Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  maggio 08 Domenica calendario

Intervista ad Alan Sorrenti

Figli delle stelleeGiovani per sempre ,due canzoni separate da 45 anni di storia eppure straordinariamente contemporanee. È il segreto di Alan Sorrenti che, a 71 anni, torna con un brano per abbattere ancora una volta ogni barriera. Quando nel 1977 Figli delle stelle ,lo accusarono di tradimento ma lui non se ne preoccupò: gli interessava quella nuova strada pop che in tanti hanno poi seguito. Ora che pubblica Giovani per sempre (su etichetta Ala Bianca) e anticipa così l’album che arriverà a ottobre prodotto da Stefano Ceri (Frah Quintale, Franco126), il musicista napoletano intercetta l’onda giovane e piace al mondo indie: l’hanno anche invitato sul palco del festival Mi Ami di Milano, lo slogan è “Nomi nuovi”, dove suonerà il 28 maggio. Sarà il suo primo vero concerto in vent’anni. Grazie all’enorme successo diFigli delle stellee alla vittoria alFestivalbar conTu sei l’unica donna per me ,nel 1980 Sorrenti conquistò il diritto a partecipare all’ Eurovision all’Aia conNon so che darei .Arrivò sesto.
Un filo lega quelle tre canzoni al nuovo brano e a questo Eurovision .
Sorrenti viveva a Los Angeles, volò in Olanda senza passare per l’Italia.
Come si preparò?
«Non so che darei era il pezzo più venduto dell’anno, così mi scelsero per rappresentare l’Italia. In quel periodo ero irrequieto, vivevo un po’ di turbolenze sentimentali, la mia vita familiare era sottosopra, soprattutto avvertivo già i segnali di un cambiamento: l’album Di notte ,di cuiNon so che darei fa parte, era il culmine dei lavori americani con Jay Graydon, infatti col disco successivo sarei tornato al rock. All’ Eurovision portai la moda italiana di Gian Marco Venturi, un vestito con un colore anche bizzarro per uno che veniva dal rock progressive. Volevo andare oltre, mi buttavo in nuove situazioni musicali...».
L’Eurovision com’era?
«C’era un’atmosfera internazionale, con artisti da tutta Europa, però l’impostazione non era da festival televisivo, non c’erano grandi giochi di regia. Era piuttosto sulla linea sanremese, c’erano tanti fiori anche lì. Al confronto ilFestivalbar era molto meno tradizionale”.
Come andò sul palco?
«Il maestro d’orchestra fu molto paziente con me: arrivavo in ritardo alle prove, proprio non mi andava, lui da buon inglese restò impassibile, sempre preciso. Arrivammo con due splendide coriste, una bionda e una nera, che suonavano la chitarra: fu come portare con me la California, insieme alla moda italiana. Oggi sul palco si cerca di osare di più soprattutto con il sesso, siamo diventati un po’ transumani, ma cosa vogliamo dimostrare? Sarebbe meglio mostrare il mondo interiore».
Decideva lei la sua immagine?
«La ideammo in tre, con il mio produttore Corrado Bacchelli e con l’art director Cesare Zucca che insieme a me ha curato l’immagine daFigli delle stellein poi, per gli abiti,le trovate dei due orologi ai polsi, uno con l’ora italiana e l’altro di Los Angeles, per le copertine: in quella dell’album Di notte ,la signora bionda seduta nel bar è la stessa donna con il vassoio sulla copertina di
Breakfast in America dei Supertramp. Di certo ero l’unico che vestiva abiti firmati, portando la moda nella musica.
Questa impostazione per un nuovo artista pop era una novità».
A chi si ispirava?
«A David Bowie. Mi è sempre piaciuto il suo senso del cambiamento: in lui vedevo insieme l’estetica e la creatività musicale, anche se in uno stile diverso dal mio».
Effetti della partecipazione all’Eurovision?
«Un successo notevole in Europa, nei paesi scandinavi avevo due pezzi in classifica, al primo e al quinto posto:Tu sei l’unica donna per me eNon so che darei».
Poi visse una nuova svolta rock.
«In maniera piuttosto drastica, con
La strada brucia : mi accompagnava la formazione dei Toto, a parte il cantante, ovviamente. Ho speso una fortuna per l’album Angeli di strada ,registrai anche con un’orchestra, terminai il lavoro in Islanda, ospite di una famiglia di musicisti: un home recording dopo gli studi californiani. Verrà ristampato presto».
Ora con “Giovani per sempre” torna al pop soul.
«Musicalmente mi è stato ispirato da
What’s going on di Marvin Gaye, ho sentito come se quest’aria andasse riproposta, ho cominciato a lavorare armonicamente su questo binario poi il pezzo ha preso una strada tutta mia. Il pezzo di Gaye ha un’aria luminosa, è profondamente umano, oggi c’è bisogno di questo».
Apprezza i Måneskin?
«Da loro mi distacca l’estetica».
Però conosce i nomi della scena attuale.
«Scrivono bene, stanno rivoluzionando la metrica, sanno come allargare le parole, come fermarle, addirittura si bloccano a metà della parola per renderla più musicale, sentono come normale il modellarsi sull’inglese. È la mia stessa ricerca. L’unica cosa che manca loro è la luce, è scarsa, c’è più ombra e disperazione».
Chi le piace?
«Frah Quintale, l’ho ascoltato prima di conoscere Ceri, Nei treni la notte è bellissima, mi ha riportato aVorrei incontrarti ,anche se siamo diversi.
Lui è il cantautore di oggi, mentre io oggi sono poco cantautore».
E cos’è?
«Non saprei come definirmi».
“Giovani per sempre” segna una rinascita?
«Lo spirito dell’essere giovane è sempre una rinascita. Mi rivolgo a quei giovani che dimenticano di essere giovani e rischiano di ricordarsene quando è troppo tardi, perché la giovinezza ci sfugge dalle mani. E anche a chi vive di rimpianti, anch’io potrei dire: “Che belli i tempi diFigli delle stelle ”,ma sarei nostalgico, perderei il contatto con la giovinezza che invece bisognerebbe mantenere sempre. Certo non fisicamente, altrimenti saremmo dentro la storia di Dorian Gray».
In effetti, anche fisicamente lei è invecchiato molto bene.
«Mi ha aiutato la genetica: anche mia madre prima di scomparire era molto giovane nell’aspetto e nella voce. In me però c’è sempre questa ricerca, la fiamma della libertà che in questi ultimi anni hanno cercato di spegnerci.È stato terribile, non avevo mai provato una simile esperienza».