il Fatto Quotidiano, 7 maggio 2022
Cosa si dice a Mosca
Deserti radioattivi, siluri tattici pericolosi quanto bot per sorvegliare “gli anti-patrioti” e tanti bottoni rossi russi: quello della valigetta nucleare di Putin – la Cheget – e quelli dei telecomandi in ogni casa della Federazione. C’è “l’operazione militare speciale” in tv: la guerra in Ucraina che narra Mosca è quella raccontata alla rovescia ogni giorno ai cittadini, dal Mar Nero fino a quello di Ohotsk.
Il re e il principe della propaganda russa si alternano sul canale Rossiya 1. Il primo è Dmitry Kiselev: più che un giornalista, un arsenale di parole scagliate contro l’Occidente. Due giorni fa si è rivolto direttamente al premier BoJo per mostrargli il potenziale effetto devastatore del siluro RS-28 Sarmat contro la sua isola: “Un solo lancio, Boris”. Le armi russe possono rendere la Gran Bretagna un “deserto radioattivo”, ha minacciato il capo del colosso Rossiya Sevodnya, e Londra finirà sui fondali marini.
Negli abissi del Mar Nero però, per il momento, c’è finita la nave Mockva, punta di diamante della Marina russa. Nonostante le smentite del Pentagono, l’ammiraglia è stata quasi certamente colpita grazie alle informazioni fornite dall’intelligence Usa agli ucraini, ma le tv del Cremlino riferiscono che è colata a picco a causa di un incendio. Secondo altre fonti, per una tempesta: ogni sconfitta delle divise tricolore va obliata presto. Che tutto l’equipaggio sia stato salvato in tempo, l’ha dichiarato il cinereo conduttore del canale Ntv: quanti dei circa 500 marinai russi sono morti o dispersi stanno cercando però di scoprirlo le famiglie dei soldati che non hanno più contatti con loro dall’avvio del conflitto.
Giornalismo e interventismo nella Federazione hanno frontiere porose, proprio come i confini tra i due stati ex sovietici. Il pericoloso incendio alla centrale nucleare di Zaporizha, come l’attacco missilistico contro l’ospedale di Mariupol, sono “messe in scena del regime di Kiev” che apparecchia falsificazioni per la stampa dell’ovest. Per le fake news diffuse su quella che gli ucraini considerano città martire è stato appena condannato in contumacia Aleksandr Nevzorov, riporta l’agenzia statale Interfax: il giornalista aveva criticato l’operato dei russi contro la clinica dove c’erano alcune donne in attesa di partorire.
Da Mariupol è appena tornato – armato di souvenir bellici del nemico – il principe della propaganda, Vladimir Solovev, che ha mostrato poche sere fa in tv l’anticarro Nlaw fornito dai britannici ai gialloblu. Ma pericolose come le armi che mostra agli spettatori sono i delatori che incoraggia: la sua komanda, squadra, ha creato un canale speciale sui social per raccogliere informazioni su attività anti-russe e comportamenti anti-patriottici nella quarta città più popolata della Federazione, Ekaterinburg. Vicini di casa, amici e parenti che non amano le Z e le V, le lettere simbolo di supporto all’invasione, finiranno in una lista che la redazione consegnerà – eventualmente – alle forze dell’ordine.
Con la stampa indipendente dichiarata “agente straniero” e progressivamente scomparsa per le ultime leggi draconiane di Mosca, le antenne di Mosca mandano in onda sulla guerra in Ucraina solo ciò che è favorevole alla loro armya, esercito. La tattica è instillare dubbi, rafforzare ricostruzioni alternative e labirintiche che hanno un raggio d’azione potenzialmente illimitato nella polveriera dei social, indebolire ogni versione che mini l’immagine del trionfo che la Russia vuole celebrare ogni giorno, ma soprattutto tra poco, il 9 maggio prossimo, anniversario del giorno della vittoria contro la Germania nazista, quando missili e carri armati pericolosi come fake news sfileranno per le strade di Mosca.