La Stampa, 11 maggio 2022
Lunga intervista a Roberto Burioni (che è ottimista)
«La tecnologia a mRna è un risultato del mondo libero, della sua ricerca e della sua capacità di confronto, e per questo continuerà a stupirci». Roberto Burioni, professore ordinario di Virologia al San Raffaele di Milano, confessa nel suo ultimo libro di essere diventato più ottimista grazie a La formidabile impresa (Rizzoli) della scoperta dei vaccini.
Si tratta di un successo scientifico dell’Occidente?
«Sì, non abbiamo mai visto i dati dei vaccini cinesi o cubani. È arrivata qualche informazione lusinghiera sul russo Sputnik V, ma è mancata la capacità di produrlo in sicurezza».
Nel libro lamenta la carenze informativa dalla Cina, che ancora paga la mancanza di vaccini efficaci?
«La Cina va ringraziata per la prima sequenza del virus di Huwan, però mancano dati su come il virus sia passato dall’animale all’uomo. Non si tratta di attribuire colpe, ma di poter studiare cosa sia successo per impedire che si ripeta».
Qual è la sua idea sull’origine del virus?
«La mia opinione conta poco, da scienziato vorrei semplicemente più dati. Al momento l’ipotesi condivisa scientificamente in base alle informazioni disponibili è quella di un passaggio dall’animale all’uomo nel mercato di Huwan. Quello di cui sono certo è che non ci sia stato uno scienziato pazzo che abbia voluto produrlo».
Nel libro critica anche l’Oms.
«Un’organizzazione del genere dovrebbe fare riferimento alla scienza e non alla politica. Ha dato un contributo rilevante, ma in qualche momento l’avrei desiderato più indipendente e veloce».
In una pagina confessa che la scienza l’ha fatta diventare ottimista?
«Sì, i vaccini e la tecnologia a mRna che ci sta dietro sono stati una sorpresa inimmaginabile. Ancora oggi mi sorprendo della loro efficacia e sicurezza, per esempio negli anziani su cui non sempre i vaccini funzionano bene».
Il vantaggio della tecnologia a mRna è nella sua duttilità?
«Una volta per produrre i vaccini si davano degli ordini a delle cellule in dei bioreattori perché producessero anticorpi. Ora si possono dare direttamente alle cellule dei pazienti. Basta produrre l’mRna, ovvero l’ordine con la proteina del virus così che venga riconosciuta dal sistema immunitario. Esserci riusciti in maniera sicura apre una nuova era».
Si spera per i tumori?
«Si va dall’impiantare citochine nelle cellule tumorali per attirarvi la risposta del sistema immunitario a vaccini personalizzati contro i tumori, anti-Hiv o senolitici per l’invecchiamento».
La capacità di aggiornamento potrebbe essere utile a contrastare le nuove varianti?
«Potrebbe, ma la protezione dei vaccini anti-Covid attuali contro la malattia grave è solida. Prima di parlare di una quarta dose aggiornata per tutti bisogna avere i dati che funzioni meglio. In teoria potrebbe , ma non si può vaccinare in teoria per cui è presto. E poi bisognerà vedere aggiornata a quali varianti. La situazione è variabile. In Sudafrica sono apparse due sottovarianti, Omicron 4 e 5, che sembrano prendere il sopravvento e potrebbero reinfettare di più».
Perché Omicron produce tante sottovarianti?
«Da un lato studiamo meglio le varianti e ci accorgiamo di più delle novità, dall’altro è cambiato lo scenario. All’inizio le varianti in vantaggio erano quelle che si diffondevano meglio nella popolazione non vaccinata. Ora, con quasi tutti vaccinati o guariti, non conta solo la capacità replicativa del virus, ma anche quella di reinfettare. Cosa che per altro fanno tutti i coronavirus simili».
Durata dell’immunità e varianti sono le variabili?
