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 2022  maggio 08 Domenica calendario

Intervista a Jo Squillo

Mistero da Internet: ci sono varie date della sua nascita
Ma chi se ne frega.
Giusto.
Conta più quello che manca all’appello.
E per lei?
Ho tante idee, non posso annoiarmi. E così non divento vecchia.
La noia è killer.
Non sono rimasta ferma neanche nel lockdown: all’inizio ho messo in ordine la cucina, ho pulito, poi mi sono rotta.
Per forza.
Allora ho recuperato i manichini dal garage, altri oggetti, i giradischi da dj e ho iniziato a mettere musica su Internet: sono arrivata a 150 mila persone collegate.
Esperienza.
Ho quarant’anni di palco
(Jo Squillo è punk nell’anima, è sciura nell’apparenza; è di nuovo punk nelle sue manifestazioni e poi sciura in alcune frequentazioni. Cantante, performer, artista, presenza dei reality, autrice di Siamo donne: “Quel giorno a Sanremo ho terrorizzato la Salerno”; conduttrice di programmi di moda: “Ho conosciuto tutti, compresa Hillary Clinton”).
È difficile da incasellare.
Quando ci hanno provato, li ho ribaltati con le azioni. Io sono l’uno e l’altro. E la mia cultura punk mi ha insegnato a guardare avanti, a rivoluzionare.
Ha un po’ tradito la cultura punk…
È ancora dentro.
Poco esteriormente.
Sono diventata una signora; (pausa) non posso ripetermi: chi si ripete tradisce il punk.
Il vero rappresentante punk muore sul palco.
È vero. Ed è capitato. Io invece sono l’ultima del 1977 milanese, dei centri sociali.
Da che realtà viene?
A 16 anni già vivevo in una casa occupata, in Santa Marta: lì dentro si organizzavano corsi di canto, di recitazione, arrivavano personaggi come Demetrio Stratos, Mauro Pagani o Alberto Camerini.
I suoi genitori?
Mamma è stata una donna straordinaria che a un certo punto si è ribellata al ruolo di madre ed è diventata una bravissima rappresentante di filati: oltre ad avermi insegnato cos’è la moda, mi ha dimostrato cos’è la libertà; mio padre era socialista e spendeva tutto lo stipendio in chitarre, pianoforti, trombe, quadri; negli anni Settanta ha inventato gli aeroplanini telecomandati, gli hanno proposto di acquistare i suoi brevetti, ma ha rifiutato.
Come hanno preso la sua decisione di vivere in una casa occupata?
Ero frutto del loro insegnamento: avevo bisogno di stare sulla strada per crescere; (sorride) ho occupato anche alle superiori e nelle aule di ginnastica scoprivamo la vita e il sesso.
I suoi sempre tranquilli.
Non amavano il nome Jo Squillo: “Ma come si fa?”. Hanno impiegato un po’ a metabolizzare un fatto: la loro libertà, quella che mi hanno insegnato, comportava dei rischi.
Quali?
In quegli anni si poteva finir male: o ti drogavi o suonavi il rock.
Anche entrambi.
Le mie scelte hanno sempre avuto alla base un obiettivo, una missione contro le ingiustizie del mondo.
Quindi?
Non avevo bisogno di droga. Sono io la mia droga.
A 16 anni avrà fumato una canna.
Certo! Le esperienze vanno affrontate, il problema è che mi danno sonnolenza; (pausa) ah, niente droghe pesanti.
Prima ha citato sua maestà, Demetrio Stratos.
Mi ha dato il la, mi ha dimostrato cosa vuol dire essere un cantante, come si utilizza la voce, quali sono le potenzialità.
È stato un pioniere.
Ho assistito ai suoi virtuosismi, compresa l’incisione di una filastrocca al contrario; per lui organizzammo un concerto a Milano e solo per finanziare le sue spese mediche: morì esattamente il giorno del raduno.
Ha mai rischiato di finire con “i compagni che sbagliano”.
