il Fatto Quotidiano, 8 maggio 2022
Intervista a Francesco Biscione
“Nel caso Moro vengono giocate contemporaneamente due partite. L’attacco allo Stato sferrato dalle Br avviene all’interno di una partita più grande in cui sono coinvolte forze visibili e forze occulte, poteri interni e internazionali. L’intero quadro, 44 anni dopo, non è stato ancora interamente ricostruito”. Così spiega lo storico Francesco Biscione, già curatore del Memoriale di Aldo Moro, consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e autore, tra l’altro, del volume aIl delitto Moro.
44 anni dopo, abbiamo una verità completa sui fatti? Continuano a proliferare teorie e ad aggiungersi dubbi e sospetti.
Il delitto Moro è spesso trattato come un cold case poliziesco, con l’indicazione di piste significative, ma anche di piste senza prove. Siamo ancora al tempo delle istruttorie.
Di che cosa siamo sicuri?
Siamo sicuri che nel delitto Moro è avvenuta un’interazione tra forze diverse. La vicenda non si può spiegare se non si considera l’esistenza di quello che chiamo il “partito non brigatista dell’omicidio”. Che questo partito ci fosse, lo ammise il consulente Usa Steve Pieczenik, componente del comitato di crisi voluto da Francesco Cossiga. La domanda ancora senza risposta è se l’intento di bloccare con metodi illegali la politica di Moro sarebbe potuta prevalere senza l’azione delle Brigate rosse.
Moro era consapevole del gioco grande in cui era entrato?
Sì, e per capirlo basta leggere il suo Memoriale. Moro è perfettamente cosciente delle tensioni interne e internazionali in cui il suo rapimento di colloca. Lo dimostra il suo attacco ad Andreotti, la polemica nei confronti del suo partito. Quelle tensioni erano antiche, si erano manifestate già ai tempi del primo centrosinistra.
Ma i “non brigatisti” hanno lasciato fare le Br o sono stati interni anche alla loro operazione militare?
Non abbiamo ancora risposte certe. Quello che sappiamo è che tutte le tendenze antistituzionali che si erano manifestate nella storia italiana, da piazza Fontana alla strage di Brescia, hanno poi avuto un superamento nella P2, che è un sistema di potere che conquista “dall’interno” pezzi dello Stato, tra cui i servizi segreti, controllati dalla loggia in maniera pressoché completa.
Sul delitto si allungano le ombre di Usa e Urss.
L’influenza degli Stati Uniti è provata al di là di ogni ragionevole dubbio, basti pensare ai conflitti tra Moro e Kissinger e poi all’influenza di Pieczenik sulla gestione del sequestro. Per quanto riguarda l’Unione sovietica, aveva sicuramente paura che un successo del Pci, che con Moro poteva arrivare al governo attraverso il metodo democratico, potesse far esplodere il blocco socialista, perché i Paesi dell’Est avrebbero potuto chiedere di fare come i compagni italiani, pretendendo democrazia, libere elezioni, libertà d’espressione. Poi sull’efficacia operativa di queste influenze è più difficile dire.
Il delitto Moro come cambia l’Italia?
Con la morte di Moro cambiano gli equilibri di potere, inizia l’agonia del Pci, che senza Moro non ha più una prospettiva politica strategica. Nella Dc prevale la visione empirica e tattica di Andreotti. Prevalgono i poteri oscuri, la P2, i poteri criminali. Il delitto Moro è soprattutto questo: il cambiamento dei rapporti di forza dentro la democrazia italiana, che diventa più debole, mentre diventano più forti i poteri criminali.