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 2022  maggio 12 Giovedì calendario

Vincenzo Nibali ha annunciato il ritiro

Gaia Piccardi, Corriere della Sera
Il bambino siculo cui papà Salvatore segò in due la bicicletta dopo l’ennesimo votaccio a scuola, scende di sella. Non oggi, non domani e nemmeno in cima a questo Giro d’Italia che è l’11esimo e l’ultimo (due trionfi, 4 volte sul podio); a fine stagione, probabilmente dopo il Lombardia già sbranato due volte (8 ottobre) e per i prossimi cinque mesi sarà nostra premura limitare i superlativi e ridurre la retorica al minimo sindacale però va detto: davvero come Vincenzo Nibali non ci sarà più nessun altro.
L’annuncio ieri a Messina, il segreto di Pulcinella del veterano 37enne chiuso a chiave nel tascapane da Budapest («Aspettavo questo giorno, davanti al pubblico commovente della mia città»), poche sentite parole in diretta Rai («Chiuderò a fine anno, lascio il ciclismo») mordendosi il labbro per non piangere a dirotto come quel ragazzino che a 15 anni s’imbarcò in traghetto per il continente, direzione Mastromarco (Toscana) e ogni sorta di ben di Dio ciclistico. La tappa la vince il francese Demare di potenza su Gaviria (problema meccanico) e Nizzolo, lo spagnolo Lopez Perez si fa largo tra le granite e i cannoli di via Garibaldi in rosa e in estasi («Il più bel giorno della mia vita»), la mozione degli affetti travolge Nibalino nostro tornato in blu Astana dopo i petrodollari del Bahrain e la parentesi Trek («Questa è la maglia che mi ha regalato tante emozioni», allude ai due Giri vinti e all’indimenticabile Tour 2014, in giallo dalla seconda tappa, un’esperienza surreale), compaiono improbabili compagni di scuola, sedicenti scopritori, parenti, amici di una vita, tifosi che lo abbracciano stretto per non farlo andare via: chi vincerà i grandi giri per l’Italia dopo lo Squalo pensionato?
Ci sono Salvatore e Giovanna, naturalmente, i genitori del fuoriclasse che gestiscono una cartoleria dietro l’angolo, già meta di pellegrinaggi laici. Fioccano gli aneddoti («Giovanna mi regalò una bici Benotto, poi è nato Enzo e si è appassionato guardandomi pedalare» racconta il padre), cuore di mamma gronda affetto («Quello che decide mio figlio a me va bene»), nella residenza di Lugano sono rimaste sia la moglie Rachele che la figlia Emma, impegnata con scuola e pianoforte: verranno a Verona, capolinea di questo grand tour durato quasi vent’anni, una straordinaria campagna di acquisizione di trofei dalla Spagna (Vuelta 2010) alla Liguria (Sanremo 2018 con quel mitologico allungo sul Poggio), tra imprese, infortuni («Da quello sull’Alpe d’Huez ci ho messo un anno a riprendermi»), prese di coscienza: «Ritirarmi è una scelta meditata, va bene così. Ho dato tanto al ciclismo, sacrificando famiglia e affetti, è arrivato il momento di restituire ai miei cari il tempo che ho sottratto». 
Sonny Colbrelli, compagno alla Bahrain per tre stagioni, manda saluti e baci dalla convalescenza («Magari adesso apriamo un negozio di orologi insieme, la nostra passione: hai ispirato un’intera generazione, sarà impossibile trovare un altro Nibali»), su Vincenzo tornato Enzino come all’inizio di questa storia piovono i messaggi di compagni, rivali, ex nemici, mentre sulla meritata spoon river aleggia il ricordo di Michele Scarponi, l’amico che non c’è più.
L’Etna martedì ha scoperchiato i limiti del vecchio Squalo sdentato, che d’ora in poi (oggi si torna in continente) non ha più nulla da perdere: «Sul vulcano ho preso quattro minuti ma io questo Giro voglio godermelo. Vedremo se ci sarà spazio per puntare alle tappe...». Poi la sfida sarà inventarsi un’altra vita, a piedi, senza bicicletta e senza più cerette. Non tutti i mali vengono per nuocere.

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Marco Bonarrigo, Corriere della Sera
I palmarès non mentono: con Bartali e Coppi classificati tra le Divinità, Vincenzo Nibali e Felice Gimondi si spartiscono il titolo di giganti della storia del ciclismo italiano moderno. Se il curriculum di Felice è più ricco e completo (una Roubaix, un Mondiale e un Giro più del siciliano, nell’era Merckx), Vincenzo ha costruito il suo lottando per 18 anni contro una concorrenza più universale e spietata di quella del bergamasco, vincendo i tre grandi Giri (quello rosa due volte), i «monumenti» Lombardia e Sanremo e 50 altre corse di chiara fama. Nibali si distingue tra i giganti nostrani per le sue radici: è il solo emerso dal Sud, in una regione di modesta cultura ciclistica come la Sicilia da cui emigrò a 15 anni verso una Toscana che gli parve terra promessa. Il percorso della tappa di ieri era punteggiato dai borghi dove Enzo ragazzino si fece le ossa in garette di paese: Terme Vigliatore, Barcellona, Milazzo, Monforte, Villafranca Tirrena. La straordinaria versatilità dello Squalo si riassume in due episodi: la tappa di Roubaix del trionfale Tour 2014 dove si fece beffa dei grandissimi specialisti del pavé e il finale della Sanremo 2018, tatticamente il momento più alto in carriera, dove beffò finisseur e velocisti allupati. Grande Vincenzo lo è stato anche per le vittorie mancate di un pelo: quelle alla Liegi del 2012, dove fu bruciato solo dalla meteora Iglinskiy (poi radiata per doping) e ai Giochi di Rio persi per un tubolare finito un millimetro oltre il ciglio stradale. Altra medaglia da appuntare sul petto: in 18 stagioni, 26 grandi Giri e 1.310 giorni di gara, Nibali si è ritirato soltanto una decina di volte quando, zoppo o ferito, non era fisicamente in grado di tagliare il traguardo. Vincenzo purtroppo non lascia eredi. Non in Sicilia dove il movimento giovanile è quasi azzerato, non in Italia dove non si vede nemmeno da lontano un suo successore, qualcuno che abbia il suo talento e un pizzico della feroce determinazione che lo portò a far le valigie da ragazzino ma anche ad arrivare ultimo e staccatissimo alla prima durissima Liegi-Bastogne-Liegi perché l’implacabile diesse Giancarlo Ferretti gli aveva spiegato che solo i falliti si ritirano. Qualunque altro debuttante si sarebbe ritirato, Nibali invece lo prese, come sempre, maledettamente sul serio.