la Repubblica, 8 maggio 2022
Draghi-Biden uniti contro le autocrazie
Ucraina, energia e riforme interne sono i temi in cima all’agenda dell’incontro di martedì alla Casa Bianca fra il presidente Joe Biden ed il premier Mario Draghi. Ad accomunarli non è solo il fatto che il premier italiano è il leader europeo che conosce da più tempo il presidente americano ma soprattutto una convergente visione della risposta delle democrazie all’aggressione russa dell’Ucraina e, più in generale, alla sfida delle autocrazie.
Ovvero, la necessità di sostenere la resistenza di Kiev e di obbligare Vladimir Putin a rispondere delle gravi accuse su crimini di guerra oggetto delle indagini del Tribunale penale internazionale. Perché si tratta di tasselli cruciali dello scenario globale. Biden e Draghi condividono la necessità di sostenere l’Ucraina aggredita per difendere l’ordine internazionale fondato sulla Carta delle Nazioni Unite — a cominciare dal rispetto della sovranità degli Stati — e sulla sconfitta nel Novecento del nazifascismo e del comunismo sovietico, respingendo il tentativo del Cremlino di stravolgerlo con l’uso della forza militare al fine di conquistare uno spazio strategico lungo i confini della Russia che richiama da vicino il precedente dell’Urss. Su questo sfondo di coesione, base primaria dell’intesa euro-atlantica in questo inizio di XXI secolo, i due alleati affronteranno la necessità di fornire all’Ucraina armi pesanti per fronteggiare la seconda offensiva russa. E quindi la maggiore vulnerabilità della coalizione occidentale: le divisioni sulle sanzioni alle forniture energetiche russe (petrolio e gas). Le resistenze di alcuni Paesi dell’Europa dell’Est — a cominciare dall’Ungheria di Viktor Orbán — al nuovo pacchetto di sanzioni Ue e l’oscillazione cronica della Germania di Olaf Scholz lasciano intendere quanto sia proprio l’energia il talloned’Achille degli alleati, grazie al quale il Cremlino può tentare di guadagnare terreno sul fronte “ibrido” a cui tiene di più: dividere le democrazie facendo leva su dispute e rivalità, per riuscire ad affermarsi in Ucraina.
Da qui l’importanza potenziale del ruolo italiano perché mentre Berlino vacilla vistosamente davanti al ricatto del gas di Putin, Roma invece è corsa rapidamente ai ripari varando un piano di forniture alternative da Algeria, Congo, Angola, Egitto e Mozambico che può consentirci entro il 2023 di non risentire delle sanzioni alla Russia.
Nasce qui la prevedibile curiosità di Biden sulla possibilità che l’Italia si trasformi — anche grazie alla posizione geografica — in un hub mediterraneo delle forniture di gas in arrivo da Africa e Medio Oriente non solo per se stessa ma per l’intera Unione Europea. È una sfida, politica prima ancora che energetica, che può assegnare al nostro Paese un profilo strategico decisivo nei nuovi equilibri fra alleati frutto dal conflitto ucraino.
Ma c’è dell’altro ed è il capitolo del “Winning Capitalism”, come lo ha definito il premier giapponese, Fumio Kishida, durante la recente visita romana, ovvero la necessità che le democrazie respingano la sfida più temibile da parte delle autocrazie: l’accusa che sono destinate ad essere “perdenti” perché non più in grado di competere con i successi dei regimi guidati da leader unici. È una sfida che nasce a Pechino, dove Xi Jinping ha l’ambizione di sorpassare gli Usa nella crescita globale; ha nella Russia di Putin la sua espressione più ideologica e violenta; e contagia in qualche maniera dozzine di nazioni africane ed asiatiche oramai dipendenti da investimenti e forniture militari delle autocrazie. La risposta non può che venire dalle riforme interne che le democrazie, in Europa e Nordamerica, possono decidere ecoordinare puntando a rinnovare la leadership globale nel garantire ai propri cittadini sicurezza e prosperità. Si tratta di affrontare la sfida delle diseguaglianze con ricette capaci di aggredire il disagio sociale lì dove nasce — a cominciare dalla perdita di posti di lavoro — di aggredire i cambiamenti climatici con politiche e investimenti per proteggere chi più ne subisce l’impatto, e di trovare nell’innovazione tecnologica un formidabile volano di sviluppo umano ed economico a cominciare dalla riforma dell’educazione, per andare incontro ai bisogni dei più giovani. Per Joe Biden questa può essere l’agenda della “Comunità delle democrazie” che ha individuato come forum privilegiato per coordinare le scelte più impellenti e per Mario Draghi ciò coincide tanto con il cammino scelto dall’Ue grazie alle decisioni della Commissione di Bruxelles che con le raccomandazioni giunte dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella, per affrontare in fretta “l’emergenza sociale”. C’è dunque una convergenza di valori, interessi e politiche che può trasformare l’incontro alla Casa Bianca in un momento di rafforzamento e rilancio dell’intesa euro-americana. Per fronteggiare tanto la sfida esterna delle autocrazie che quella interna del populismo. Ma ad una condizione: non mostrare il fianco né fare concessioni a chi vorrebbe le democrazie più remissive, deboli e divise. A chi, nella campagna elettorale di mid-term in America, torna a far prevalere l’isolazionismo. A chi, nei Parlamenti europei, inizia a dubitare sulla necessità di sostenere la resistenza degli ucraini. Ed a chi, nel nostro Paese, cede alle sirene del Cremlino immaginando di trovare in un redivivo neutralismo anti-occidentale la vana utopia di una falsa sicurezza collettiva.