Domenico Quirico per “la Stampa”, 12 maggio 2022
L’ARMA DI RICATTO DI PUTIN NON E’ IL GAS, E’ IL GRANO! - QUIRICO: “I DUE TERZI DEL MONDO SONO ALLA RICERCA DISPERATA DI GRANO PER SFAMARSI: ORA È MENO DISPONIBILE SUL MERCATO E IL PREZZO È QUASI RADDOPPIATO - RUSSIA E UCRAINA SONO I MAGGIORI ESPORTATORI DI QUEI 250 MILIONI DI TONNELLATE DI GRANO CHE PERMETTONO DI ALIMENTARE IL MONDO PIÙ POVERO - LE CONSEGUENZE LE HA SINTETIZZATE L'ONU: C'È IL RISCHIO CHE CROLLI IL SISTEMA ALIMENTARE MONDIALE, UN QUINTO DELLA UMANITÀ, UN MILIARDO E SETTECENTO MILIONI DI PERSONE, RISCHIANO LA POVERTÀ, LA DENUTRIZIONE E LA FAME. LA CARESTIA PUÒ CAMBIARE LA GEOGRAFIA POLITICA DEL MONDO, SCATENARE UN ONDATA DI DISORDINE E DI RIBELLIONI…” -
Accade sempre così. La cosiddetta situazione mondiale è materia infiammabile, non è possibile rinchiuderla in casseforti ignifughe.
Da qualche parte lontano, in Ucraina, c'è la guerra ma negli altri luoghi del mondo è invisibile, impercettibile nelle strade animate, i marciapiedi lì sono pacifici e grigi, e nel cielo si libra su tutto la normalità quotidiana come un dirigibile silenzioso. Da qualche parte, lontano, in Europa c'è la guerra ma altrove per fortuna non sanguina, è come se fossimo alla fine dell'universo.
Invece anche lì non c'è più la pace. La guerra si è allargata in cerchi sempre più vasti, senza chiasso, ogni giorno cambia volto e nome. Tutto comincia a dissolversi, a decomporsi, a diventare amorfo come dicono i chimici. È sempre lei la guerra.
Ma mentre in Ucraina è battaglia con bombe e fucili, là si chiama carestia, fame. Nel nostro Occidente il problema principale, ossessivo è il prezzo del gas e della benzina e già ci pare uno sfregio intollerabile e subdolo che la guerra del Donbass ci impone. nell'immenso mondo dei poveri, dei "senzatutto" l'onda sismica fa oscillare invece il prezzo del pane che non a caso in molti luoghi, come in Egitto, si chiama proprio così, semplicemente: «vita».
Dovremmo sempre provare a scendere un poco più in basso perché con la guerra c'è chi se la cava meglio e chi se la cava peggio. E prendere atto della spaccatura che l'aggressione di Putin ha già inferto. Di qua noi con i dibattiti sull'orario in cui sarà lecito ed eroico tener acceso il salvifico condizionatore. Di là i due terzi del mondo, quello che non conta, che è invece alla ricerca disperata di grano per sfamarsi.
Perché per la guerra è meno disponibile sul mercato ed è quasi raddoppiato nel prezzo a tonnellata da risultare al di sopra dei loro mezzi. Russia e Ucraina sono i maggiori esportatori di quei 250 milioni di tonnellate di grano che permettono di alimentare il mondo soprattutto quello più povero che non ne produce abbastanza. Ora sei milioni di tonnellate ucraine sono bloccate nei porti di Odessa, Mariupol e Nykolaiv, diventati teatro di dure battaglie e soffocate dal blocco navale russo nel Mar Nero.
La Russia che è il primo esportatore mondiale davanti agli Stati uniti è assediata dalle sanzioni che la escludono tra l'altro dai mercati finanziari e rendono difficili i pagamenti. In più Mosca ha già annunciato che ridurrà le forniture proprio ai suoi clienti più vicini e fedeli dal punto vista politico, che non hanno aderito alla linea dura occidentale, Bielorussia Armenia Kazakhstan e Kirghizstan. I mercati si sa vivono di euforie e paure: i prezzi sono subito balzati alle stelle.