Ero nell’estrema sinistra, ero un’indiana metropolitana, ma non mi sono mai messa in certi guai; (ci pensa) per degli scontri a Milano una volta smarrii il mio fidanzato e altri compagni: girai tutto il giorno, fino a quando li trovai davanti a me, buttati in una stanza, con la testa aperta.
Manganellate ricevute?
Un candelotto addosso al G8 di Genova nel 2001.
Lei è lontana dalla Milano da bere…
Quello era un sistema, e a me i sistemi, tutti, non mi sono mai interessati; però negli anni 80 ho fondato il partito rock, la prima lista civica.
Voti?
5.000 e per poco non sono entrata in Comune: il nostro simbolo era il dito medio alzato; (sorride) in quel periodo organizzavo anche i concerti rock: abbiamo coinvolto i Police, i Ramones, i Devo; spesso gli ospiti li scarrozzavo sulla mia Fiat 850 con lo sportello chiuso grazie a una corda.
Parlava inglese?
Per niente. Anzi, ero contro.
Era bionda o mora.
Verde; (pausa) comunque ho scritto 150 canzoni.
Il più grande successo?
Siamo donne, cantata a Sanremo con Sabrina Salerno.
Ha terrorizzato la Salerno.
(Ride) Lo so, dopo anni me lo ha rivelato.
Sul palco voleva bruciare 100 mila lire.
Poco prima di entrare in scena, Sabrina mi ha bollato: “Non ci provare, sei pazza?”; (pausa) temeva fossero sue.
Timore fondato.
Allora ero povera, lei aveva i soldi: era una star internazionale.
Perché le 100 mila lire?
Volevo far passare il messaggio: la musica non è un business, è arte.
E invece…
Lo è, e la situazione è anche degenerata.
I fan “punk” cosa dissero di Sanremo?
(Sospira) Era il 1991, avevo già fatto tanto, avevo viaggiato per il mondo, con concerti ovunque.
Ovunque, dove?
Anche in Unione Sovietica: sono atterrata a Mosca e ho trovato la neve alta cinque metri e una macchina del Kgb sulla pista per portarmi in albergo; quando passavamo noi fermavano il traffico e i militari ci omaggiavano del saluto.
Si è gasata.
No, spaventata; gli chiesi di mostrarmi il negozio di strumenti del Bolshoi, ero convinta di scoprire delle meraviglie e invece c’erano quattro cosette; prima di ripartire abbiamo lasciato i nostri vestiti ai ragazzi.
Il suo debutto su un palco.
Primo dicembre 1979: c’era anche Franco Battiato.
E lei?
Avevo in repertorio solo una canzone: Sono cattiva. Al bis non sapevo che inventarmi.
Battiato.
Già esoterico e introverso, si è presentato con Carla Bissi che non si chiamava ancora Alice; (ci ripensa) in Russia sono tornata all’epoca di Eltsin.
E…
La polizia ci fermava in continuazione per ottenere soldi: il mio manager elargiva a tutti biglietti da dieci dollari.
Ha mai pensato di aver esagerato?
Mai.
Cosa ama di sé?
Fisicamente?
Sì.
I capelli, sono il mio tratto distintivo.
È invidiata?
Sono naturali e non è male in questa dimensione dove tutto è finto; non cedo neanche alla manicure.
Niente chirurgia estetica.
Oramai non serve più la carta d’identità con la foto: sono talmente modificate da rendere più utile la voce o le impronte digitali.
In tv ne vede tante.
Bravo, ci è arrivato.
Però ci va.
Sfrutto i reality per mandare messaggi: al Grande Fratello Vip ho portato la storia di Chico Forti, ho costretto Canale5 a parlarne (da anni è imprigionato negli Stati Uniti con una contestata condanna per omicidio).
Quando partecipa a questi programmi pensa mai “Chi me lo fa fare”?
Tutti i giorni. Ma i soldi che prendo li investo nel mio attivismo.
Avrà qualcosa da parte.
Niente! Spendo tutto. Li utilizzo per realizzare le mie idee; a Milano ho costruito un muro di bambole contro il femminicidio: è diventato uno dei luoghi più visitati della città; ah, le bambole le ho chieste agli stilisti.
