Corriere della Sera, 8 maggio 2022
Castellitto interpreta il generale Dalla Chiesa
Ventenne negli anni Settanta, di sinistra: come ha vissuto la stagione delle Br?
«L’arte mi ha salvato. Erano gli anni in cui nasceva la passione per il teatro, quella è stata la mia piccola rivoluzione rispetto al sentimento tipico della gioventù – il desiderio di rompere con una regola, con un destino già prefissato per te: io ho erotizzato tutto lì, nella recitazione. Erano gli anni dell’accademia, della passione, ho letto Shakespeare e Cechov, non leggevo i bollettini delle Br».
Per molti era un’idea seducente...
«Purtroppo sì. Era seducente qualsiasi idea rompesse con un’azione che appariva ferma, immobile, pietrificata nello sviluppo del futuro. In qualche misura è naturale che sia così, che lo spirito giovanile vada verso la contrapposizione, verso la rottura; è addirittura legittimo, ma arriva un momento in cui si capisce dove sta la verità, anche se la verità è un concetto labile, come il potere. Il potere è sempre altrove, diceva Sciascia».
Ieri la società era immersa nella contrapposizione politica, oggi prevale il disincanto...
«La classe politica italiana ha lavorato bene per costruire il disincanto della maggior parte dei cittadini, la personificazione più evidente di questo stato d’animo è nella disaffezione al voto. Il Parlamento mi sembra fuori fuoco rispetto a quanto sia decisiva la voce della televisione. La tv è la nuova Chiesa, è lì che ormai crediamo si dica la verità. L’altra Chiesa sono i social, un mostro che si fonda su una sostanziale stupidità: la pretesa di pensare che esistiamo e ci sentiamo rappresentatati solo per il fatto di possedere un profilo virtuale».
Dopo aver interpretato tanti eroi del nostro tempo – Coppi, don Milani, Padre Pio, Rocco Chinnici – Sergio Castellitto veste la divisa del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa nella serie in 4 serate (il titolo in via di definizione) che arriverà su Rai1 in autunno. Coprodotto da Stand By Me e Rai Fiction, è un action-movie che si concentra sui 10 anni che lo videro impegnato nella lotta al terrorismo.
«La figura di Dalla Chiesa è molto interessante dal punto di vista politico e sociale, ma lo è altrettanto dal punto di vista psicologico, che è quello che mi interessa di più come attore. È un uomo che ha vissuto sempre in guerra, ha iniziato con la Resistenza e ha finito con Cosa Nostra, un uomo che ha fatto subire alla propria affettività le conseguenze dolorose delle sue scelte anche come marito e padre».
Qual è stato il suo tratto nella lotta alle Br?
«La sua straordinarietà è stata quella di non essere solo un soldato, un carabiniere, ma un grande investigatore, anche attraverso l’intuizione psicologica: è stato uno dei primi a capire che per poter comprendere il terrorismo non si poteva prescindere dal fatto che un processo rivoluzionario nasce sempre da una crisi delle istituzioni, e lui ha intuito che per capire quel processo e combatterlo era importante normalizzare, umanizzare il nemico. L’indignazione a prescindere, che è sacrosanta, è invece spesso l’anticamera della propaganda».
Lei è un attore di successo, sua moglie Margaret Mazzantini una scrittrice di primo piano, suo figlio Pietro una giovane promessa o realtà che dir si voglia. Come funziona la distribuzione dell’ego in casa...
«Il nostro di genitori è sotto le scarpe perché esiste solo l’ego dei figli...».
Avete 4 figli che di secondo nome si chiamano Contento/a: un’aspirazione, un invito, un errore da giovani innamorati?
«È un augurio. La felicità confina spesso con la paura di perderla, con una certa isteria dell’animo, mentre la contentezza sembra a me e Margaret uno stato più rasserenante dell’esistenza».