il Fatto Quotidiano, 10 maggio 2022
Lucio Caracciolo commenta il discorso di Putin
Lucio Caracciolo, direttore di Limes, accetta di commentare sinteticamente il discorso di Vladimir Putin e le reazioni occidentali.
Putin non ha minacciato nessuna guerra globale e sembra aver smentito le aspettative della vigilia?
Sì, il discorso di Putin è stato molto difensivo, autogiustificativo e fondamentalmente rivolto all’opinione pubblica interna russa e alla sua élite. Si capisce che è in difficoltà sul fronte militare e sul fronte interno e deve trovare un punto di equilibrio tra la retorica con cui ha promosso l’offensiva il 24 febbraio e la realtà dei fatti. E questo gli impedisce ancora per un po’ di accettare un cessate il fuoco. Ha bisogno ancora di qualche settimana per realizzare un’avanzata seria dell’esercito russo che gli consenta di poter vantare risultati migliori.
Un discorso in cui non ha alzato il tiro come si prevedeva.
Diciamo che non ha messo in atto nessuna ipotesi apocalittica come invece era stato prospettato da varie fonti politiche e di intelligence occidentali. Il suo discorso appare quindi moderato. Il problema di Putin è che ha iniziato una guerra che non poteva vincere e che lui pensava di aver vinto prima di cominciare e ora cerca di impacchettare una mezza sconfitta come una vittoria.
Sta incamminandosi verso la sconfitta?
Mezza sconfitta sul piano militare, sconfitta totale sul piano strategico anche se alla fine dovesse ottenere il controllo pieno del Donbass, situazione che in realtà non augurerei a nessuno di dover gestire.
Sembra però detenere un ampio consenso.
Ha un vasto consenso, ma è il classico riflesso patriottico russo e questo può avere delle implicazioni pericolose. Sull’ultimo numero di Limes, un suo consigliere, Fëdor Luk’janov, presenta la guerra come il redde rationem russo con l’Occidente e riscrivere l’ordine mondiale. Ma rischia di finire male. Dovrà rivedere i suoi piani e sperare di trovare una sponda seria nella Cina, che a sua volta ha bisogno della Russia per non rimanere sola di fronte alla competizione con gli Stati Uniti.
Non ha però raggiunto l’obiettivo di essere controparte e in prospettiva interlocutore degli Stati occidentali?
Non mi pare. Prima aveva un posto al tavolo dei “grandi”, ma ora che ne è stato espulso ci vorrà del tempo prima che rientri, anche se alcuni Paesi europei pensano che avverrà.
In Occidente sembrano affermarsi due linee: puntare alla distruzione o negoziare. È così? Sono le due linee che animano dall’interno il dibattito americano: da una parte la fazione neo-conservatrice, pensi alle posizioni di Victoria Nuland.
La sottosegretaria agli Affari politici del Fuck you Eu, “Europa fottiti”?
Esatto, una posizione molto aggressiva e ultimativa, ma c’è poi quella più pragmatica che non rinuncia a voler dare una bella “botta” ai russi, ma che invita a non mettere Putin all’angolo.
Quale linea pensa possa prevalere?
Dipenderà dai russi più che dagli americani e da quello che faranno quelli che gli Stati Uniti considerano gli alleati più fedeli in Europa, e cioè la Polonia e tutti quegli Stati dell’Est europeo che intendono muoversi per conto proprio e che pensano di trascinare la Nato in un un’escalation.
Vede due linee anche in Italia?
Non mi sembra che ci sia qualcuno che significativamente può avere interesse alla disintegrazione della Russia. A parte le antiche tradizioni di relazione con Mosca, molto consolidate, c’è anche un calcolo di interesse e un evidente realismo: di fronte a 6000 testate nucleari, chi auspica la distruzione della Russia non sa di cosa sta parlando.