Il Messaggero, 8 maggio 2022
Intervista a Flavio Insinna
A tanti italiani quello che fa, piace – e i numeri parlano chiaro – a tanti altri non va proprio giù. Al contrario di tanti altri del suo mondo, però, risponde più o meno a tutte le domande. Insomma, non finge di stare dal dentista. Flavio Insinna, romano, 57 anni il prossimo 3 luglio, ogni giorno conduce prima del Tg1 lo show L’eredità, è da poche settimane riapparso su Rai1 in Don Matteo (ha fatto parte del cast dal 2000 al 2006), e il 16 maggio sarà il protagonista del film tv A muso duro, sempre sullo stesso canale. Ieri mattina era in Senato con altri artisti per la 22esima edizione dell’Omaggio a Roma. Due giorni fa è passato al Messaggero.
Al progetto A muso duro aveva detto subito di no: perché?
«Mentendo avevo detto al regista Marco Pontecorvo di non avere tempo. Avevo paura di mettere il camice bianco».
Per quale motivo?
«Mio padre era medico, e ho scoperto che anni fa collaborò proprio con la struttura del professor Antonio Maglio, un visionario che alla fine degli Anni Cinquanta fece tantissimo per recuperare i disabili e restituire dignità attraverso lo sport, fino a dar vita ai primi Giochi paralimpici di Roma, nel 1960».
E allora?
«Io non ho studiato medicina per paura degli aghi, scelta che adesso non rifarei, e non volevo misurarmi con questo mondo. Il regista, però, mi ha detto che un caffè non potevo negarglielo».
Un caffè e ha cambiato idea?
«Mi ha convinto con l’entusiasmo. È una persona eccezionale».
Figlio d’arte?
«Sì, del grande Gillo Pontecorvo (La battaglia di Algeri, Queimaida etc, ndr), che gli ha fatto fare una super gavetta. Ho visto come ha lavorato con i disabili e gli attori, e quando sul set a Ostia ci sono state giornate di tempo bruttissimo l’ho visto sempre sorridente e senza dire mai una parola di troppo. Carattere fantastico, il suo».
Il suo meno, diciamo così. Nel 2017 Striscia la notizia su Canale 5 svelò le sue clamorose e ripetute intemperanze contro concorrenti e staff: quanto ha pagato tutto questo?
«Il giusto. Ho sbagliato e non cerco attenuanti. Non ci sono se e non ci sono ma per quello che è successo. Io mi sono scusato con chi dovevo scusarmi, ma non mi sono perdonato. Non ho voltato pagina, anzi: ce l’ho tutti i giorni bene in testa, quella pagina. Ora mi sforzo di trovare sempre una connessione vera, non a parole, con me stesso e con gli altri. Bisogna volersi bene e voler bene. Lavorare al massimo per me resta importante, ma un sorriso in più è meglio di qualsiasi altra cosa. Adesso l’ho capito. Saper essere leggeri è fondamentale. E io nella mia vita sono stato spesso inutilmente pesante».
Come?
«Ho drammatizzato ciò che drammatico non era. I problemi veri sono altri».
Quindi può dire di essere cambiato?
«Penso di sì, ma devono dirlo quelli che lavorano con me e la mia famiglia. Io mi impegno con tutto me stesso».
Dopo quelle rivelazioni la fiducia nei suoi confronti è cambiata?
«Chi pensa che io sia un uomo tremendo, mi dà un dispiacere, ma lo accetto. Chi mi conosce davvero sa e non giudica. Io so di sapere che non sono proprio uno schifo».
Con Striscia com’è finita?
«Non li ho mai sentiti e non vorrei far ripartire le polemiche».
La lezione più importante dopo questi ultimi due anni cosi difficili?
«Il 3 luglio compio 57 anni e sono un uomo molto fortunato. A quest’età ogni giorno è un regalo che bisogna saper scartare. Quindi non sprecare tempo, quello non torna».
Non lo sapeva?
«L’avevo dimenticato. Adesso me lo ripeto tutti i giorni. Sono vivo, posso ridere, andare al mare. Va tutto bene».
Per caso è addirittura felice?
«Ho paura a dirlo. In un periodo così brutto, dopo il Covid, la guerra, e tanta gente che in difficoltà con i soldi, mi sento in imbarazzo ma sì, lo sono».
Invecchiare la spaventa?
«No. E neanche morire. Mi terrorizza la malattia. Mio padre prima di andarsene ha sofferto tanto».
I prossimi anni come se li immagina? Sempre al lavoro, o a fare altro?
«Mi vedo al mare, ma in Italia non chissà dove, con qualche cane, gli affetti più cari... Cercando di dare sempre una mano con il volontariato».
Cosa c’è voluto per inseguire i propri sogni?
«Coraggio di dirsi e dire ai miei: voglio fare questa roba qui. Non studierò all’università, ma farò altro. Non è stato facile, ma meglio avere una delusione avendo provato, che fare altro e vivere senza essersela giocata».
Perché con il cinema non è andata?
«In teatro il tuo percorso puoi costruirtelo come preferisci, mi disse un maestro come Gigi Proietti. E così ho fatto, cosa che poi mi ha portato in tv. Il cinema è diverso: devi essere scelto e le variabili sono tantissime. Ma sto bene così. Non mi faccia passare per l’incompreso».
La sfida più importante da cogliere alla sua età?
«Voglio imparare a suonare il trombone a tiro, continuare a fare sport senza finire con il tutore al ginocchio per mesi, cercare di essere un po’ più utile a questo Paese sempre più arrabbiato e sfiduciato».
Sta pensando di impegnarsi in politica?
«Mai. Ognuno deve fare quello che conosce. Io ogni tanto spingo anche una carrozzina e sostengo una squadra romana di basket per disabili».
Favorevole o contrario ad armare l’Ucraina? Pochi giorni fa le hanno dato del putiniano.
«Assurdo. Come ha detto il cardinale Matteo Zuppi io sono per la diplomazia: bisogna fare di tutto per fermare le armi. La gente con quelle muore. Non dico altro. L’unica guerra che vorrei si facesse, seriamente, è quella all’evasione fiscale. Con quella cambierebbe tutto».
Nel 2017 è stato a Kiev per commentare per la Rai l’Eurovision Song Contest: che ricordi ha?
«Era l’anno di Francesco Gabbani, con Occidentali’s Karma, e andavo in giro per la città vestito da scimmione per fare video per farlo votare.
Una volta con l’operatore non trovammo il taxi e con la testa sotto il braccio me ne tornai in albergo con la gente in strada piegata in due dalle risate».
Le è scaduto il contratto con la Rai: L’eredità va avanti con o senza di lei?
«Vedremo. Non lo dico perché dobbiamo trattare, ma solo perché non è casa mia. La Rai sa che sono sempre a disposizione».
Senta, alla fine quelle rivelazioni sono state un bene o un male?
«Ci ho pensato a lungo: meglio che ci siano state. Tutto è successo perché doveva succedere.
Ed è stato un bene, altrimenti sarei andato avanti così per chissà quanto tempo. Che vita avrei continuato a fare con persone che non volevano più salutarmi o vedermi manco da lontano?
Tutto questo mi è servito per innescare un cambiamento nella mia vita, non solo sul lavoro. Ci vuole tempo per riavvolgere il nastro e vedere tutto. Io l’ho fatto: non volevo più vivere così. Posso non piacere, non posso farmi odiare».