Corriere della Sera, 9 maggio 2022
Comunisti e Chiesa, la storia segreta
Il 1° luglio 1949, dopo l’approvazione di Pio XII – vero «stratega» della decisione – e dopo un lungo e accidentato percorso, il Sant’Uffizio decretò la scomunica del «comunismo ateo» e dei comunisti. Come ricorda Andrea Riccardi nella prefazione al volume di Cesare Catananti La scomunica ai comunisti (San Paolo), la decisione – di cui viene ricostruito per la prima volta l’iter sub secreto grazie alla straordinaria documentazione «desecretata» del relativo Archivio – resta ancora «misteriosa», mentre la sua dinamica appare, ora, «molto più complessa». Anche se arrivava da lontano, la condanna rappresentò un «passo in più» che coinvolse direttamente «la vita religiosa dei singoli» e finì per «isolare i cattolici che erano comunisti» dalla loro comunità. Non pochi, tanto che monsignor Domenico Tardini (pro-segretario di Stato), si domandò: «Se la scomunica attacca, abbiamo in Italia sette milioni di scomunicati. Se poi non attacca a che serve?».
Negli anni successivi si registrò una decrescita dei consensi per la Dc e un aumento di quelli del Pci. Già nel ’48, peraltro, il cardinale Tisserant aveva affermato che i comunisti si trovavano nelle stesse condizioni di «ebrei, mussulmani e pagani (!) che pretendessero di essere cristiani».
Uno dei principali esponenti dei «cristiani non democristiani», Adriano Ossicini, scriverà che a lungo un «fantasma si era aggirato nella politica italiana: quello del cattocomunismo… ampiamente usato in modo strumentale», ma che doveva restare nel «castello della propaganda»: le relative vicende, iniziate nel 1937, sono state attentamente ricostruite e certamente influirono nella decisione del ’49. Agli animatori del gruppo, Andreotti, a nome di Pio XII, spiegò, nel settembre ’43, che la collaborazione con il Pci era «pericolosa», mentre lo stesso Pontefice, il 23 dicembre, domandò al Sant’Uffizio di esaminare con la «massima urgenza… l’argomento del comunismo cattolico».
Nella discussione i cardinali Marchetti e Rossi si confrontarono: il primo preoccupato che la Chiesa apparisse «dalla parte dei padroni», il secondo che, se non si «illuminavano» vescovi e opinione pubblica, c’era il pericolo che il «comunismo integrale» potesse essere presentato «come cattolico». Molto preoccupato, il rettore della Università Cattolica, Gemelli, scrive, nel gennaio ’44, a monsignor Montini che i giovani si proclamavano facilmente «comunisti cattolici» e che la lotta clandestina contro il fascismo aveva favorito i contatti e «l’accordo su punti anche dottrinali». Nello stesso mese, il cardinale Maglione, segretario di Stato, invitò il Sant’Uffizio, a nome del Papa, a dichiarare che l’appellativo non era stato «autorizzato, né comunque permesso».
Già al momento della liberazione di Roma, Churchill aveva parlato di «comunisti cristiani» che avevano il vantaggio delle «catacombe così a portata di mano». Nel novembre ’44 Pio XII corresse di suo pugno una «Dichiarazione» della Congregazione a proposito di alcuni documenti della Sinistra cristiana che, però, si scioglierà a dicembre dell’anno dopo: Togliatti inviterà gli esponenti ad entrare «nella sinistra della Dc».
Per Catananti questi eventi agiranno «da additivo» alle motivazioni della scomunica che era in preparazione dalla fine del ’43 (ma con difficoltà, tra i cardinali e i consultori, a trovare una vera «linea comune» fino a dicembre ’48). Un mese dopo Pio XII ribadisce all’assessore Ottaviani – che nel settembre incontrerà la Sinistra cristiana – che «comunismo e cattolicesimo sono inconciliabili», ma non ritiene ancora opportuno un intervento del Vaticano che i Consultori – tra i quali Tardini e Montini – riterranno necessario, nell’aprile ’49, per «dissipare ogni equivoco».
Peraltro il principale esponente del movimento, Ossicini, nel ’46, era stato «privato dei sacramenti» per «ribellione» contro le «Autorità ecclesiastiche e le loro direttive» (Pio XII lo grazierà a fine ’47). All’inizio del ’45 si comincia a parlare di scomunica (cardinale Lavitrano), ma con preferenza per una «Istruzione» che «illumini i fedeli circa i pericoli del Comunismo». Dalle fonti inquisitoriali emerge, anche, l’esistenza, nell’estate del ’45, di un «Comitato nazionale degli atei», comunisti, fino ad ora non nota, di cui vengono editi due documenti, mentre risulta che, tre anni dopo, i cardinali non accoglieranno la proposta di «Istruzioni ai vescovi» fatta dai consultori e rinvieranno la discussione, nonostante arrivassero al Sant’Uffizio denunce contro «prelati in odore di comunismo», tra i quali il cappellano capo dell’ospedale «Regina Elena» di Roma, «notoriamente comunista attivo».
