Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  maggio 07 Sabato calendario

Feltri si racconta

Non si contano i giornali diretti e talvolta fondati, con passaggi e ritorni che talora hanno confuso i lettori. Nemmeno si possono dimenticare le dinamiche variate nella politica e più in generale nell’osservare la vita quotidiana, come quando assunse un ruolo di megafono per Mani pulite (coniò lui la definizione di Bettino Craxi come “Cinghialone”), salvo poi rivedere il proprio passato, pur recente. In fondo Vittorio Feltri rimane quello che approdò a La Notte quando la dirigeva il fondatore Nino Nutrizio, il quale scriveva semplice, si faceva comprendere, forniva dati accessibili, si riferiva a casi noti, parlava piano, ma sapeva graffiare e conduceva dove lui voleva la piccola borghesia che si soffermava sul quotidiano milanese della sera.
Da ultimo Feltri si è fatto notare per aver denunciato l’arrivo di un tumore, che l’ha indotto a lasciare il seggio, invero poco gradito, di consigliere comunale a Milano. Esce ora un suo volume, Com’era bello l’inizio della fine, recante un sottotitolo un po’ auto nobilitante (“I grandi incontri della mia vita”) e pubblicato presso Mondadori. Sono note alcune sue passioni, per gli animali, per gli abiti, per il linguaggio schietto e senza fronzoli. Soprattutto egli confessa, e quindi è apprezzabile per la sincerità esternata, di amare i soldi, i dané, per ricorrere al dialetto delle sue parti: «Se c’è una cosa che posso di sicuro comprendere sono le ragioni non del cuore ma della tasca».
Un suo viaggio è eloquente: «Avevo ricevuto il prestigioso premio Ischia, che prevedeva altresì una somma di denaro piuttosto consistente, cosa che ovviamente mi allettava, anzi, se proprio devo essere sincero, mi disturbai di andare a ricevere l’onorificenza solamente per intascare il bottino». Un’altra esperienza merita il ricordo. Si trovò a guidare una Ferrari prestatagli da Luca di Montezemolo (MontePrezzemolo, secondo esplicita battuta), che condusse a fatica da Milano all’amata Bergamo, rendendosi conto di come la Ferrari seduca le donne ma insospettisca mogli e figlie. Commise l’errore di usarla per recarsi allo stadio, ove ricevette “colorite offese”, la più dolce fra le quali suonava «Servo di Berlusconi, ora ti sei fatto pure la Ferrari, hai fatto i soldi, leccaculo». Inenarrabile, poi, è la serie dei pasti da lui consumati in compagnia: pare quasi che giornalmente trascorra pranzo e cena ad abbuffarsi, e non proprio in una trattoria all’angolo della strada.

Le coloriture dei personaggi meritano più di un plauso, anche se non sempre sono condivise. Alla direzione del Corriere della Sera (vanamente ambita da Feltri per promesse non mantenute) giunse Alberto Cavallari, «che aveva una venatura rossastra da progressista, soprattutto aderiva alle richieste del comitato di redazione, che è sempre stato rosso, per esserne a sua volta sostenuto». Fausto Bertinotti, inattesamente, «è persona educata e composta, pur celando dietro i modi da gentiluomo lo spirito del combattente addirittura feroce, sicuramente accanito».
Curiose le distinzioni fra i vertici leghisti: Umberto Bossi «per natura era disordinato e lo era tutto quello che faceva», rivelandosi «personalità dirompente e creativa, al di là delle apparenze era di una pasta fine», mentre Matteo Salvini «se ne andava in giro vestito da profugo appena approdato a Lampedusa, con orribili felpe verdi, ostentando un linguaggio talvolta da uomo con la clava sebbene molto efficace». Questo all’inizio, perché è nota la rottura determinatasi fra il Capitano e Feltri dopo che il primo ebbe abbandonato l’esecutivo, perdendo seguaci lentamente ma inesorabilmente.
Chiunque abbia avuto occasione di ascoltare qualcuno fra i discorsi quirinalizi di fine anno non può non condividere le rampogne su «banalità, cliché, frasi fatte, luoghi comuni, stucchevoli formule di cortesia». Egualmente pure chi non abbia avuto diretta esperienza del primo segretario del Partito popolare, e affossatore cosciente della Dc (un movimento che doveva inevitabilmente liquidare), Mino Martinazzoli, le cui doti sono da Feltri apprezzate, potrà restare stupito di fronte alle trovate linguistiche nei confronti di un politico preparato, dotto, ma parlante «la lingua bizantina dei prudenti della Prima Repubblica» che Bossi e Di Pietro avevano mutata in una pietra al collo. Ecco una scelta: «Catafalco, Cordoglio, Cipresso parlante, Fuoco fatuo, Loculo, Due novembre, Cippo funerario, Necroforo, SalMino, CrisanteMino, Becchinazzoli, Mortinazzoli, Mino Requiem».