Si teme che la Russia in questo modo annunci la volontà di riempire i suoi stock strategici in vista di una guerra lunga e di una lunga resistenza all'assedio occidentale. Siamo davvero troppo ossessionati dal gas come se fosse l'arma risolutiva da cui dipende la vittoria su Putin. E se invece fosse l'umile, antichissimo grano lo strumento del ricatto riuscito con cui lo zar prende alla gola il mondo?
È un caso che nel 2014 con l'occupazione della Crimea e le prime sanzioni occidentali Mosca annunziò "il riarmo agricolo" a cui come al solito noi sacerdoti della allegra globalizzazione trionfante non abbiamo prestato attenzione. Aumentò cioè la produzione cerealicola per ridurre la dipendenza alimentare da Europa e Stati Uniti e si lanciò con successo all'assalto di mercati in cui fino ad allora era poco presente come l'Algeria per accrescerne la dipendenza.
L'Ucraina, che è il vero granaio d'Europa e i cui clienti maggiori sono in Medio Oriente e nel Magrheb, ha il grano che marcisce nei silos assediati dal blocco dei porti. Nella parte del Paese non toccata direttamente dalla guerra, le semine sono state fatte regolarmente, ma ad Est e a Sud i campi sono ridotti a terreni di battaglia, minati, arati impietosamente dai carri armati. I russi razziano trattori e macchine agricole, e bisognerebbe contarli come perdite più gravi di tank e cannoni.
Manca ormai il carburante per farli muovere con i depositi annientati dai bombardamenti. Il raccolto sarà molto inferiore al solito. Le conseguenze le ha sintetizzate l'Onu: c'è il rischio che crolli il sistema alimentare mondiale, un quinto della umanità, un miliardo e settecento milioni di persone, rischiano la povertà, la denutrizione e la fame.
Ecco la geografia della più ancestrale paura dell'uomo: 55 Paesi africani e del Terzo Mondo sono minacciati, diciotto di loro dipendono per più del cinquanta per cento dalla Russia o dall'Ucraina per le importazioni di grano, Eritrea Somalia Mauritania e Tanzania per il cento per cento. Nell'Africa subsahariana il trenta per cento del grano consumato è acquistato nei due Paesi in guerra. La sopravvivenza sarà legata agli aiuti internazionali.
Riflettiamo politicamente su questa geografia della disperazione aggravata dalla guerra. Nel 2011 la miccia delle rivoluzioni arabe fu una catena di furibonde rivolte del pane. Un brusco aumento dei prezzi della farina allora causato dal crollo dell'offerta dovuto alla siccità in Russia, Australia e Argentina, scatenò la rabbia contro regimi tirannici e corrotti e divenne rivoluzione. Oggi l'Egitto di Al Sissi, primo importatore al mondo di grano, e che il governo vende a prezzi calmierati per evitare un'altra piazza Tarhir, ha riserve di farina per i suoi 100 milioni di abitanti solo fino all'estate.
I prezzi troppo alti bloccano la creazione di nuove riserve necessarie a calmare un fronte interno che non vive certo un periodo di baldoria e di abbondanza. Il Libano già atterrato da una crisi economica biblica dipende per il 50 per cento dalle forniture russe e ucraine. In Siria dove il novanta per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà una ondata di siccità ha aggravato la situazione alimentare.
Bashar alleato di Mosca, il vincitore rischia di essere travolto da una rivolta della fame. La carestia può cambiare la geografia politica del mondo, scatenare un ondata di disordine e di ribellioni. Le folle si muovono solo con sentimenti elementari, invocazioni brutali: vogliamo il pane è una di queste. Sarebbe la vittoria di Putin ottenuta non con il gas o il petrolio ma con il grano.