il Fatto Quotidiano, 7 maggio 2022
Intervista a Dardust
“Si intitolava Ricordi”.
Il suo primo brano.
Avevo otto anni. Un abbozzo imbarazzante, pieno di arpeggi. Scritto con un amichetto del condominio.
Che ricordi poteva mai avere a quell’età, Dardust?
Del giorno in cui il pianoforte entrò in casa. Mia sorella studiava al conservatorio. Ero piccolo, misi le mani a caso sui tasti. E non le ho tolte mai più.
In famiglia l’hanno incoraggiata.
Papà vedeva i miei occhi illuminarsi per la musica. Gli chiedevo di accompagnarmi ai concerti. Partivamo dalle Marche per andare a San Siro o al Flaminio.
Suo padre prendeva un biglietto anche per sé?
Quasi sempre aspettava in macchina, fuori dagli stadi.
Quando è scomparso gli ha dedicato uno struggente strumentale, Dono per un addio.
È successo in pieno lockdown, ed ero a Milano. La sua morte è una cicatrice sulla mia anima, che mi ha costretto a diventare più solido, a rinascere. Come nel concetto del Kitsugi.
La simbologia giapponese.
Prendi i frammenti di un oggetto di porcellana e li unisci con dei fili d’oro: quella cosa avrà un nuovo valore, ritrovando unità.
Il suo prossimo album, previsto in autunno, è ispirato dal Giappone.
Dove non sono ancora mai stato. Medito un viaggio dall’Hokkaido fino al sud. Amo quel cinema, la musica di Sakamoto. È una meta naturale.
Come lo fu l’Islanda, dove andò a registrare “in casa” dei Sigur Ros.
C’era una cascata, fuori dallo studio. E in pochi chilometri hai tutti gli elementi: l’aria purissima, il fuoco e la lava, il ghiaccio. Il silenzio e la separatezza. Ma non l’ho mai girata da solo, mi spaventa. Devo farlo.
C’è molto di esotico anche nel pezzo uscito nelle scorse ore, Horizon in your eyes, che presenterà martedì, da ospite, all’Eurovision Song Contest.
Lavoro da tre mesi alla performance. Sfrutterò le potenzialità del palco, tra diverse postazioni. Oltre al mio brano, con Benny Benassi e Sophie & The Giants proporrò Dance of Beauty, un tributo agli italiani che hanno esportato nel mondo la new disco: Giorgio Moroder, i Goblin, gli Eiffel 65, Robert Myles e lo stesso Benassi. Rivoluzionari capaci di ispirare più generazioni. Metterò in luce, nel medley, la bellezza dei testi, sepolta negli arrangiamenti.
C’è il suo amico Mahmood in lizza per la vittoria. Nel 2019 fu anche grazie a lei, Dardust, se Soldi arrivò quasi in cima all’Europa.
A Sanremo, dopo il trionfo, Mahmood mi prese per mano e mi tirò in scena. Dirigevo l’orchestra. Non dimenticherò mai quel gesto. Brividi è una delle cose migliori in gara.
Parliamo di lei. L’autore, il producer, il compositore. Dardust, Dario Faini, DRD. Come convive con le sue identità?
Bene. Non sento la pressione dei risultati.
Ha collezionato 60 dischi di platino! Le devono gratitudine tutti, da Mengoni a Emma, da Fedez alla Amoroso, da Fabri Fibra a Madame… Un elenco senza fine. Lei è il filo rosso che collega il pop nazionale.
Non sono un meccanico che cambia pezzi all’auto. Devo affidarmi alla mia emotività infantile, giocare, cercare i colori giusti.
Ha cassetti zeppi di brani?
Ora ce ne saranno cinque o sei in attesa di destinazione. Certo, alcune restano chiuse nel loro purgatorio finché non trovano l’uscita. Se piovesse il tuo nome, pensata con Calcutta, dopo tre anni è andata in paradiso grazie a Elisa.
Chi tra i suoi assistiti è un gran giocherellone?
Jovanotti. Un bimbo curioso come me. Una sera mi chiama: ‘Dario, non trovo la quadra per Nuova Era…’.
Che fece?
Prima di cena stacco sempre la spina, ho bisogno di fare pulizia mentale. Ma Jova mi aveva chiesto una risposta per la mattina successiva. Così uscii e mi ubriacai. Tanta era l’ansia della consegna che riaprii lo studio alle tre di notte e infrangendo le mie regole ne trassi il drop che tutti cantano e ballano.
Che paure coltiva, quando suona?
Nei recital di piano solo temo di distrarmi e perdere contatto con la profondità del brano. Nei primi cinque minuti non va bene niente: l’altezza del sedile, la gamba che trema… Per affrontare l’evento medito trenta minuti in camerino, dopo aver cacciato tutti.
Ora ha 46 anni. Lunga gavetta ed esperienza.
Avevo una band, gli Elettrodust. Una volta aprimmo per Vasco Rossi. La sua è una tifoseria alfa, la più aggressiva, per i fan lui è una religione. Temevo le bottigliate, era capitato ad altri. Invece la portammo a casa.
Chi emulare, tra i fabbricanti di suono di “ieri”?
Vorrei essere un centesimo di Ennio Morricone.
Lei è di Ascoli come Allevi. Un derby tra pianisti?
No, Giovanni è molto più nazional-popolare di me!