ItaliaOggi, 7 maggio 2022
Il ritorno in scena dello spread
Dopo un lungo armistizio, lo spread torna sulle montagne russe, avvicinandosi a quota 200, tanto che Mario Draghi ha dovuto precisare: «Bisogna chiedersi se lo spread rispetto ad altri paesi simili è aumentato, perché questo significherebbe un giudizio negativo da parte dei mercati. E questo non è avvenuto, per lo meno in maniera sensibile». Ma al di là delle oscillazioni quotidiane che cosa rappresenta questo risvegliarsi dello spread per l’economia italiana, già alle prese con l’alta inflazione e con le incognite della guerra? Le opinioni degli economisti, anche se non convergenti, possono aiutare a comprendere una situazione che potrebbe diventare critica. Spiega Francesco Pontelli, economista, ex docente al Politecnico di Milano: «Il fatto che questo valore dello Spread abbia sempre come riferimento il titolo tedesco in un momento nel quale la stessa Germania sta vivendo uno dei periodi più difficili degli ultimi decenni, anche a causa della propria esposizione nell’approvvigionamento energetico, dimostra quanto questo valore debba venire considerato molto negativo per il nostro Paese. Quindi non così distante da quella sfiducia espressa nel novembre 2011 con i 575 punti base al governo dell’epoca. A maggior ragione se poi, da oltre un anno, alla guida del nostro Paese si trova una delle massime espressioni di quel “potere finanziario” il quale dimostra ancora una volta la propria natura terza non praticando alcuno sconto, oggi come allora”.
Che ci sia un pericolo di stagflazione, di cui l’exploit dello spread è un sintomo, lo sottolinea Andrea Ferretti, professore di Scienze economiche e bancarie alla Luiss: «La Bce deve intervenire. A fronte dell’inflazione gli Stati Uniti hanno già deciso di raffreddare l’economia ma loro possono farlo tranquillamente perché si tratta di un’inflazione classica da domanda, mentre in Europa l’inflazione sta salendo in modo importante non per un surriscaldamento dell’economia ma per i prezzi che schizzano a causa della mancanza di beni e servizi, compresa l’energia, quindi è molto contagiosa per il sistema produttivo ed è una situazione che se perdura può portare alla stagflazione. Direi che per la Bce è una forbice del diavolo: se alza i tassi ci protegge dall’inflazione ma gela un’economia già in sofferenza, se non li rialza c’è il rischio stagflazione. Una scelta difficilissima perché ci troviamo in un’incertezza globale e lo spread è uno degli elementi».
Le stesse preoccupazioni di Domenico Lombardi, ex consigliere del Fmi: «L’Italia, più di altri europei, registra un continuo affievolimento delle prospettive di crescita. All’interno di questo quadro, il fatto che la Bce non alimenti più la domanda di titoli di Stato sul mercato secondario si combina con una crescente incertezza politica, creando le premesse per il possibile allargamento dello Spread. Occorre tra l’altro considerare che sul mercato europeo crescerà l’offerta di titoli di Stato, visto che i Paesi dovranno finanziare una maggior spesa per la difesa e fronteggiare l’incertezza e il rallentamento dell’economia con una politica fiscale più aggressiva. Però nel frattempo diminuirà la domanda di titoli di Stato da parte della Bce. Il risultato potrebbe essere, pertanto, un ulteriore aumento dello Spread».
Giampaolo Galli, docente di Economia politica all’università Cattolica, mette in fila alcuni numeri, determinanti per l’indice dei titoli di Stato: «C’è davvero, di nuovo, un rischio debito pubblico dell’Italia? Per evitarlo bisogna che i risparmiatori credano che si realizzi lo scenario virtuoso che Draghi e Franco hanno delineato nel Def e che richiede tra l’altro che il deficit primario, ossia prima degli interessi, scenda dal 3,7% del Pil del 2021 al 2,1% quest’anno. Questo obiettivo a sua volta richiede, tra le altre condizioni, una crescita del Pil del 3,1%, il che è piuttosto improbabile che si verifichi posto che, com’è ormai evidente, la guerra non finirà presto. Soprattutto lo scenario Draghi-Franco richiede (ed è il punto decisivo) una svolta nella gestione della finanza pubblica a partire dalla legge di bilancio di quest’anno».Lo spread non è un problema solo italiano. «Stiamo purtroppo rientrando in una fase di crisi tipica degli anni Settanta che credevamo superata», dice Pietro Reichlin, docente di Economia alla Luiss. «Abbiamo cioè una recessione accompagnata da un aumento fortissimo dei prezzi del carburante e dell’energia, ciò che comporta l’aumento in corsa di tutti i beni di consumo. Il momento è dei più critici anche perché la Bce in questi anni ha fatto acquisti massicci di debito e dunque adesso ha difficoltà ad intervenire per il controllo dei prezzi».
Lo spread risente di due crisi (la pandemia e il conflitto russo-ucraino). Andrea Fracasso, professore di Politica economica a Trento, chiarisce: «Il Fmi ha ridotto le previsioni per il 2022 da una crescita mondiale del 4,9% al 3,6%. E anche questa previsione potrebbe essere ottimistica. L’aumento nei prezzi delle materie prime, dei prodotti energetici e di alcuni beni chimici e agricoli pesa molto sulle prospettive di crescita. A cui vanno aggiunte le tensioni geopolitiche sul commercio internazionale e i colli di bottiglia nelle catene internazionali di produzione che provocano scarsità di componenti, ritardi nella produzione e tensioni sui prezzi. Un quadro tutt’altro che roseo anche per il rallentamento dell’economia cinese, dovuto all’effetto delle misure per contenere la pandemia e alle tensioni sul mercato immobiliare».
Difficile indicare una via d’uscita. Ci provano Florian Misch e Martin Rey, due economisti impegnati nel Mes, che propongono lo Stability Fund che permetterebbe agli Stati di accedere a prestiti decennali a basso costo: una misura strutturale rispetto a altre iniziative Ue una tantum, come il Pnrr. Che potrebbe calmierare anche lo Spread.