la Repubblica, 10 maggio 2022
I medici fuggono dai pronto soccorso
Le lettere di dimissioni, come quelle dei 25 camici bianchi del Cardarelli di Napoli, stanno partendo ovunque. A Bologna, a Firenze, a Roma, a Torino i medici cercano di lasciare il pronto soccorso. Chi può, partecipa a concorsi per cambiare specialità, mentre chi avrebbe la possibilità di entrare non lo fa, con posti nelle scuole di specializzazione che restano vuoti (come a Napoli). Il Covid è in fase calante ma i pronto soccorso italiani sono in crisi. La grande domanda spinge circa 100 professionisti a lasciare ogni mese, mentre quasi uno su tre vorrebbe cambiare lavoro entro un anno.
E più aumenta il numero di coloro che vanno via, peggiore diventa la situazione per chi resta. Turni sempre più duri e notti pesantissime provocano «un disagio esistenziale drammatico. A stare al pronto soccorso non hai più vita familiare e sociale. O sei al lavoro o sei a casa a riposarti ». Nessun altro settore della sanità italiana sconvolta dal Covid è in difficoltà quanto l’emergenza.
«Il momento è difficilissimo», conferma Fabio De Iaco, che presiede Simeu, la società scientifica dell’emergenza urgenza. Sui pronto soccorso si scarica un bel pezzo della richiesta sanitaria. Succede sempre così, quando il sistema pubblico è in difficoltà e aumentano le liste di attesa della specialistica, quando i medici di famiglia non riescono a stare dietro alle richieste di tutti i loro assistiti, i cittadini si riversano sull’emergenza, che va in crisi. Del resto è l’unico servizio sempre aperto, disponibile, dove comunque, magari aspettando ore, tutti vengono visti, fanno gli esami, sono rimandati a casa con una diagnosi. In mezzo a tantissimi pazienti non gravi che si lamentano per le attese arrivano le emergenze vere. Poi ci sono le persone che devono essere ricoverate. E qui nasce un altro problema. «Spesso i reparti non hanno posto e dobbiamo occuparci per giorni di chi aspetta il ricovero. Anche se magari ha problemi per i quali non siamo preparati», dice De Iaco.
Secondo Simeu, che questa settimana celebra il congresso, già l’anno scorso si calcolava che nelle strutture dell’emergenza (dove sono accolte almeno 21 milioni di persone all’anno) mancassero 4.200 medici. Alla fine di quest’anno se ne potrebbero perdere, al ritmo di 100 al mese, altri 1.200. «È come se ogni 30 giorni — dice De Iaco — scomparissero 4 o 5 pronto soccorso. A questo ritmo non possiamo reggere». Il ministro alla Salute Roberto Speranza l’anno scorso ha stanziato soldi per dare un aumento a chi lavora nell’emergenza. «A parte che devono ancora arrivare, per la vita che facciamo, anche con 7 o 8 notti al mese, l’incremento è troppo basso, da 80 euro netti a busta paga. La valorizzazione economica deve essere molto superiore se si vuole evitare questo esodo».