Comunque l’assessore Ottaviani, nella seconda metà del ’48, prepara (e poi pubblica) un dossier per il Papa sul comunismo, nel quale fa anche esplicito riferimento all’idealismo di Croce e Gentile, parlando di «altre dottrine… lontane da quella cattolica quanto l’ideologia comunista», e suggerisce che le sanzioni vaticane possano essere utilmente «usate anche dalla Casa Bianca» come «armi di propaganda». Si precisa anche, per i confessori, che devono essere condannati i partiti che «accettano… le ideologie del marxismo e del laicismo di Stato». Ancora Ottaviani, nel gennaio successivo, in una bozza di istruzioni per i vescovi, ribadisce che il Pci «ha preso caratteri anticristiani e radicalmente antireligiosi», inducendo i seguaci «all’apostasia e all’ateismo».
Nel febbraio ’49, i cardinali della «Suprema» suggeriscono a Pio XII una Enciclica di condanna, ma lui preferisce un «Decreto» del Sant’Uffizio e, nell’aprile, aderisce alla tesi di quelli che optano per una direttiva che dissipi «l’equivoco del cattolicesimo-comunista», ma in una «forma ridotta». Nel voto sul IV schema, alcuni consultori propongono anche un richiamo contro il capitalismo ed emerge l’esigenza di condannare anche il capitalismo e «il liberalismo sfrenato». Nel giugno il V schema viene discusso dai consultori, dai cardinali, anche con il Papa e il 30 Ottaviani gli presenta la bozza finale che viene definitivamente da lui approvata il 10 luglio, con il divieto di commenti sull’«Osservatore Romano».
A fine luglio, però, il quotidiano spiegò il decreto precisando che non incorrevano nella scomunica i cattolici che «favoriscono il comunismo senza adottarne la dottrina fondamentale», ma che chi professava il materialismo era un apostata che incorreva nella scomunica ipso facto, mentre chi votava per il Pci senza aderire ai suoi principi non era scomunicato. In proposito Andreotti, nell’ottobre, pone una serie di questioni al nunzio apostolico, Borgongini Duca, al quale Ottaviani specifica che non solo gli iscritti al Pci, ma coloro che professano idee anticristiane («apostati ed eretici di qualunque partito») non potevano «fungere lecitamente» da padrini di battesimo o cresima.
Non mancano, comunque, perplessità sull’applicazione del decreto da parte di vari vescovi (Siri, Lercaro, Dalla Costa) specialmente a proposito di comunioni e cresime di bambini che frequentavano associazioni comuniste. Quanto ai matrimoni «L’Osservatore» riportava una «Declaratio» della «Suprema» la quale specificava che, essendo gli sposi «ministri del Sacramento», il celebrante-assistente era solo «teste ufficiale» e, quindi, il decreto andava applicato «con le modalità richieste dalla speciale natura del matrimonio», rimettendo, comunque, la decisione alla «coscienza» dei singoli vescovi onde evitare effetti «distruttivi».
Non pochi sono, comunque, i documenti pubblicati nel volume che contengono numerose «Norme e chiarimenti» per applicare i decreti del Sant’Uffizio, anche sulla concessione di funerali e «sepolture ecclesiastiche» dei comunisti e sulla opportunità di chiedere, in confessione, se il penitente ha la tessera del Pci. Se Saragat ritenne che Psi e Psli non rientravano nella scomunica – «Togliatti all’inferno, Nenni no» —, quest’ultimo si convinse che i socialisti erano coinvolti. Nel ’59 Ottaviani accuserà Fanfani e La Pira di essere «comunistelli di Sacrestia»: il secondo se ne lamentò con Giovanni XXIII, ma a febbraio ’61 verrà rieletto sindaco di Firenze con il socialista Enzo Enriques Agnoletti come suo vice: in proposito il vescovo coadiutore di Firenze, Florit, scrisse alla segreteria del Papa che la Pira era «sempre più molesto».
Giovanni XXIII, che pure aveva reiterato nel ’59 il Decreto del ’49, non lo menzionerà nella Gaudium et Spes del 1965 e Andreotti, scrivendo a Gianni Letta nel 1980, confermò di considerare de facto superata la scomunica, sottolineando la presenza della Santa Sede alla Conferenza di Helsinki insieme all’Urss.
Nel frattempo (1973), il «compromesso storico» di Moro e Berlinguer aveva mandato il tutto nelle soffitte di Paolo VI e nel ’76 un gruppo di intellettuali cattolici si era potuto candidare come «indipendente» nelle liste del Pci: nel 1997, anche il futuro Benedetto XVI, Ratzinger, in una intervista, aprirà al dialogo e all’incontro tra mondo cattolico e mondo comunista (tanto che Adriano Ossicini parlerà di «tardiva riabilitazione» delle posizioni dei «cattolici-comunisti») e nel 1998 sarà lui a disporre l’apertura dell’archivio della Congregazione per la dottrina della fede (già Sant’Uffizio) nel quale si conserva la preziosa documentazione alla base di questo così importante volume.