della NATO e dell'UE e i cui effetti collaterali sull’economia si stanno rivelando pesantissimi; - solo colloqui diretti tra Mosca e Washington possono fermare il conflitto.
Ma al momento non vi è alcuna indicazione che tale dialogo possa essere avviato a breve; ed è questo quello che il Presidente Draghi deve aver udito dal Presidente Biden in occasione dell’incontro svoltosi a Washington il 10 maggio scorso.
A giudicare dalle dichiarazioni rese pubbliche, Draghi ha portato un messaggio sensato, evidenziando le inquietudini europee per il prolungarsi del conflitto e la necessità di porvi fine. Il problema è che Biden, dopo aver rifilato la consueta pacca sulla spalla che viene riservata in queste occasioni, abbia glissato su tutto il resto. Il Congresso Usa ha appena approvato ulteriori 40 miliardi di dollari a sostegno dell’Ucraina portando il totale dei fondi fin qui stanziati a 54 miliardi. Stati Uniti e Russia sembrano entrambi propendere verso una guerra lunga che assomiglia sempre più ad un treno in corsa fuori controllo.
Washington ne ha bisogno perché le sanzioni contro la Russia hanno bisogno di tempo per dispiegarsi pienamente e perché il loro obiettivo, adesso, è quello di propiziare un cambio di regime a Mosca. Quest’ultima, che vede il conflitto in Ucraina come esistenziale per la stessa Federazione Russa, sente di dover rilanciare sperando sul contraccolpo delle sanzioni, ovvero sull’aspettativa che avranno un effetto maggiore sull'economia mondiale e sull'Europa di quanto non lo faranno sulla sua stessa economia interna. Più pesanti gli effetti delle sanzioni sull'economia europea, si ragiona a Mosca, e più è probabile che l'unità europea vada in frantumi. Posizione anche questa riflessa, curiosamente, nelle valutazioni del Capo dell’Intelligence Nazionale USA, Avril Haines.
L'Ucraina sta quindi diventando un pericolosissimo braccio di ferro in una logica a somma zero per vedere chi cederà prima. La sensazione, da questo modesto osservatorio, e che entrambe le parti stiano sbagliando i loro calcoli.
Gli Stati Uniti stanno applicando alla Russia lo stesso fallimentare manuale seguito da 40 anni contro con l’Iran: guerra economica, asimmetrica e per procura. La Russia sta commettendo nei confronti degli Stati Uniti gli stessi errori che molte nazioni prima di lei hanno commesso nel corso del ventesimo secolo, ovvero sottovalutare il potere, la determinazione, e la forza di attrazione e persuasione dell’America.
Perseverare in questo errore di calcolo rischia di provocare, anzi lo sta già facendo, danni enormi: L'interruzione, l’accorciamento o il rimpatrio delle catene di approvvigionamento (tutte ipotesi lunghe e costosissime), carestie (con i connessi fenomeni migratori di portata biblica verso l’Europa), i prezzi dell'energia e delle altre materie prime alle stelle (alla sola Ue, e solo nei prossimi 5 anni, l’indipendenza energetica dalla Russia costerà circa 200 miliardi di euro, ovvero quasi un terzo di tutto il Recovery plan europeo), guerre valutarie, il commercio mondiale che potrebbe riconfigurarsi in blocchi regionali competitivi, debiti e bilanci fuori controllo, il tutto alimentato da un'inflazione senza precedenti negli ultimi 40 anni, una potenziale recessione globale, borse sulle montagne russe, per giungere al vero e proprio Armageddon: la stagflazione.
In questa sede, gentilmente richiesto o ospitato, ho spesso sostenuto che l’Ucraina era un bomba innescata. Fin dal famoso discorso di Putin alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco nel 2007, dove criticò aspramente la NATO per la sua espansione e per le sue presunte promesse non mantenute, la Russia ha operato una forte correzione di rotta nelle sue relazioni con l'Occidente (inteso come la confluenza di NATO, UE e G7).
È abbastanza palese come Putin abbia pianificato la sua invasione per diverso tempo, riempiendo le casse russe di oro e rafforzando il suo esercito e le sue forze missilistiche. Tuttavia, gli ultimi mesi hanno dimostrato come la pianificazione precoce non sempre implichi una buona pianificazione.
La resistenza Ucraina ha sorpreso e sconvolto i piani di Putin. In retrospettiva, e – ovviamente - secondo la percezione russa, la resistenza ucraina dimostrerebbe che il paese era una vera minaccia per la Russia perché le sue forze armate hanno rivelato elevate capacità di combattimento che, certamente, non possono essere state costruite nelle poche settimane dall'inizio della guerra. Qualcuno deve averle effettivamente armate e addestrate negli ultimi anni. Questo potrebbe spiegare la scelta di Putin di "ora o mai più", come ha fatto nel suo discorso.
Caro Dago, lungi da me l’intenzione di voler orsinianamente figurare come uno che pretende di spiegare tutto a tutti e di avere le soluzioni ad ogni problema, ma vorrei solo sommessamente ricordare a qualche lettore che potrebbe irritarsi che il termine spiegare non è sinonimo di giustificare. Pertanto, l’offrire una spiegazione del “ora o mai più” putiniano non (dico non) assolve quest’ultimo dal crimine commesso invadendo l’Ucraina e dalla sua perseverazione perseguendo la guerra in modo così spietato.
