Corriere della Sera, 10 maggio 2022
Giulia Ligresti risarcita per i 16 giorni in carcere
Precedenti non c’erano: ha diritto o no a essere indennizzata per «errore giudiziario» e «ingiusta detenzione» (due istituti diversi) una persona che – come nel 2013 Giulia Maria Ligresti, figlia del costruttore e assicuratore Salvatore – chiese e ottenne di patteggiare proprio quegli stessi reati giudicati poi però insussistenti dalle contrastanti sentenze che nel 2015 assolsero invece il fratello Paolo, innescando la revisione della pur definitiva condanna della sorella e infine la sua assoluzione nel 2019?
Ora i giudici milanesi rispondono con un «no» (a indennizzare Ligresti per errore giudiziario), e con un «sì» a indennizzarla invece per ingiusta detenzione: ma solo per i 16 giorni di custodia cautelare in carcere nel 2013, e non anche per i 50 giorni di domiciliari successivi alla richiesta di patteggiare, e tantomeno per i 20 giorni di pena espiata in carcere nel 2018. E però quadruplicano la somma rispetto al parametro di legge (non 256 ma 1.000 euro al giorno) «in considerazione del clamore mediatico dell’arresto» e della «particolare afflittività» della detenzione.
Nell’inchiesta sui supposti falsi da 600 milioni nelle riserve sinistri di Fondiaria-Sai, Giulia Ligresti fu arrestata dal gip di Torino il 17 luglio 2013 quale vicepresidente di Fondiaria (pur senza deleghe esecutive) e asserita beneficiaria con i familiari «del sistema fraudolento». Replicò di nulla sapere di criteri contabili, dismise ogni carica, e il 2 agosto chiese di patteggiare. Il 28 agosto passò dal carcere ai domiciliari su richiesta del pm dopo una perizia sulle sue condizioni di salute, alle quali (si scoprì poi da alcune intercettazioni) si era interessata anche il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri. Il 3 settembre 2013 Ligresti ottenne dal gip di patteggiare 2 anni e 8 mesi, il 19 settembre tornò libera. Fino a quando il 19 ottobre 2018 fu arrestata per scontare appunto la pena patteggiata nel 2013. Solo che nel frattempo a Milano il fratello Paolo e due manager (dopo gli atti trasmessi per competenza da Torino) erano stati assolti il 16 dicembre 2015 per insussistenza di quei medesimi reati costatile invece la condanna nel 2013. Un contrasto di giudicati che determinò lo stop all’espiazione della pena il 7 novembre 2018, la revisione della condanna, e l’assoluzione l’1 aprile 2019 «perché il fatto non sussiste».
Ora Ligresti chiedeva di essere indennizzata con 1,3 milioni sia per errore giudiziario sia per ingiusta detenzione, e il tema era se aver patteggiato fosse o no uno di quei «comportamenti dolosi o gravemente colposi» che per legge escludono l’indennizzo. E in effetti la Corte d’Appello nega ristoro all’errore giudiziario perché il patteggiamento «è inequivocabile manifestazione di volontà dell’imputato» e «presuppone il suo implicito riconoscimento di responsabilità». Per lo stesso motivo non ripara anche l’ingiusta detenzione nei giorni successivi alla richiesta di patteggiamento. Invece riconosce l’equa riparazione (che non è risarcimento di un inesistente comportamento illecito della pubblica amministrazione, ma un equo ristoro) dei 16 giorni dal 17 luglio all’1 agosto 2013 nei quali ritiene Ligresti ingiustamente detenuta in custodia cautelare.
L’Avvocatura dello Stato controbatteva che un po’ di colpa l’avesse avuta Ligresti con gli interrogatori del 2013 «ritenuti reticenti: tuttavia – rilevano il presidente Antonio Nova, la relatrice Michela Curami e la giudice Ilaria De Magistris nella causa patrocinata dai legali Massimo Rossi e Pamela Picasso – non è emerso alcun elemento a supporto di tale considerazione, né l’assoluzione ha accertato comportamenti ambigui o reticenti dell’imputata nelle indagini».