Le modelle non vengono trattate da bambole?
Certe volte anche da appendini.
E quindi…
Le donne hanno sempre amato raccontarsi attraverso gli abiti.
Come è cambiato il mondo della moda?
Oggi le modelle sono parlanti, non solo belle. Sono personaggi.
Spesso denunciano soprusi e violenze.
Fa parte del mondo schifoso del patriarcato, ma non tocca solo la moda.
Si è mai trovata in situazioni imbarazzanti?
Se l’invito non mi convinceva del tutto portavo sempre mia sorella gemella o un’amica, o tutte e due, e spendevano un sacco di soldi.
Un “no” professionale che rimpiange.
Quanti ne ho detti (se lo ripete più volte), ma la carriera delle donne è composta da stop; (pausa) non l’ho mai data per ottenere qualcosa, solo per piacere; (altra pausa) però dovevo girare un film con Fellini.
Quale?
La città delle donne.
Non c’è stata con qualcuno?
Diciamo che non sono andata d’accordo con una persona; (silenzio) eppure non mi trovo bella.
Impossibile.
È così.
È anche finita sulla copertina di Stern, con dolore della Nannini?
Gianna ancora ne parla?
Lo ha dichiarato.
Non mi ha mai perdonato, e le ho chiesto scusa in ginocchio: non è stata colpa mia.
Spieghiamo l’accaduto.
In Germania eravamo già famose e Stern assegna a lei la copertina, a me un servizio. Poi il direttore del settimanale guarda le foto e inverte l’ordine. Ed ecco il patatrac con Gianna; quegli scatti erano belli, realizzati dal mio parrucchiere di allora: Ringo (diventato direttore artistico di Virgin Radio).
Ha quelle foto?
Neanche una, il passato è passato.
I vecchi video li guarda?
No.
Come vive il palcoscenico?
Con agitazione. Sempre. Una volta ne parlai con Maurizio Costanzo, e lui: “Tu sei un’artista e gli artisti si devono emozionare prima di esibirsi”.
Magari la prendeva in giro.
Lui? Non credo.
Spesso è ironico.
Sono una naturalista, non metto malizia.
Niente malizia, possibile?
Sono così, ho rifiutato 100 milioni per la copertina di Playboy. E me ne vanto: non ho mai svenduto il mio corpo, lo dico spesso alle ragazze più giovani che hanno tutta questa voglia di mostrare il culo.
Nei reality catechizza le colleghe?
Quotidianamente dico loro di mostrare meno culo, meno labbra e meno tette; (cambia tono) è un continuo esibirsi.
È “zia” pure di Morgan: lo ha fatto debuttare.
E lo rivendico; (sorride) ci siamo incontrati pure l’altra sera in una trasmissione televisiva.
Come lo ha scovato?
Trent’anni fa selezionavo i gruppi musicali, li portavo in tv, poi concerti e incisioni: tra questi anche i Bluvertigo con Morgan e i Timoria con Omar Pedrini e Francesco Renga.
Come lo ha ritrovato?
Uguale a trent’anni fa: incontrollabile; anzi, correggo: è peggiorato, ma resta un genio intrappolato da debolezze.
Da milanese andava al Derby?
Ero troppo impegnata per sorridere e divertirmi; come comico ho preferito Beppe Grillo: ridevo e pensavo.
Ha conosciuto e incontrato chiunque: una delusione.
Harrison Ford: avevo il mito di Indiana Jones, dell’uomo con la frusta che cavalca. A Venezia, in occasione della Biennale, gli ho chiesto come preparava i suoi personaggi; (pausa) chissà cosa immaginavo…
E invece?
Mi ha risposto che l’attore deve essere un pezzo di legno nelle mani del regista.
È una tecnica.
Io volevo che mi prendesse, mi stringesse, mi raccontasse le sue avventure, e invece mi sono trovata di fronte a un impiegato della cinepresa.
Chi è lei?
Sono un’artivista, e aggiungo altri “ista” come pacifista, attivista, femminista.
Veganista.
Ecco, bravo, li metta tutti.