il Fatto Quotidiano, 7 maggio 2022
Il luna park di Virginia Raffaele
Vedi Virginia Raffaele a teatro e pensi subito a Totò, a Dario Fo e a Gigi Proietti che si scompisciano dal palco invisibile riservato al paradiso della risata. C’è un po’ di ciascuno di loro, ma anche di molti altri geni della vecchia commedia dell’arte, nel Samusà che la showgirl-giostraia romana sta portando in giro per l’Italia e si ferma al teatro Brancaccio di Roma fino al 15 maggio con la regia di Federico Tiezzi, le scene di Marco Rossi e i costumi di Giovanna Buzzi.
Virginia imita, canta, balla, recita, si traveste, si trasforma, si annoda e si snoda come Totò-Arlecchino, ma questo già si sa. La metamorfosi in Patti Pravo è clamorosa. Il ritorno di Giorgiamaura (da non confondere con Giorgia Meloni, pure presente grazie a lei sul palco), la ragazzina triste e sfigata degli Amici di Maria, è da urlo. Il nuovo personaggio della vecchia incartapecorita e cattivissima Donata che fa gli scherzi telefonici all’amica Luigina e tenta di spiegarle la ricetta del pollo alla cacciatora anche se l’altra un pollo non ce l’ha e ci prova con la vitella, fa slogare le mascelle dal ridere e piacerebbe tanto a Franca Valeri. Il negazionista-complottista che “unisce i puntini” perché ha “i nervi scoperti” e ha una spiegazione (demenziale) per tutto è satira di costume pura. Gli accenni nel pot-pourri finale ai cavalli di battaglia Vanoni-Belèn-Bianca Berlinguer-Ferilli-Milo-Fracci sono un degno dessert. Ma c’è anche una nuova Virginia Raffaele, quella che rimanda al Proietti della Saùna e al Dario Fo delle giullarate, grazie a una capacità (finora unica in un’artista donna) di lavorare sulle voci e sul corpo per passare dall’uno all’altro personaggio quasi contemporaneamente, inscenando dialoghi collettivi fra cinque o sei personaggi, maschili e femminili. Sono scene di vita quotidiana, vere e reinventate, nel Luna Park dell’Eur (il LunEur) dov’è nata e cresciuta negli anni 80 con la sua famiglia di giostrai nello stand del Tiro al Campari (colpisci tot bottigliette, vinci un orso di peluche: “Appena partorita mio padre mi portò in cima alla Ruota panoramica, facevo i compiti sulla Nave Pirata, cenavo caricando i fucili, il primo bacio l’ho dato dietro il Bruco Mela”). Samusà, nel gergo dei giostrai (i “dritti”), vuol dire “fai silenzio”, ma ricorda anche il “s’amuser”, il divertirsi dei francesi. Titolo perfetto.
La scena della soprano che non sa la Carmen a memoria e improvvisa perché ha perso il testo delle parole è degna di quella proiettiana della Signora delle Camelie col guitto che rimpiazza il primattore e non capisce il suggeritore. Quella della visita del Papa accolto dal guardiano ubriaco del Luna Park rimanda al Bonifacio VIII e alle Nozze di Cana del Mistero buffo di Fo. E quella sulla rissa fra il guappo napoletano reduce dal 41-bis, la veneta leghista che vuole sparare ai negher, la zingara che preferirebbe abbattere il napoletano, i giostrai, i circensi e i bancarellari di contorno, e Giorgia Meloni intervenuta a riportare l’ordine in qualità di “donna, madre e cristiana”, ricorda per la ricchezza dei personaggi l’altra giullarata di Dario, La resurrezione di Lazzaro. E, ora che ha superato l’esame di una commedia tutta sua, ben oltre la sfilata dei personaggi, ti vien voglia di vederla cimentarsi in una sfida ancor più impegnativa: la prima donna che interpreta il Mistero buffo e il Fabulazzo osceno. Nulla è impossibile, al luna park.