la Repubblica, 12 maggio 2022
Apre a Genova il Museo nazionale dell’emigrazione italiana
Il porto è spostato solo di qualche decina di metri, schermato da una lingua d’asfalto che separa la città dal mare. Ma il senso non cambia perché qui il visitatore diventa migrante, pronto a imbarcarsi nella storia e ripercorrere quel viaggio che, dall’unità d’Italia a oggi, hanno affrontato 29 milioni di italiani verso tutti i continenti del mondo. Benvenuti alla Commenda di Prè, “ospitale” medievale nato per dare accoglienza ai pellegrini sulla rotta per la Terra Santa. E da oggi sede del Museo nazionale dell’emigrazione italiana. Al suo interno, duecento storie di emigrazione che si susseguono fra le 16 sale. E 1.300 immagini d’archivio, 70 postazioni multimediali, 65 monitor, 25 proiettori laser. Un’esperienza sensoriale talmente forte che quasi stordisce, con le colonne medievali a fare da sfondo alle narrazioni italiane. Alla fine, la scelta del governo è caduta proprio su Genova, perché «non poteva essere altrimenti», spiega il ministro della Cultura, Dario Franceschini, fra i fondatori del museo insieme con il Comune di Genova, la Regione Liguria e la Compagnia di San Paolo.
Questo è il porto dell’emigrazione, da qui sono transitati almeno dieci milioni di italiani spinti a lasciare il loro Paese per cercare altrove un’occasione di rinascita, di riscatto, di fuga dalla miseria, dalla fame, dalla povertà. Una storia che tocca ognuno di noi, è quella raccontata dal museo, perché c’è un passato di emigrazione in ogni famiglia italiana, una memoria condivisa che si rivive varcando la soglia della Commenda.
Ad accogliere chi entra c’è un migrante speciale, si chiama Francesco Sivori ed è il nonno materno di Jorge Mario Bergoglio, figlio e nipote di emigranti italiani in Argentina. Il padre Mario, con il nonno Giovanni e sua moglie Rosa, lasciarono infatti Genova il primo febbraio del 1929 per raggiungere Buenos Aires, dopo essere miracolosamente scampati alla tragedia del “Principessa Mafalda”, affondata al largo delle coste brasiliane nell’ottobre del 1927 e su cui non salirono per ragioni economiche (la mancata vendita dei loro terreni astigiani). La storia dei Bergoglio diventa paradigma dell’emigrazione offerto al visitatore con giochi di luci improvvisi e naturali, frutto dell’apertura degli archi della facciata dell’ospitale, oggi coperti solo da vetrate. Da subito, all’ingresso, ecco la mappa del mondo che unisce con luci a led l’Italia ai continenti raggiunti dagli emigranti, mentre 3 monitor trasferiscono i dati su partenze, ritorni e periodo di riferimento.
I luoghi dell’emigrazione, raggiunti in oltre un secolo di viaggi via mare per la “Merica” e per le altre destinazioni, rimbalzano adesso sulla vetrata che divide la Commenda dalla chiesa inferiore. A fianco, una serie di totem dà vita alle storie dei migranti, arrivati in treno, disposti a soggiornare nelle locande dell’angiporto e ad attendere per giorni la chiamata all’imbarco. Ma quanti sono stati? Il Centro internazionale di studi sull’emigrazione italiana (Cisei), ha già mappato cinque milioni di italiani in partenza da Genova e punta a raddo ppiare la sua indagine. Ed eccole, quasi a sorpresa, le facce dei migranti che spuntano fra le sale con le loro espressioni, dalla fine dell’Ottocento fino agli anni Duemila. Sì, perché anche oggi si continua a partire. E se l’imbarco è fatica, allora ecco la possibilità di una sosta, per cenare con i migranti,sedendosi al loro fianco e guardando nei loro piatti. Lo spazio che ritorna reale attraverso l’unione di alta tecnologia e memoria, affidato alla genovese Ett, si concentra sul planisfero impresso a rilievo su un grande tavolo da cui accedere all’Archivio diaristico nazionale del ministero degli Esteri. Qui si uniscono storie e filmati, mentre a fianco il Memoriale ricorda le vittime del mare attraverso un grande planisfero sospeso al soffitto da cui scendono corde rosse con il nome del luogo delle tragedie. Poi, al secondo piano, ecco l’incontro con la varia umanità che attende il migrante dopo lo sbarco: l’ufficiale, il datore di lavoro, la padrona di casa, il poliziotto, il sindacalista. È l’America, quella dei migranti che mangiano sulla trave d’acciaio sopra New York City, quella di Little Italy, con la gente sotto ai lampioni o al bancone di un bar. Così fino alla fine, alla storia dei migranti d’oggi. Che poi sono il nuovo inizio di questa avventura.