Corriere della Sera, 11 maggio 2022
Al Giro bici e scarpe più leggere e body spaziali
Pelle, ossa e fibra di carbonio. In un ciclismo dai valori super livellati (specialmente se manca Pogacar), la vittoria in un grande giro si gioca sul filo dei secondi. E quindi, oltre che su talento e forma, anche sul peso del complesso bici più corridore, in base al principio del «più sei leggero, più vai forte in salita».
Alla vigilia della tappa dell’Etna il favorito Carapaz ha fatto sverniciare la sua Pinarello Dogma F: grattando via il velo dorato che celebrava l’oro olimpico di Tokyo, Richard ha guadagnato 50 grammi. Pochi? Gli esperti dicono che il colombiano ottiene così quel watt di potenza in più che (sommato ad altre limature) può fare la differenza in un duello con un pari grado. Sul body di Carapaz – come su quello degli altri favoriti – le costole spuntano dalla lycra come promontori appuntiti. Abbassare ancora il peso corporeo metterebbe in crisi le difese immunitarie degli atleti ecco perché bisogna far dimagrire le bici che non rischiano influenze o dissenterie.
Qui al Giro si vedono cose spaziali: il body di Yates venduto a 3.200 euro e con la consistenza di un velo di carta da forno, scarpe di fibra di carbonio da un etto (le italiane Nimbl) che vengono fasciate attorno al piede invece che indossate, ruote monoscocca (le Black Inc) che si sollevano con un dito e costano quanto uno scooter di lusso. Ma la corsa ai limiti ha un grosso limite: per regolamento la bicicletta non può pesare meno di 6,8 kg, tutto compreso.
Se l’alleggerisci e il giudice ti becca, torni a casa. L’Unione Ciclistica Internazionale non sente ragioni: è una questione di sicurezza, dicono i probiviri del ciclismo senza però portare elementi scientifici. Balle spaziali, replicano i produttori: un amatore compra e pedala bici da sei chili senza farsi male, la federazione pensa solo a bloccare lo sviluppo tecnologico. Modelli ultraleggeri infatti sono già in gruppo e i meccanici sono costretti a inserire tondini di piombo nel telaio per farlo rientrare nella norma.
Certo, stabilire dei limiti è complicato, i test di rottura non sono facili da protocollare perché non siamo in F1 (dove da quest’anno è tornato di moda sverniciare le monoposto, lo fa anche la Red Bull di Verstappen): qui il peso del corridore è preponderante rispetto a quello della bici e tra i 52 chili di «Pollicino» Pozzovivo e gli 85 di certi velocisti cambia tutto.
L’ultima proposta è quella di consentire a chi sta sotto i 68 chili di usare una bici pari al 10% del peso corporeo: 6 chili per uno scalatore da 60, 5,8 per uno da 58 e così via. Ma quando andrebbe pesato il ciclista? A inizio stagione? A inizio gara? E da chi? Il ciclismo è sempre più tecnologico, molte proposte sono di grande interesse e fascino ma chi deve dettare le regole è fermo agli anni Ottanta.