la Repubblica, 10 maggio 2022
MacMillan: «Quanti errori l’intelligence russa»
Professoressa emerita presso le università di Toronto e Oxford, la storica Margaret MacMillan (Toronto, 78 anni) ha concentrato le sue ricerche sulle relazioni internazionali nei secoli XIX e XX, con un’attenzione particolare alla Prima guerra mondiale e all’instabile accordo che concluse quel conflitto.
A questo periodo ha dedicato 1914.
Come la luce si spense sul mondo di ieri(Rizzoli) eParigi 1919. Sei mesi che cambiarono il mondo
(Mondadori), e più recentemente ha difeso l’importanza dello studio dei conflitti armati come chiave per comprendere le nostre società inWar. Come la guerra ha plasmato gli uomini (Rizzoli).
Quali similitudini vede tra ciò che sta accadendo in Ucraina e altri conflitti nel passato dell’Europa?
«Tutte le guerre sono atti di violenza organizzati, e questo è un atto di invasione provocato da una parte.
Nella Prima guerra mondiale, l’Austria-Ungheria tentò di invadere la Serbia, mentre la Germania entrò in Belgio e Lussemburgo; anche la Seconda guerra mondiale iniziò con l’invasione tedesca della Polonia.
Come in Ucraina oggi, la resistenza militare e i combattimenti con forze irregolari furono la risposta quando la Germania entrò in Russia nel 1941.
E, come allora, gli invasori ricorrono alla brutalità contro i civili».
Nel suo ultimo libro, ricordava la lunga pace che ha per lo più dominato gli ultimi decenni e citava alcuni studi secondo i quali ci saranno sempre meno conflitti armati, ma con più vittime. Niente di tutto questo è più vero?
«Quella lunga pace non l’ha goduta tutto il mondo, ha riguardato l’Europa, a parte i Balcani. Ora ci stiamo rendendo conto che la guerra non è una cosa che accade agli altri, è ancora qui, e può colpire questa parte del mondo. In Ucraina c’è stata un’aggressione non provocata, e le deboli scuse della Russia sulla denazificazione e il regime di drogati che governa a Kiev stanno diventando sempre più demenziali.
Per quanto riguarda il numero di conflitti, non credo che vedremo grandi guerre, come uno scontro tra Cina e Stati Uniti; saranno su scala minore. In termini di vittime, le armi di precisione di cui sentiamo tanto parlare sono molto potenti e abbiamo visto la Russia usarle in Siria, Georgia o Cecenia contro obiettivi civili. Penso che vedremo più spesso queste tattiche».
Perché definisce l’attuale conflitto la “guerra di Putin”?
«È la sua guerra, anche se lui è un prodotto della sua società. Lui, e nessun altro, ha preso le decisioni più importanti e continua a farlo. Anchese ha dei sostegni interni, Vladimir Putin ha scatenato questa guerra perché pensa che l’Ucraina sia uno Stato illegittimo. È anche spinto da motivi economici, dato che si tratta di un Paese molto ricco».
È anche una guerra contro l’Occidente?
«Putin era un giovane membro del Kgb quando ci fu il crollo dell’Unione Sovietica, che lo colse in Germania.
Ha detto che la caduta del Muro è stata la più importante catastrofe geopolitica del XX secolo. Gli è andata bene nella nuova Russia, ma ha un grande risentimento e vede l’Unione Europea come il nemico; non sopportava che l’Ucraina guardasse a Ovest e non a Est».
La storia sembra ossessionare Putin, così come il ricordo della brutalità della Seconda guerra mondiale ha segnato la Russia...
«Il governo di Putin ha fatto di quella guerra il principale stimolo patriottico, ma ci si chiede quanto siarealmente militarizzata quella società. Anche se c’è il servizio militare obbligatorio, il numero di suicidi tra i coscritti sembra essere alto, e non è chiaro quale fosse l’opinione pubblica prima della guerra. Sono sempre meno quelli che hanno vissuto la Seconda guerra mondiale e non sembra che ci sia una marea di gente disposta ad arruolarsi».
In che misura l’espansione della Nato è stata il seme del conflitto?
«La Nato è il nemico per Putin, così come l’Ue. L’Ucraina è stata un Paese molto più aperto della Russia e questo è stato visto come una minaccia. Ma quello che dicono i russi sul fatto che gli avevano detto che l’Alleanza Atlantica non si sarebbe mai allargata è in realtà una promessa mai fatta; Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria volevano disperatamente unirsi alla Nato perché si sentivano molto vulnerabili rispetto alla Russia.
Niente di tutto questo può essere una scusa per quello che la Russia sta facendo oggi».
Qual è il più grande errore di questo conflitto?
«Come accade a molti autocrati, Putin è caduto nella trappola di credere a chi gli dava ragione e diceva che gli ucraini avrebbero accettato l’invasione. Si è visto che i soldati russi portavano delle uniformi da parata nelle loro sacche, pensando che sarebbe stata una cosa veloce, con poca resistenza, che sarebbero stati accolti bene. Ci si interroga sul lavoro dell’intelligence russa: non sapevano dei campi di addestramento degli ucraini, della loro determinazione e di come si preparavano a difendersi?».
Tutto questo dove porta Putin adesso?
«Ha messo in gioco tutto il suo prestigio con la campagna d’Ucraina e questa ridicola idea di ricostruire l’impero. Viene umiliato dalla resistenza e, ultimamente, ancora di più con l’affondamento della Moskva. Le prossime settimane sono molto pericolose, provocherà molta più distruzione».
Che cosa dovrebbe contemplare l’accordo di pace che metta fine a questo conflitto?
«Sarà fondamentale fare una distinzione tra il popolo russo e il Governo russo, anche se cercheremo di punire i crimini commessi.
Bisognerà fare degli sforzi per integrare il popolo russo nella comunità internazionale, perché un giorno, prima o poi, Putin non ci sarà più. Un altro obiettivo dovrà essere la ricostruzione dell’Ucraina attraverso una sorta di piano Marshall. E la Nato deve chiarire che non accetterà futuri attacchi russi che destabilizzino i Paesi della regione».