Nutro invece la deprimente sensazione che, se qualcuno all'interno del sistema russo contesterà mai Putin sul conflitto, non sarà per averlo scatenato, ma piuttosto per aver atteso troppo a lungo; la seconda obiezione - sempre dalla prospettiva nazionalista russa attualmente prevalente - è che tale ritardo abbia determinato circostanze che ora si configurano come minaccia esistenziale per la Russia. Vale a dire che se Putin dovesse essere rimosso, il suo successore potrebbe non essere migliore di lui, anzi…
Venendo agli Stati Uniti, nonostante la fine della guerra fredda, una forte russofobia è sempre sopravvissuta trasversalmente nell'establishment di politica estera e sicurezza americano. Madeleine Albright, che da poco ci ha lasciati, ne è stata una portabandiera. Questa scuola di pensiero ha piantato, con la complicità dei paesi dell'Europa orientale, i semi dell'attuale crisi con l'allargamento della NATO verso est.
Con il breve conflitto in Georgia nel 2008, l’intervento in Siria nel 2011 e la Crimea e il Donbas in Ucraina nel 2014, questa russofobia non ha fatto altro che crescere. Dal 2016 in poi, con l'elezione di Trump e il Russiagate (che sta crollando come un castello di carte), è diventata ossessiva.
Il minimo che si possa dire, pertanto, è che quando Putin ha deciso di invadere l'Ucraina il 24 febbraio scorso, negli Stati Uniti già serpeggiava un fortissimo sentimento russofobo che abbracciava tutti i democratici e ciò che resta dei repubblicani tradizionali.
Tuttavia, le reazioni iniziali dell'amministrazione Biden sono state prudenti, fu persino offerta al presidente Zelensky l’evacuazione per creare un governo in esilio. Il 4 marzo, il Segretario di Stato Blinken aveva definito gli obiettivi americani nel conflitto come “aiutare a difendere l'Ucraina e imporre un costo alla Russia attraverso le sanzioni, mantenendo aperta la porta della diplomazia e accogliendo con favore un cessate il fuoco.
Il 24 Marzo il presidente Biden aggiunse che se questi obiettivi avessero potuto essere mantenuti fino alla fine dell'anno, il presidente Putin sarebbe stato fermato. L'amministrazione statunitense resistette inizialmente anche alla pericolosa richiesta di stabilire una no-fly zone sull'Ucraina. Ma quando l'esercito russo ha iniziato ad offrire prestazioni disastrose sul campo, qualcuno a Washington (e Londra) ha sentito l’odore del sangue e la posizione è iniziata a cambiare. Naturalmente, il comportamento delle truppe russe ha fatto la sua parte nell’oltraggiare le opinioni pubbliche con evidenze di gravi crimini di guerra. Mai sottovalutare l'indignazione che crimini inquietanti possono generare In Occidente. Ovviamente questa indignazione sarebbe più credibile se si verificasse anche in occasione di quelli commessi dagli alleati di quest’ultimo, ma qui mi rendo conto di parlare al vento.
Il 26 marzo, il presidente Biden ha lapidariamente affermato che Putin non poteva rimanere al potere, e il suo segretario alla Difesa, Lloyd Austin, ha successivamente dichiarato che gli obiettivi degli Stati Uniti erano di "vedere la Russia indebolita e punita al fine di privarla della capacità di invadere altri paesi". Questa frase a Mosca è stata purtroppo declinata in modo diverso ovvero “privarla della capacità di difendersi”. Sarebbe bastato dire “vedere la Russia indebolita per convincerla dell’inopportunità di invadere altri Paesi”. Purtroppo, la carenza di empatia cognitiva nelle alte sfere statunitense è sempre stata e, temo, resterà a lungo, un problema cronico.
Caro Dago, Quando Franklin Delano Roosevelt e Winston Churchill firmarono la Carta Atlantica, nel gennaio 1941, concordarono – giustamente aggiungerei - che la guerra contro la Germania nazista sarebbe finita solo con la resa incondizionata di quest’ultima. La stessa posizione si sta delineando ora nell’Anglosfera (Stati Uniti e Gran Bretagna) nei confronti della Russia. La differenza è che quest'ultima possiede armi nucleari, e non è affatto una differenza marginale.
Pertanto, l'avvertimento che Henry Kissinger ha dato al Financial Times il 7 maggio scorso non dovrebbe rimanere inascoltato come i precedenti: "Penso che data l'evoluzione della tecnologia e l'enorme distruttività delle armi che ora esistono, [la ricerca di un cambio di regime] ci potrebbe essere imposto dall'ostilità degli altri, ma dovremmo evitare di generarlo con i nostri atteggiamenti".
Il confronto tra le due massime potenze nucleari sta diventando instabile ed esplosivo. Una è intenta a conseguire la vittoria totale, l'altra propensa a inquadrare tutto come una lotta esistenziale, e nessuna delle due sembra disporre di un piano b. Il resto dell’umanità sono i passeggeri del treno fuori controllo, che potrebbe deragliare in qualsiasi momento. Cordiali saluti Marco Carnelos
La presente lettera è un adattamento di un articolo pubblicato sulla testata britannica Middle East Eye l’11 maggio u.s.