Corriere della Sera, 11 maggio 2022
Biografia di Enrica Bonaccorti raccontata da lei stessa
Enrica Bonaccorti, come dove quando e perché scrisse per Domenico Modugno «la lontananza sai, è come il vento. Che fa dimenticare chi non s’ama»?
«Avevo 19 anni, partii da una frase scritta a 14 sul mio diario. Eravamo in tournée a Cuneo e, dopo lo spettacolo, Mimmo m’insegnava a scrivere canzoni. Mi fece sentire una musica e mi ricordai delle frasi appuntate quando ero stata costretta a lasciare il mio primo amore: papà era poliziotto e, dalla Sardegna, era stato trasferito a Roma. Mimmo impazzì, saltava, diceva: sarà un successo, continua, scrivi quello che ti ricordi. Totò ha fatto il militare a Cuneo, io a Cuneo ho fatto La Lontananza».
Per Mister Volare, Bonaccorti scrisse anche Amara Terra mia, ma non è come paroliera che è conosciuta, quanto come conduttrice di una televisione che ha lasciato il segno fra gli Anni ’80 e ’90, da Italia sera di Raiuno a Non è la Rai sulla nascente Fininvest. Tre Telegatti, tante copertine, qualche sceneggiato in gioventù, molti programmi in radio, da Per chi suona la campana, premio Maschera d’argento 1975. Oggi fa l’opinionista tv e scrive romanzi, Condominio, addio! è appena uscito per Baldini + Castoldi.
Che ne è stato di quel primo fidanzatino?
«Lo annovero fra i miei quattro grandi amori, tutti colpi di fulmine. Gli altri tendo a dimenticarli, più che a perdonarli. La nostra vita è come quella degli alberi: migliora potando. L’amore più grande è stato l’ultimo, Giacomo Paladino, mancato a settembre, dopo 24 anni insieme. Gli ho dedicato il nuovo romanzo: la sua leggerezza, ironia, eleganza mi hanno accompagnata in ogni pagina, anche se alla fine ci è arrivato prima lui. Leggeva tutto, via via che scrivevo».
Come sta sopportando la perdita?
«Facendo finta che ci sia: gli parlo di continuo; faccio le cose che mi ha insegnato, sono puntuale, ordinata. Era un signore gentile».
Gli altri due amori nel mezzo?
«Un jazzista con cui ho vissuto dai 27 ai 32 anni e un francese con cui ho vissuto per tre anni».
Carlo di Borbone delle Due Sicilie. Per stare con lui, lasciò la televisione.
«Io l’ho sempre chiamato Charles. Ma lasciai la tv soprattutto perché, da dieci anni, ero sempre in diretta e trovavo strano il mio excursus, da un programma giornalistico come Italia sera a uno leggero come Non è la Rai. Da due anni dicevo a Maurizio Costanzo: voglio staccare. E lui: sei pazza, poi rientrare è difficile. Mamma mia, come aveva ragione».
Rientrò, ma da ospite.
«Commisi un errore di superficialità, ma in quei tre anni stavo su un altro pianeta, era un film dai colori pastello. Era intesa totale. Però mi rendo sempre conto delle cose dopo, capisco il successo dopo che l’ho avuto, capisco dopo che era un principe vero, ho capito dopo i 60 quanto ero carina da giovane. Arrivo sempre in ritardo».
Perché finì con il principe?
«Era iniziata con il foglio di via in mano. Mi disse subito che non poteva sposarmi. Gli feci una risata in faccia, dissi: vabbé, che sarà mai. La famiglia non era così felice di me: ero un’artista, lui aveva 29 anni, io 42, ero divorziata. L’avevo sempre saputo, ma, dopo, è stato come guardare un vetro che va in frantumi. Mia madre ha sempre detto: il problema è che non sei ambiziosa. In effetti non ho mai lottato per le cose: quello che arrivava mi sembrava già troppo».
Se non lottando, come sono arrivate le cose?
«Per caso».
«Il caso vive di luce propria, il caso basta a se stesso», scrive nel suo ultimo romanzo. Perché tiene al caso?
«Per me è come la provvidenza per i credenti. Il teatro, che avevo sempre sognato, arriva alzando la mano, come a scuola. Studiavo Lettere e Filosofia, il pomeriggio m’infilavo nei teatrini off per assistere alle prove. Un giorno si fa male un’attrice, io alzo la mano: posso sostituirla io. Feci due mesi di tournée, dormendo su due fogli di gommapiuma gialla, accampata dove capitava. A Tindari, mi vide l’agente di Modugno».
E si trovò in scena con lui e Paola Quattrini.
«Era M’è caduta una ragazza nel piatto: dicevo tre battute. Poi il caso vuole che la seconda attrice, Tamara Baroni, abbandoni due giorni prima che arrivassimo al Manzoni di Milano. Era coinvolta nello scandalo del tentato omicidio della moglie dell’industriale Pierluigi Bormioli, per il quale finirà in carcere e poi assolta. La sua era una parte lunga: nessuno poteva impararla in due giorni. Alzai la mano e dissi: io la so».
Anche la tv arriva per caso?
«Avevo superato tre provini per essere la protagonista dell’Amadeus di Peter Shaffer al teatro Argentina. Purtroppo, dovevo aprire la camicetta e mostrare il seno. Disperata, mi feci operare per ridurmelo. Dopo sei ore d’intervento, mi sveglio con il braccio come morto e la lingua penzoloni. Dovetti rinunciare all’Argentina. Stavo a casa e, come diceva Eduardo De Filippo, chi ti dice che è una disgrazia? Chiama la Rai: sappiamo che non fa la stagione, vorremmo incontrarla. Era per Italia sera, il nome lo inventai io. Con Mino Damato e Piero Badaloni, serviva una donna, decorativa. Ma prima d’iniziare Badaloni rinuncia e il mio ruolo decorativo si espande».
