la Repubblica, 11 maggio 2022
Mosca abbandona i cadaveri dei suoi soldati. Reportage
A un certo punto il soldato Kostya, un velo appena di barba e gli occhi chiari, tira fuori il telefono dalla tasca del giubbotto e apre Telegram. Stava spiegando la controffensiva ucraina per cacciare i russi dalle pianure a est di Kharkiv, ma si è interrotto perché ci tiene a dire una cosa. «Vedi? È mio figlio». Mostra un soldato con un’espressione ancora da adolescente, alto, pallido, con la faccia tirata. «È dentro Azovstal ». C’è anche un messaggio che era diretto alla madre: «Non ti preoccupare, se non riusciamo a sentirci mi faccio sentire io».
Kostya e il figlio combattono agli estremi geografici dell’Ucraina, uno su a Nord negli spazi aperti che portano al confine russo e l’altro giù sulla costa del Sud. Combattono anche due battaglie diverse. Il figlio fa parte di quel contingente che da due mesi resiste all’assedio russo dentro una zona industriale della città di Mariupol e che ora, salvo un miracolo, non ha più vie di uscita. È una battaglia delle speranze perdute perché il bunker è circondato da migliaia di russi, che controllano tutta la zona e sono ormai una presenza irrimediabile, non se ne andranno via. Il padre invece è qui, alla testa della controffensiva ucraina che caccia i russi verso il confine e libera territori che erano rimasti sotto il controllo del nemico fin dal primo giorno dell’invasione, più di due mesi fa. La zona è quella della striscia di villaggi liberati nell’ultima settimana che da Oleksandrivka va verso Shestakove e Fedorivka, e dove ora non si vede anima viva. Un altro soldato spiega: «Al primo giorno di invasione i russi hanno tentato di prendere anche Kharkiv, la consideravano una conquista scontata e così hanno mandato a morire un paio di blindati in centro. Sono durati venti minuti. L’hanno fatto soltanto perché la televisione russa potesse dire che i soldati russi erano dentro Kharkiv. Ma l’Est della città è una faccenda differente, soltanto adesso ce lo stiamo riprendendo».
Kostya e l’altro soldato parlano dentro a un rifugio momentaneo, un capannone che protegge dai droni — e dietro di loro ci sono due carri armati con le scritte Z bianche, appena abbandonati dai russi in condizioni perfette, come se li avessero parcheggiati. C’è ancora il casco morbido di uncarrista appoggiato sulla canna della mitragliatrice sopra alla torretta. Più avanti la controffensiva ucraina diventa incerta. I villaggi danno un minimo di orientamento, ma in mezzo ci sono distese infinite e l’impressione è che i soldati russi abbiano ceduto molto territorio senza combattere troppo e che ora gli ucraini si stiano allungando troppo per controllarlo tutto. Ci sono posti dove non sono mai stati. Esplorano avamposti, trovano i resti lasciati dai russi — anche alcuni giocattoli rubati — avanzano con cautela lungo i crinali alberati che spezzano i campi, parcheggiano i mezzi dietro ogni riparo — perché l’artiglieria batte sempre queste zone e continua a dare la caccia ai carri armati. Entriamo in una strada laterale con Andriy, un locale che è tornato qui perché la sua famiglia non risponde più al telefono, per colpa di quello, dice: e indica una torretta della telecomunicazioni abbattuta. Andriy si ferma, punta il dito per terra, c’è il filo di una mina antiuomo collegato a una mina nascosta da un mucchio di foglie. Dopo venti metri un altro filo, quasi invisibile nella penombra del pomeriggio. Meglio tornare indietro. I russi hanno lasciato indietro molte trappole esplosive, per punizione. Lo fece anche la compagnia di mercenari russi Wagner quando nel 2019 fu costretta a lasciare Tripoli in Libia e piazzò migliaia di trappole esplosive.
Più a ovest, mentre si torna verso Kharkiv, una marea di resti dell’esercito russo. C’è un intero convoglio della Rosgardia, la polizia militare russa che avrebbe dovuto rimpiazzare la polizia in città, incenerito dai droni Bayraktar di fabbricazione turca mentre era per strada. È successo il primo giorno, ma nessuno ha ancora pulito la zona perché era rimasta irraggiungibile. Vicino alla città c’erano anche fino a ieri un paio di fosse comuni con decine di corpi e qualche cadavere di russo sparpagliato nel verde, perché l’esercito di Mosca non se li riprende. Poi alla sera c’è stata un’operazione di raccolta. I cadaveri sono portati verso Dnipro in vagoni freezer, e da lì, con negoziati innaturali, si chiede ai russi di fare quello che dovrebbero fare per un sentimento di pietà.