«Sì, e sono collegate. Bisogna distinguere tra due immunità, una breve contro l’infezione e una lunga contro la malattia grave. Non avremo mai l’immunità di gregge, posto che possa esistere per un virus che trova serbatoi animali, perché i vaccini non bloccano il contagio. Un cauto ottimismo può venire dall’improbabilità che il virus tiri fuori una variante totalmente inaspettata».
Dopo i vaccini è diventato proprio ottimista?
«Non lo sono mai stato, ma mi hanno fatto cambiare idea pure gli antivirali che in molti casi evitano l’ospedalizzazione».
Non sono complicati?
«No, vanno assunti entro 5 giorni dal contagio, per cui bisogna valutare di essere contagiati, di essere pazienti a rischio e di non avere controindicazioni. Insomma, se si hanno più di 75 anni e patologie concomitanti va consultato un medico e richiesto il farmaco».
Lei continua a dire che i morti sono troppi, è così?
«Sì ed è importante capire se si tratti di persone malate, vaccinate o trattati con gli antivirali. Se ci accorgessimo di no bisognerebbe mettere in atto dei provvedimenti. Senza dimenticare che il virus circola e colpisce i più vulnerali».
Gli anticorpi monoclonali soffrono le sottovarianti?
«Alcuni sì, però se ne possono generare di nuovi. Il punto da rimarcare però è che nessun farmaco sostituisce i vaccini».
E sarà sempre così?
«Storicamente le minacce virali si sconfiggono con i vaccini, dunque prima del contagio».
Katalin Karikò, Ugur Sahin e Ozlem Tureci, gli scienziati che hanno scoperto i vaccini di cui racconta, ce l’avrebbero fatta senza Big Pharma?
«Le case farmaceutiche con la loro conoscenza, capacità produttiva e organizzazione hanno dato un contributo fondamentale. Purtroppo devo notare che non hanno fatto altrettanto per comunicare la sicurezza dei vaccini. Tuttora non contrastano le fake news. Sui loro guadagni, da medico, ritengo intollerabile che i farmaci non siano ancora a disposizione di tutti, ma è la politica che deve trovare un equilibrio tra il giusto compenso di chi ha investito e un’equa distribuzione ai Paesi svantaggiati».
La vaccinazione globale resta fondamentale per la fine della pandemia?
«No, perché anche vaccinando tutta la popolazione mondiale il virus continuerebbe a circolare. Certo ci sarebbero meno morti e la situazione migliorerebbe».
Da anni si scontra con i No vax, c’è chi soffia sul fuoco?
«Dopo 165mila morti di Covid 7 milioni di italiani, di cui 1 milione over 50, rifiutano un vaccino sicuro ed efficace. Un mistero su cui tutti dovremmo interrogarci. La mia sensazione è che dietro le fake news ci siano spesso interessi».
Teme più un’altra pandemia o l’antibiotico-resistenza?
«Entrambe, ma la seconda è un rischio reale. Gli antibiotici vanno presi solo se prescritti dal medico, altrimenti sempre più batteri diventeranno resistenti generando gravi problemi».
Nel libro cita Che cos’è la vita? del filosofo Schrodinger che ispirò la scoperta dell’elica del Dna di Francis Crick, Rosalind Franklin e James Watson. Lei che studia in laboratorio i virus che rapporto vede tra questi parassiti, pure dotati di un acido nucleico, e la nostra esistenza?
«Se considerare vita un virus è davvero una questione filosofica. Un batterio vive da solo, mentre un virus ha bisogno di un ospite. Si tratta di una forma di vita particolare. Da piccolo immaginavo un futuro grande come i viaggi su Marte, mentre la rivoluzione viene dall’immensamente piccolo: ci avviciniamo al segreto della vita nel codice genetico. Lo stesso vale per i pericoli: non temiamo più le bestie feroci, ma virus e batteri. Colpisce che la rivoluzione, la vita, come il pericolo, la morte, vengano dall’infinitamente piccolo e non dal grande».