Quanto temeva l’insuccesso quando prese il posto di Raffaella Carrà a «Pronto chi gioca»?
«Arrivo e Gianni Boncompagni mi dice: non ti preoccupare, tanto andrà tutto malissimo. Mi lasciò senza indicazioni di regia. Abitavo in un seminterrato, sulla mia testa passava l’autobus, la sera prima mi chiedevo come infortunarmi per non andare in onda. Vado, invece, e non c’era un copione. Iniziai a presentare i ballerini uno per uno, lessi i biglietti dei fiori arrivati in studio. Alla fine, battemmo Pronto Raffaella?».
Perché viveva in un seminterrato?
«Ci ho abitato finché sono stata in Rai. Non sono mai stata brava a farmi valere e farmi pagare. Per decenni non ho avuto agente o addetto stampa. Ho sempre lavorato con lo spirito della professoressa che avrei dovuto essere. Mai avuto frequentazioni importanti, non vado nei salotti, anche perché non riconosco le persone: condivido con Brad Pitt la prosopagnosia. A un evento Fininvest chiacchieravo con un signore. Chiedo: di cosa ti occupi adesso? Lui mi fa pat pat sulla spalla: faccio sempre il presidente della Fininvest. Era Fedele Confalonieri».
In Fininvest, alla fine, era andata per uscire dal seminterrato?
«Passai direttamente dal seminterrato alla villa. Mi diedero una cifra stratosferica, mi corteggiavano da anni. Ma fu perché il caso volle che in Rai mi avevano dato, e tolto prima di iniziare, Domenica In 1987».
Questo perché osò annunciare in diretta che era incinta?
«I dirigenti sapevano che l’avrei detto. I giornali parlarono di uso privato di servizio pubblico. Mentre, oggi, in tv, si mostrano pure le ecografie... La cosa peggiore è che in camerino mi sentii male, poi persi il bambino».
«Non è la Rai» fu accompagnato da polemiche furibonde.
«Parlavano di Lolite, ma la vera storia è che i primi tre mesi potevo fare interviste e interagivo con quelle giovinette».
Da qui, la nostalgia del giornalismo.
«Me ne andai dopo lo scandalo del Cruciverbone: una concorrente diede la risposta prima che io facessi la domanda. Dissi: datemi una mitragliatrice, è una truffa. Non so come mi venne. I dirigenti mi rimproverarono la reazione».
Fra gli amori, non ha messo Renato Zero, che di lei ha detto: «Mi ricordo ancora i brividi».
«Resta un amico. Era Renato Fiacchini che diventava Zero, io fingevo di essere la sua agente, mettevo un abito serio e andavo a vendere le sue serate nei bar. A volte mettevo una tutina nera con le frange e mi esibivo con lui, inventando finte pubblicità. Avevamo vent’anni, ci accomunava un sogno di futuro che di certo avremmo conquistato, senza pensare al come, al cosa».
Padre in divisa, che educazione ha avuto?
«Severa. I primi 13 anni in caserma. E papà era colonnello, ma mamma era generale. Era colta, a vent’anni era già laureata. Mio padre è morto che avevo 19 anni e lei mi ha sostenuta in tutto. Senza, non avrei potuto crescere Verdiana. Mi ero sposata per amore, poi ero incinta e ci sfrattarono. Andammo a stare da mamma, e undici mesi dopo la nascita, persi di vista mio marito».
Tipo: esco a comprare le sigarette?
«Mi aveva dato una spinta mentre tenevo in braccio la bimba, gli dissi: non mi toccherai più. Se ne andò, nostra figlia non ha mai avuto gli auguri al compleanno. Però andò al suo funerale».
Come era stato il suo ’68?
«Meraviglioso. Occupammo il Lucrezio Caro, leader Giuliano Ferrara, io unica donna. Ci caricarono su una camionetta e ci picchiarono con i manganelli. Ci portano in caserma, il commissario mi fa: proprio lei, figlia del colonnello, sono stupito. Rispondo: sono molto stupita io, a un mio amico avete rotto il setto nasale. E lui: forse, inconsapevolmente, vi sarete urtati fra di voi. Poi, per tre mesi, me ne andai in giro con “Gli Uccelli”, con Paolo Liguori, detto Straccio, con Diavolo, con Apache... Cinque uomini e io. Facevo l’autostop da sola e poi caricavo gli altri».
E dove andavate?
«Da Carlo Levi o da Giuseppe Ungaretti. Dicevamo: sei compagno? Allora, devi farci entrare. E ci accampavamo. Abbiamo dormito pure sui biliardi del Circolo Comunisti di Fucecchio».
Fu allora che Ungaretti le accarezzò una gamba, come raccontò in pieno MeToo?
«No, fu una volta che lo accompagnavo con la 500, fu un attimo. Aveva 60 anni più di me».
Chi è Francesco Maria von Altemberger dei marchesi Isvardis del «Condominio» e ora di «Condominio, addio!»?
«Un personaggio che mi sono divertita a raccontare. In cerca sempre di un altrove che non sia il suo palazzo, la sua identità prestabilita. L’insoddisfazione che lo attraversa è anche mia. E il suo sarcasmo è il mio: avrei l’irrisione facile, ma mi trattengo: la gente si offende. Allora, tutte le cose che vorrei dire, le faccio dire a lui».