Mario Platero per “la Repubblica”, 10 maggio 2022
MARIO L’AMERIKANO - L’ATLANTISMO SENZA LIMITISMO DI DRAGHI E’ ISCRITTO NEL SUO DNA PROFESSIONALE: DAGLI ANNI DI STUDIO AL MIT DI BOSTON A QUELLI PASSATI A WASHINGTON COME DIRETTORE ESECUTIVO DELLA BANCA MONDIALE IN PIENA GUERRA FREDDA - FINITO IL SUO MANDATO AL TESORO NEL 2001, MARIOPIO HA LAVORATO A GOLDMAN SACHS, TRA IL 2002 E IL 2005 - “REPUBBLICA”: “NON POSSONO ESSERCI DUBBI CHE QUANDO PARLERÀ D'EUROPA, BIDEN ASCOLTERÀ CON ATTENZIONE. ANCHE QUANDO GLI PARLERÀ DELLA NECESSITÀ DI UN'AUTONOMIA STRATEGICA EUROPEA" -
Oggi durante gli incontri con il presidente Usa Joe Biden alla Casa Bianca, Mario Draghi potrà discutere di Italia, di vie d'uscita per la guerra russa in Ucraina e soprattutto del processo di integrazione in Europa, con un obiettivo, quello di accelerare alcune delle dinamiche sia politiche che militari già in discussione nel dialogo transatlantico. C'è infatti un punto su cui non possono esserci differenze su Mario Draghi: nessuno tra i leader europei conosce a fondo l'America e la mentalità e la cultura americana come le conosce lui.
Per aver studiato con i due premi Nobel Franco Modigliani e Bob Solow all'Mit e vissuto a Boston tra il 1971 e il 1976; per il periodo che ha passato a Washington, come Direttore esecutivo della Banca Mondiale a partire dal 1986, un momento chiave per la trasformazione del paese.
Si era ancora nel pieno della rivoluzione reaganiana e in piena guerra Fredda. Quando ha lasciato, nel 1990, il muro di Berlino era già caduto, stava per cadere l'Unione Sovietica e da lì a poco sarebbe partita l'era Clinton. Un'epoca centrista basata sul dialogo piuttosto che sulla polarizzazione, un'epoca caratterizzata da grandi innovazioni tecnologiche che avrebbero cambiato il mondo e dato all'America uno dei periodi migliori della sua storia.
Draghi ha vissuto quel periodo dall'Italia, durante i dieci anni alla direzione generale del Tesoro. Ha avuto come controparte leader economici del calibro di Larry Summers, che conosceva da sempre, e alcune delle più importanti istituzioni finanziarie americane in un periodo chiave in cui anche l'Italia, con le privatizzazioni, guardava in avanti. Poi, finito il suo mandato al Tesoro nel 2001, Draghi ha stabilito un rapporto diretto con una delle grandi istituzioni americane, Goldman Sachs, tra il 2002 e il 2005.
Aveva responsabilità europee, ma veniva spesso in America per esplorare possibili alleanze o acquisti per conto di clienti. Una banchiera di Goldman mi raccontava allora quanto piacevole fosse lavorare con Draghi: «A volte si andava in giro in macchina per la provincia americana a visitare fabbriche e immaginare alleanze. Mi colpì quanto non si tirasse indietro, dialogava con executive di fabbriche di dimensioni anche piccole, senza mai metterli in soggezione».
Poi il lungo periodo alla guida della Banca d'Italia prima e della Bce dopo, con un'altra responsabilità, la presidenza del Consiglio per la Stabilità finanziaria, un consiglio multilaterale che aveva come numero due un vice chairman della Fed. In quel periodo, nel contesto G7 o G20 Draghi capitò più volte alla Casa Bianca, C'è una sua foto con George W. Bush, altre con Barack Obama: ha lavorato, nelle sue funzioni, con amministrazioni repubblicane e democratiche. E dopo la morte di Tommaso Padoa Schioppa entrò anche nel gruppo dei Trenta una non profit americana con respiro globale e trenta membri globali per discutere nel modo più libero possibile delle sfide economiche.
Oggi a Washington Draghi rappresenta l'Italia, ma le lezioni importanti nella vita non si dimenticano. Nel discorso programmatico al Senato per l'insediamento del governo del febbraio 2021 il presidente del Consiglio italiano stabilisce due capisaldi: riposiziona saldamente l'Italia in campo Atlantico e nel rapporto con gli Stati Uniti d'America e riafferma l'irrinunciabile appartenenza all'Unione europea. Non erano solo parole di circostanza.
Quelle posizioni erano piuttosto il risultato di decenni di lavoro fianco a fianco con colleghi, amici, con personaggi di calibro intellettuale, ma di grandissima carica umana come Bob Solow o Modigliani o Stanley Fischer; di negoziati e riflessioni con decine di esponenti del mondo della finanza, di quello aziendale, della politica coi quali, in situazioni drammatiche e in nome dell'interesse comune si raggiungevano accordi e si superavano momenti difficili.
Con giganti come Janet Yellen, collega banchiera centrale, oggi segretario al Tesoro, Draghi ha lavorato recentemente in prima persona per mettere a punto le sanzioni finanziarie contro la Russia. Sono risultati questi che non passano inosservati. Come non passa inosservata la dedizione assoluta di Draghi all'Europa.
Uno dei più importanti protagonisti di Wall Street, poco dopo un incontro dell'Economic Club a New York nel 2015 e dopo un discorso davanti a mille persone venute ad ascoltare il governatore della Banca centrale europea mi disse: «Draghi è l'unico europeo che ho conosciuto e visto in azione prima di tutto per l'interesse dell'Europa intera e non per tutelare per primo un interesse nazionale».
Non possono esserci dubbi che quando Draghi parlerà d'Europa con Joe Biden lo farà con lo stesso spirito, pensando già a come accelerare, in questo tempo di accelerazioni, la fase di integrazione. Per queste ragioni, per la profonda conoscenza dell'America e per la sua sintonia con alcuni valori centrali per la libertà, sappiamo che il presidente americano ascolterà Draghi con attenzione. Anche quando gli parlerà della necessità di un'autonomia strategica europea, spiegandogli che nel nuovo contesto geopolitico questo futuro è importante innanzitutto per gli Stati Uniti d'America.