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 2022  maggio 08 Domenica calendario

Biden richiama Cia e Difesa per le fughe di notizie

WASHINGTON Gli Stati Uniti «partecipano direttamente alla guerra in Ucraina». L’accusa arriva da Vyacheslav Volodin, il presidente della Duma, il parlamento russo. Volodin, 58 anni, è una delle figure di spicco della «nomenklatura» di Mosca. Gli analisti americani lo classificano tra i «falchi» e tra i fedelissimi di Vladimir Putin. Il suo slogan più citato è: «Senza Putin non c’è Russia». Pochi giorni fa Volodin aveva suggerito di «sequestrare» i beni immobiliari e aziendali delle società americane sul territorio russo. Ieri ha alzato ulteriormente la tensione, scrivendo sul suo account di Telegram: «Non si tratta solo della fornitura di armi e attrezzature, Washington coordina e sviluppa le operazioni militari per conto del regime nazista di Kiev, prendendo così parte alle ostilità contro il nostro Paese».

Le rivelazioni
Volodin si inserisce nella polemica innescata dalle rivelazioni del New York Times: l’amministrazione Usa avrebbe passato informazioni riservate agli ucraini per localizzare e colpire la nave ammiraglia «Moskva» nel Mar Nero, nonché per eliminare almeno 12 generali russi sul campo di battaglia. Negli ultimi giorni il Pentagono ha più volte precisato che «è il governo ucraino, non quello americano, a decidere quali siano i bersagli da colpire». Tuttavia la fuga di notizie ha innervosito la Casa Bianca. Thomas Friedman, commentatore del New York Times, scrive che Joe Biden, «furioso», avrebbe richiamato all’ordine i vertici delle varie agenzie dei servizi segreti, a cominciare dalla Cia, nonché il segretario alla Difesa, Lloyd Austin: «Basta con queste fughe di notizie, basta vantarsi dei nostri successi. Vogliamo farci trascinare nel conflitto con la Russia?». Per il presidente americano è una fase delicata. Ieri la Casa Bianca ha annunciato l’invio di altre armi all’Ucraina, per un controvalore di 155 milioni di dollari, portando il totale a quasi 5 miliardi di dollari, in attesa del pacchetto da 20 che il Congresso dovrebbe varare entro il mese. Ma nello stesso tempo, Biden respinge l’accusa dei russi: gli Stati Uniti stanno aiutando la resistenza ucraina, ma non sono coinvolti nella gestione militare sul campo. Sarà questo il tema strategico al centro del G7 virtuale di oggi, convocato dalla presidenza tedesca.

La vigilia è segnata dalla preoccupazione per ciò che Putin potrebbe annunciare lunedì, 9 maggio, nel giorno delle celebrazioni per la vittoria nella Seconda guerra mondiale. In ogni caso si prevede che gli alleati rispondano collettivamente alle accuse di Mosca, cominciando a discutere, però, anche su quale dovrà essere, d’ora in poi, la portata del sostegno all’esercito ucraino. O, messa in altri termini: è giunto il momento di una riflessione più complessiva sugli scopi militari e politici da raggiungere per considerare chiuso il conflitto. Il premier britannico Boris Johnson, sostiene che sia il momento di «raddoppiare gli sforzi» per spingere gli ucraini «alla vittoria».

L’altro fronte
Sull’altro fronte il presidente francese Macron torna a insistere sulla necessità di riallacciare il dialogo con Mosca. Probabilmente toccherà ancora a Biden suggerire una sintesi, sulla base di una distinzione sempre più sottile tra «appoggio alla resistenza ucraina» e «coinvolgimento diretto» nella guerra. La prova dei fatti sarà immediata, perché al vertice parteciperà anche Zelensky. Il presidente ucraino tornerà a chiedere altri mezzi militari per bloccare l’avanzata dell’armata putiniana nel Donbass e per alimentare, dove possibile, una controffensiva. In particolare Kiev sollecita l’invio di missili anti-nave per colpire la flotta nemica schierata nel Mar Nero. È ormai vitale consentire la ripresa delle esportazioni di grano e di altri generi alimentari dal porto di Odessa.

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Armi, addestramento, intelligence e soldi. Gli Stati Uniti sono sempre più coinvolti nella guerra in Ucraina. Il cambio di passo voluto da Joe Biden ha prodotto un’oggettiva escalation. Sono saltati quasi tutti i vincoli che il presidente americano aveva mantenuto almeno fino al vertice straordinario della Nato, lo scorso 24 marzo.

