Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  maggio 11 Mercoledì calendario

Parla il giurato russo del Premio Strega

Mentre parliamo arriva la comunicazione che l’Istituto italiano di Cultura di Mosca è riammesso al Premio Strega. La “sospensione” — così era stata chiamata la cancellazione — è rientrata. La nota della Farnesina è scarna, dice solo che tra i vari Istituti chiamati a far parte della giuria estera «è incluso anche l’Istituto italiano di cultura di Mosca». Evgenij Solonovich sorride. Tra i sei italianisti scelti come giurati dello Strega è il più noto, una vera celebrità in patria per le sue poesie e per aver fatto conoscere ai russi Dante, Petrarca, Quasimodo, Montale, ma anche Camilleri e Francesco Piccolo. E di recente Gioachino Belli. Solonovich, che ha da poco compiuto 89 anni ma ha lo sguardo aguzzo e impertinente di un ragazzo, in questi giorni è a Roma, ospite a casa dell’amica slavista Claudia Scandura, dove ci accoglie. Ha voglia di raccontare a Repubblica il retroscena di quanto è successo: «Che cosa c’entriamo noi intellettuali con questa situazione pazza in Ucraina? Che c’entra Dostoevskij?».
La Farnesina ha appena fatto dietrofront, è contento?
«È una vittoria, l’opinione pubblica ha contato. Dopo questo scandalo ho però paura che il consolato italiano di Mosca possa bloccarmi il visto per tornare in Italia».
Quando ha appreso che Mosca era fuori dalla giuria del Premio Strega?
«Il 5 aprile avevamo ricevuto il link con i libri in gara da leggere, il 23 aprile è arrivata una notifica da parte della direttrice dell’Istituto di cultura in cui venivamo avvertiti che la giuria russa non poteva più partecipare. Guardi questa è la mail, due righe: «Gentili giurati, sono spiacente di comunicare che la partecipazione di Mosca, su indicazione del ministero degli Esteri italiano, è sospesa». Sono rimasto molto male. Qualche giorno prima era stata cancellata dall’Istituto anche la presentazione dei sonetti di Gioachino Belli che ho appena curato per l’editore Novoe Izdatel’stvo».
Crede si tratti di sanzioni culturali contro Putin o che ci siano altre spiegazioni?
«Non capisco lo scopo. Questo tipo di sanzioni vanno a colpire la classe degli intellettuali, la più contraria a quanto sta accadendo.
Né io, né i miei amici appoggiamo l’intervento. In tanti stannoespatriando, di nuovo l’esilio sta diventando una forma di protesta.
Hanno lasciato la Russia personaggi famosi come il regista cinematografico e teatrale Kirill Serebrennikov e la cantante Alla Puga?ëva. Sapendo dei miei rapporti con l’Italia, i miei amici mi dicono spesso “ma perché non te ne vai a stare lì?”».
Ci sta pensando?
«Non me ne sono andato ai tempi dell’Unione sovietica, non lo farò oggi. Allora il mio passaporto era custodito nella cassaforte dell’Unione scrittori che lo rilasciava solo nel momento in cui veniva accordato il permesso di partire».
Si sente libero nel suo Paese di esprimere le sue idee sulla guerra?
«(Scuote la testa ).Facebook è stata soppressa, si vuole fare in modo che le persone non leggano notizie scoprendo la verità. Il tema è tabù.
Se qualcuno prova a protestare pubblicamente, finisce male».
Lei ha paura?
«No».
Basta non parlare, non dire cose scomode?
(Annuisce ). Lei è nato in Crimea, nella città di Simferòpol’, nel 1933, si aspettava l’annessione alla Russia?
«Ho vissuto in Crimea fino al 1958.
Durante la seconda guerra mondiale, con l’invasione dei nazisti, la mia famiglia fu evacuata in Siberia, dove siamo rimasti tre anni. Onestamente l’annessione alla Russia non mi vede contrario, contesto però il modo in cui è avvenuta, attraverso un referendum falso, sotto la minaccia dei mitra spianati. Putin ha creduto forse di poter fare lo stesso con l’Ucraina ma il tentativo di ripetere la storia della Crimea al momento è fallito. L’Ucraina non è una piccola regione ma un Paese grande, pronto a difendere la sua libertà combattendo».
E il mito dell’Ucraina come Piccola Russia?
«Ucraini e russi sono diversi».
Pensa che la guerra andrà avanti a lungo?
«Non vedo la fine a breve, purtroppo. Forse hanno ragione i miei amici quando sostengono che Putin vive nel suo bunker e fa tutto quello che gli viene in mente senza avere contatto con la realtà.
Hanno anche bombardato Kiev…».
Solonovich si tocca la testa, la piega della bocca è più espressiva delle sue parole.
La poesia può essere usata per criticare il potere?
(Torna a sorridere) «Ho da poco tradotto per una rivista la poesia A un papa di Pasolini. Mi ricorda quella di Belli dedicata aPio Ottavo. Quando tradussi Parole a una spia di Quasimodo preferii usare il termine “delatore” perché fosse chiaro il rimando alla situazione sovietica stalinista.
Allora la delazione colpiva poeti e narratori, Mandel’stam è morto in un lager. Usare la parola “delatore” è stato il mio atto di protesta. Al di là di questo però la poesia e la politica in comune hanno solo la “p” iniziale».
È evidente però che predilige gli scrittori che criticano il Potere, quello con la maiuscola.
«Sono finalmente riuscito a pubblicare la traduzione del racconto La morte di Stalin di Leonardo Sciascia, incluso ne Gli zii di Sicilia.Era uscito nel 1956, l’anno del rapporto Krusciov, ma allora sarebbe stato impossibile».
Che cosa la rammarica di più della situazione di oggi?
«Che il consenso di Putin abbia raggiunto l’80%. È imperdonabile». Solonovich prende a cantare: Arrivaru li navi, tanti navi a Palermo, li pirati sbarcaru cu li facci di ‘nfernu. Ci salutiamo.