Oggi, specie in Italia, c’è una forte polemica politica sulla distinzione tra «armi offensive» e «armi difensive». Ma val la pena ricordare che questo distinguo è stato teorizzato dal Pentagono: Biden lo ha usato costantemente nelle prime settimane del conflitto. Un solo esempio: il 12 marzo il presidente americano diceva a una riunione di democratici a Philadelphia: «non manderemo armi offensive, come carri armati o aerei; questo si chiama Terza guerra mondiale. Non scherziamo, ok?». Il concetto, dunque, era: gli Usa appoggiano la resistenza ucraina, ma non vogliono attaccare direttamente la Russia. Uno schema superato proprio con il vertice dell’Alleanza Atlantica a Bruxelles, quando un po’ tutti hanno preso atto di due fatti evidenti. Primo: l’esercito ucraino stava reggendo sul campo; secondo: Putin non aveva alcuna intenzione di aprire un negoziato serio.

Da quel momento gli Usa e alcuni alleati, come la Gran Bretagna, sono entrati in una logica di rialzo continuo. Il leader della Casa Bianca ha aumentato gli stanziamenti, fino a chiedere al Congresso 33 miliardi di dollari, (20 miliardi in armamenti) per sostenere lo sforzo degli ucraini. Biden ha mobilitato l’industria bellica e ha riproposto le norme e gli slogan adottati da Franklin Delano Roosevelt, all’inizio della Seconda guerra mondiale: «Gli Stati Uniti saranno ancora l’Arsenale della Democrazia». Il Pentagono sta inviando in Ucraina ordigni sempre più potenti e più moderni. Dai missili anti-carro Javelin si è passati ai droni-kamikaze, agli obici con una media gittata e ora si sta pianificando la spedizione di missili anti-nave per liberare una rotta nel Mar Nero, presidiato dalla flotta russa. Non basta. Nelle basi Nato, gli specialisti statunitensi stanno addestrando i militari ucraini a usare gli ordigni di fabbricazione americana. Da pochi giorni «hanno completato il ciclo di formazione» più di 200 ufficiali di Volodymyr Zelensky.

E poi, naturalmente, c’è il capitolo dell’intelligence. Il portavoce del ministero della Difesa, John Kirby, insiste sul teorema seguente: «Noi forniamo informazioni riservate agli ucraini, così come fanno altri alleati. È un flusso legittimo e limitato. Ma gli Stati Uniti non sono coinvolti nella scelta dei bersagli. È l’esercito ucraino a decidere chi, come e quando colpire». Kirby si riferisce all’affondamento dell’incrociatore russo «Moskva», il 15 aprile scorso, e alla sequenza di almeno 12 generali, eliminati, secondo le rivelazioni del New York Times, grazie alle «soffiate» delle spie statunitensi.

Ma la questione, ormai, è più generale e viene dibattuta dentro l’amministrazione, nel Congresso, tra gli analisti dei centri studi, sui media più importanti. Fino a dove può spingersi l’appoggio a Zelensky? Resta immutata solo la premessa essenziale: gli Usa non manderanno soldati a combattere direttamente sul terreno. Tutto il resto è in discussione. Biden ha una doppia esigenza che, con il passare delle settimane, diventa sempre più contraddittoria. Da una parte, evitare di dare ai russi il pretesto di allargare il conflitto; dall’altra, «ragionare con il ritmo della guerra», come dice il segretario alla Difesa Lloyd Austin. Lo scenario sul campo è pericolosamente in bilico. Gli ucraini danno l’impressione di poter lanciare la controffensiva nel breve termine; nello stesso tempo si teme che il 9 maggio, «giorno della Vittoria», Putin possa prendere iniziative devastanti.

Biden, quindi, dovrà decidere come «riposizionare» gli Stati Uniti. La spinta interna è forte. Oltre il 70% dell’opinione pubblica appoggia l’invio di armi letali agli ucraini. Il Congresso è da sempre schierato in modo bipartisan sulla linea dura. Il 30 aprile scorso, la Speaker della Camera, la democratica Nancy Pelosi, ha incontrato Zelensky a Kiev, promettendogli: «Saremo con voi fino alla vittoria». L’America si aspetta che il presidente adesso spieghi che cosa significhi in concreto.